Nullità del contratto di cessione di quote di s.r.l.
Morte dell’unico socio accomandatario
Se alla morte del de cuius è venuta meno la pluralità dei soci ex art. 2272, n. 4, c.c. (richiamato direttamente dall’art. 2308 c.c. e indirettamente dall’art. 2323 c.c.) e al contempo non vi sono più i soci accomandatari (art. 2323 .c.c.), queste due autonome fattispecie possono condurre ciascuna allo scioglimento della società in caso di mancata ricostituzione della pluralità dei soci entro il semestre successivo. In caso di concorso tra cause di scioglimento del singolo rapporto sociale e cause di scioglimento della società diverse da quella prevista dall’art. 2284 c.c., prevale quella verificatasi e perfezionatasi per prima.
Le due disposizioni di cui agli artt. 2284 e 2272, n. 4, c.c. risultano compatibili, visto che la loro operatività si svolge su piani diversi e che ciascuna di esse conserva un proprio ambito applicativo. Pertanto, anche in caso di morte del socio in una società costituita da due soli soci rimangono comunque attivabili tutte le opzioni previste dall’art. 2284 c.c. Ove i superstiti optino per lo scioglimento della società, su tale decisione gli eredi, o legatari, del de cuius non possono incidere, giacché la loro posizione non è quella di soci, non essendo subentrati in tale veste al de cuius, ma di meri creditori della quota di liquidazione del loro dante causa. In tale ipotesi, quindi, cessa immediatamente il diritto a vedersi liquidata la quota del proprio dante causa nell’arco dei sei mesi dalla sua morte, e al fine di conseguire il valore di detta quota essi dovranno necessariamente attendere la conclusione delle operazioni relative alla liquidazione della società. In tale sede gli eredi del socio defunto, unitamente ai soci superstiti, potranno partecipare alla divisione dell’eventuale attivo, quale residuerà dopo l’estinzione di tutte le passività sociali. Invero, il diritto alla liquidazione della quota rimane attratto nel più esteso ambito della liquidazione della società, prodotta da tale scioglimento, e nella relativa sede è tutelabile. Gli eredi non assumono tuttavia la qualità di soci della società in liquidazione, partecipando solo alla distribuzione dell’eventuale attivo e, dunque, per converso, non dovendo anticipare le spese di liquidazione.
Il prezzo della compravendita è tale da determinare la carenza di causa del contratto solo laddove sia concordato un prezzo obiettivamente non serio o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. Da ciò consegue che la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, può rilevare sotto il profilo dell’individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione e operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale.
Uso effettivo del marchio valido ad escludere la decadenza per non uso
Ai sensi dell’art. 2556 c.c., per le imprese soggette a registrazione, nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda è stabilito l’onere della forma scritta ad probationem che, se non opera rispetto ai terzi, certamente opera con riguardo alle parti contraenti. Una cessione incrociata di quote societarie non può valere quale contratto di cessione d’azienda, e ciò a fortiori se non vede come parte il soggetto che si sostiene aver acquisito l’azienda.
Risulta ammissibile la domanda di decadenza per non uso di marchio registrato, proposta dall’attrice in via di reconventio reconventionis, in via subordinata e condizionata al rigetto della domanda principale, prima dello spirare del termine fissato dall’art. 183, comma 5, c.p.c. e in conseguenza della domanda riconvenzionale di condanna al pagamento di una somma per l’illecito utilizzo del marchio.
Per orientamento costante l’uso del marchio che impedisce la decadenza deve essere effettivo, non meramente simbolico e non sporadico e deve riguardare quantitativi di prodotti non irrilevanti. In ragione della funzione distintiva che assolve il marchio e per lo statuto di libera appropriabilità dei segni, è meritevole di tutela solo quel marchio che sia oggetto di reale interesse da parte del titolare e che, dunque, raggiunga nel suo utilizzo una certa soglia di significatività attraverso una presenza reale sul mercato, idonea a radicare un collegamento rispetto al prodotto e una seria presenza concorrenziale presso i consumatori. La valutazione dell’effettività dell’uso del marchio deve basarsi sull’insieme dei fatti e delle circostanze atti a provare che esso è oggetto di uno sfruttamento commerciale reale, sicché occorre a tal fine prendere in considerazione in modo specifico gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o creare quote di mercato per le merci o i servizi tutelati dal marchio, la natura di tali merci o servizi, le caratteristiche del mercato, l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio. Secondo la giurisprudenza nazionale, l’uso del marchio idoneo ad impedire la decadenza deve essere tale da avere conseguenze economiche sul mercato, onde si richiede la dimostrazione di un’effettiva distribuzione del prodotto presso il pubblico e di una presenza certa sul mercato capace di incidere sulla sfera dei concorrenti.
