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1 Luglio 2021

Tutela autoriale delle banche dati e illecita sottrazione di informazioni riservate

La verifica della competenza va attuata alla stregua delle allegazioni contenute nella domanda e non anche delle contestazioni mosse alla pretesa dalla parte convenuta, tenendo altresì conto che, qualora uno stesso fatto possa essere qualificato in relazione a diversi titoli giuridici, spetta alla scelta discrezionale della parte attrice la individuazione dell’azione da esperire in giudizio, essendo consentito al giudice di riqualificare la domanda stessa soltanto nel caso in cui questa presenti elementi di ambiguità non altrimenti risolvibili.

L’utilizzabilità da parte dell’ex lavoratore delle conoscenze acquisite nel corso della propria esperienza lavorativa non può estendersi fino al punto di ricomprendere un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, anche se non segretati o pretetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito (in tal senso Cass. 12.7.2019 n. 18772).

Rientrano nella definizione di banche dati, secondo gli art. 2 n. 9 e 64-quinuies e sexies L. 633/41, le raccolte di opere, dati, e altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo. Affinchè una banca dati possa rientrare nell’ambito di tutela della disciplina delle opere dell’ingegno è necessario che sia dotata del requisito della creatività, ovvero della capacità dell’opera di costituire espressione del suo autore.

La liquidazione equitativa del danno secondo quanto previsto dall’art. 158 L. 633/1941 in materia di violazione del diritto d’autore e dall’2600 c.c. in materia di concorrenza sleale presuppone in ogni caso la prova circa l’effettiva esistenza del danno. L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 22.2.2018 n. 4310, Cass. 30.7.2020 n. 16344).

Il mantenimento in funzione per un lungo periodo di tempo dell’account aziendale personale di un dipendente dopo l’interruzione del rapporto di lavoro si pone in contrasto con il diritto alla riservatezza dello stesso.

Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. 20.8.2020 n. 17383). Il danno alla privacy, come ogni danno non patrimoniale, non sussiste in “re ipsa”, non identificandosi il danno risarcibile con la mera lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, seppur può essere provato anche attraverso presunzioni (Cass. 10.6.2021 n. 16402).

14 Giugno 2021

Contraffazione per equivalenti di brevetto italiano

In relazione alla contraffazione per equivalenti va considerato che l’art. 52, co. 3 bis, cpi, introdotto dal D.Lgs. n. 131/2010, precisa che per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto si deve tenere nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni. In altri termini, è formalizzata una regola di interpretazione dell’ambito di protezione brevettuale in forza della quale un prodotto, anche se formalmente diverso dall’invenzione brevettata, essendo esclusa la contraffazione letterale, può essere comunque equiparato al brevetto e ricondotto nel suo ambito di protezione, mirandosi così a tutelare in modo effettivo i diritti del titolare. Peraltro, con la teorica dell’equivalenza si cerca di evitare che il diritto di esclusiva possa essere eluso o sacrificato mediante la realizzazione di modeste e non significative varianti all’invenzione.

Ai fini del giudizio di equivalenza occorre considerare il conseguimento dello stesso effetto tecnico da parte del trovato asseritamente in contraffazione e l’ovvietà della soluzione innovativa nel trovato in contestazione (ossia della modifica apportata) alla luce delle conoscenze del tecnico medio del settore, di modo che solo una innovazione non ovvia ed anzi originale esclude l’equivalenza, diversamente dalla modifica meramente banale ed ovvia o comunque alla portata dell’esperto del settore. Al fine di valutare se la realizzazione contestata possa considerarsi equivalente a quella brevettata, così da costituirne una contraffazione, occorre accertare se, nel permettere di raggiungere il medesimo risultato finale, essa presenti carattere di originalità, offrendo una risposta non banale, né ripetitiva della precedente, essendo da qualificarsi tale quella che ecceda le competenze del tecnico medio che si trovi ad affrontare il medesimo problema, potendo ritenersi in questo caso soltanto che la soluzione si collochi al di fuori dell’idea di soluzione protetta. In particolare, affinché ricorra la contraffazione per equivalenti non è sufficiente che il problema tecnico affrontato dal brevetto sia il medesimo ma è necessario che la soluzione proposta al medesimo problema tecnico possa essere qualificata come una variante ovvia rispetto alla soluzione apportata dal brevetto tutelato.