L’uso idoneo ad evitare la decadenza del marchio può essere ricondotto anche all’attività di un terzo purché vi sia il consenso del titolare. L’art. 24 c.p.i. richiede soltanto che l’uso del marchio sia consentito e, in tal modo, dà rilevanza a qualunque atto permissivo del titolare che non necessariamente deve coincidere con la concessione in uso propria del contratto di licenza.
Colui che agisce per la declaratoria di decadenza di un marchio, e che ha l’onere di provare il non uso di quel marchio nell’intero territorio nazionale, può assolverlo anche in via indiretta e presuntiva, purché con la prova di circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso.
Il semplice invio di una diffida stragiudiziale è qualificabile come atto puramente conservativo e non rappresenta una modalità di esercizio del segno in conformità alla sua funzione tipica che è quella di distinguere sul mercato beni o servizi.
Il mero rinnovo della registrazione del marchio non integra un uso effettivo valido ad escluderne la decadenza se non associato ad un utilizzo effettivo in funzione distintiva.
Distinzione tra cessione di quote sociali e cessione di azienda
Il negozio di cessione di quote sociali non può essere riqualificato quale contratto di cessione di azienda che obblighi il cedente a rispondere dei debiti sociali ai sensi dell’art. 2560 c.c. Infatti, quale che sia l’attività svolta da una società commerciale e quale la consistenza del suo patrimonio, il trasferimento da un soggetto ad un altro di una quota di partecipazione non è mai qualificabile come trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda, che è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 2555 c.c. Tale equiparazione non può essere neppure operata mediante il richiamo alla disciplina fiscale (cfr. art. 20 d.p.r. 131/86, TUR, come modificato dalla l. 205/2017 e dalla l. 145/2018) che, ai fini dell’imposta di registro, richiama l’intrinseca natura e gli effetti giuridici prodotti dall’atto. A fini fiscali, si è dunque ritenuto che potessero essere riqualificati, quali cessione di azienda, due distinti negozi, di conferimento di azienda in una società di nuova costituzione e di successiva cessione delle partecipazioni della società stessa. Tale prospettazione qui non è corretta tenuto conto che: (i) la cessione totalitaria di partecipazione non ha la stessa natura e non produce gli stessi effetti della cessione di azienda (ad esempio, la prima attribuisce al cessionario un diritto personale di partecipazione alla vita societaria e non un diritto reale sul patrimonio sociale distinto dalla persona dei soci); (ii) i successivi interventi legislativi (art. 1, co. 87, l. 205/2017 e art. 1, co. 1084, l. 145/2018), confermati da due sentenze della Corte Costituzionale n. 158/2020 e 39/2021, impongono di esaminare, anche a fini fiscali, individualmente ogni singolo atto.
Azione di simulazione della cessione di quote sociali esercitata dall’erede: onere della prova
In tema di domanda per l’accertamento della simulazione relativa di una cessione di quote sociali dissimulante una donazione esperita dall’erede-legittimario si applica il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il regime probatorio muta a seconda che il legittimario agisca prospettando la lesione della propria legittima e, quindi, a tutela dell’intangibilità della quota di riserva, nel qual caso assume la veste di terzo rispetto alle parti contraenti del negozio e non incorre nelle limitazioni previste dall’art. 1417 c.c. (ed è quindi ammesso a provare la simulazione per testi e presunzioni senza limiti) o, diversamente, agisca quale erede successore del de cuius facendo valere un diritto di questo in funzione della divisione tra coeredi, nel qual caso non può essere considerato terzo, ma parte del negozio, con conseguente inammissibilità della prova testimoniale e della prova per presunzioni. Allorquando, poi, siano proposte sia la domanda di divisione che quella di simulazione, il regime probatorio dev’essere scisso in relazione a ciascuna azione proposta, con riconoscimento della qualità di terzo esclusivamente in relazione alla tutela specifica della posizione del legittimario.
Quando l’attore che agisce in divisione esperisce domanda di simulazione dell’atto di cessione di quote finalizzato ad incrementare l’entità del patrimonio relitto da dividere assume senz’altro la veste di parte ed essendo, quindi, assoggettato ai limiti probatori di cui all’art. 1417 c.c., non è ammesso a dare prova della simulazione ricorrendo a presunzioni, essendo, invece, richieste idonee produzioni documentali, in mancanza delle quali la prova della simulazione della cessione delle quote non può ritenersi raggiunta.
La circostanza che la partecipazione di un socio diventi di minoranza a seguito del trasferimento delle partecipazioni intervenuto tra gli altri soci non costituisce un fatto illecito idoneo a far sorgere un diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., in particolare nelle ipotesi in cui lo statuto non preveda alcun limite alla circolazione delle quote, le quali, pertanto, sono liberamente trasferibili ai sensi dell’art. 2469 c.c.
Sulla difformità del valore del patrimonio della società nella cessione di quote di s.r.l.
La cessione di una partecipazione sociale ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta; le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione, possono giustificare la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta ai sensi dell’art. 1497 cod. civ. o l’annullamento del contratto per error in obiecto (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali; ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
Il giuramento decisorio deferito all’altra parte non può vertere sull’esistenza o meno di rapporti o di situazioni giuridiche, né può deferirsi per provocare l’espressione di valutazioni giuridiche, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con i sensi o con l’intelligenza, sicché la sua formula deve essere tale che, a seguito della prestazione del giuramento stesso, altro non resti al giudice che verificare l’ an iuratum sit per poi ‘geometricamente’ accogliere o respingere la domanda sul punto che ne ha formato oggetto.
Mancata iscrizione dell’atto di cessione di quote sociali per indisponibilità dell’amministratore unico della società
Deve essere accolta la domanda con cui l’attore – che ha ceduto il 50% delle proprie quote di partecipazione ad una S.r.l. ad altro soggetto tramite scrittura privata autenticata – chiede di ordinare al Conservatore del Registro delle Imprese l’iscrizione di tale cessione, previa esecuzione di tutte quelle formalità a ciò necessarie ma alle quali cui non era stato possibile provvedere a causa dell’indisponibilità e della mancata collaborazione in tal senso da parte dell’amministratore unico della S.r.l.
Deve invece ritenersi infondata ogni considerazione sul carattere fraudolento della cessione (su cui la convenuta S.r.l., nel caso di specie, ha fondato la propria domanda riconvenzionale), non solo in quanto materia estranea alla controversia – che verte in tema di mancata iscrizione di un atto di cessione di quote sociali e non di cancellazioni di iscrizioni eseguite in assenza delle condizioni di legge – ma anche in ragione della tardiva introduzione di una prospettazione difensiva del tutto nuova nel giudizio.
Ritenzione di parte del prezzo a garanzia dell’acquirente di quote sociali
La richiesta di indennizzo prevista da una clausola di un contratto di cessione di partecipazioni sociali non può essere ridotta per l’emersione di una sopravvenienza attiva se il contratto di cessione non reca alcuna clausola riguardante meccanismi di adeguamento del prezzo a favore dei venditori nel caso di sopravvenienze attive per la società target (nel caso di specie, un credito IVA).
Placet degli amministratori nella cessione di quote di cooperativa a r.l.
Nel giudizio di accertamento dell’insussistenza della qualità di socio in capo al cedente di quota sociale, il fatto che la comunicazione al c.d.a. contenente la manifestazione di volontà del cedente risulti priva di data certa non vale ad inficiare la validità della cessione perfezionata nel rispetto dell’iter delineato dall’art. 2530 c.c.
Qualora la delibera di autorizzazione della cessione sia stata dapprima revocata e poi invece ratificata, ai fini del suddetto accertamento negativo non assume rilievo la partecipazione del cedente alle assemblee intercorse tra la revoca del placet e la successiva ratifica.
Competenza della sezione impresa per controversie connesse a trasferimento di partecipazoni sociali
Rientra nella competenza per materia del Tribunale delle Imprese la controversia avente ad oggetto la manleva pattuita nel contesto di un atto di cessione di quote sociali in quanto detta manleva rappresenta obbligazione ancillare alla cessione stessa, con conseguente competenza della medesima sezione specializzata ex art. 3, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 168/2003, ove si prevede la competenza nei procedimenti “relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”. Analogamente, rientra nella medesima competenza una domanda relativa alla rinuncia a esperire l’azione di responsabilità sociale nei confronti di un ex amministratore.