Distribuzione non autorizzata di copie di quotidiani e concorrenza sleale

In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.

La concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui (art. 2598, n. 2, c.c.) non consiste nell’adozione di tecniche materiali o procedimenti già usati da altra impresa – che può dar luogo, invece, alla concorrenza sleale per imitazione servile – ma ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.

La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, mediante l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.

L’ipotesi prevista dall’art. 2598, n. 3, cod. civ. – consistente nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo «non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda» – si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici previsti dai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione e costituisce un’ipotesi autonoma di possibili casi alternativi, per i quali è necessaria la prova in concreto dell’idoneità degli atti ad arrecare pregiudizio al concorrente (v. ad es. Cass. civ. Sez. I Sent., 04/12/2014, n. 25652).

La messa in commercio dell’opera giornalistica, se, da un lato, può comportare l’esaurimento del diritto alla sua successiva circolazione, dall’altro, non determina un effetto estintivo con riferimento alla facoltà di sfruttamento anche pubblicitario dell’opera stessa che rimane in capo al suo autore o, comunque, al suo titolare.

7 Aprile 2021

Non costituisce contributory infringment ex art. 66 c.p.i. il concorso paritario ed originario nella realizzazione del macchinario in asserita contraffazione

L’art. 66, comma 2 bis, del c.p.i., punisce chi fornisce ad un terzo non autorizzato i mezzi per realizzare l’invenzione brevettata nella consapevolezza di tale uso illecito dei suddetti mezzi: tale norma, quindi, pare colpire l’attività di chi, nell’esercizio della sua ordinaria attività imprenditoriale, fornisca una componente del prodotto finale al realizzatore – appunto – del suddetto prodotto finale, ipotesi tuttavia insussistente nella fattispecie ove vi sono due soggetti che si pongono sin dall’inizio sullo stesso piano della catena produttiva finalizzata a realizzare il prodotto finale, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze professionali, ed insieme lo hanno commercializzato presentandosi come partecipi di un progetto commerciale comune.

7 Aprile 2021

Sottrazione di informazioni riservate e concorrenza sleale

Ai fini della configurazione di un comportamento illecito di concorrenza sleale, è necessario che si sia in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non secretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che, arricchendo la conoscenza del concorrente, siano capaci di fornirgli un vantaggio competitivo, che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.

16 Marzo 2021

Onere probatorio ai fini dell’accertamento dell’esistenza del conflitto di interessi e dell’illecito di concorrenza sleale

L’esistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il suo amministratore, ai fini dell’annullabilità del contratto, non può essere fatta discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore di contrapposte parti contrattuali, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società ed il suo amministratore. [ LEGGI TUTTO ]

La tutela della confezione delle Tic-Tac

La giurisdizione si determina sulla base della domanda e, a tal fine, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto “petitum sostanziale”, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione e dal quale la domanda viene identificata.

I termini «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire», utilizzati dall’articolo 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, indicano sia il luogo in cui il danno si è concretizzato sia il luogo del fatto generatore di tale danno, cosicché il convenuto può essere citato, a scelta del ricorrente, dinanzi ai giudici di entrambi i luoghi in parola. Ancora, per meglio specificare i termini “concretizzazione del danno”, si ritiene che il luogo della concretizzazione del danno è quello in cui il fatto da cui può sorgere una responsabilità da illecito doloso o colposo ha causato un danno.

Quando la forma di un prodotto si limita ad incorporare la soluzione tecnica messa a punto dal fabbricante e brevettata su sua domanda, la tutela di tale forma come marchio dopo la scadenza del brevetto ridurrebbe considerevolmente e all’infinito la possibilità per le altre imprese di utilizzare detta soluzione tecnica dovendo pertanto ritenersi preclusa.

La forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto si configura solo se si tratta di un valore estetico autonomo, di per sé decisivo nell’esercitare un’autonoma forza attrattiva sul consumatore.

L’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.

Il verificarsi di danni in capo al titolare del marchio contraffatto non è in re ipsa, ossia nella sussistenza dell’accertata condotta di contraffazione ex articolo 2598 c.c., talché il titolare che domanda il risarcimento dei danni è gravato dall’onere, ai sensi dell’articolo 121 – secondo comma c.p.i., di provarne l’an ed il quantum. In proposito, le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo.

11 Febbraio 2021

Utilizzazione illecita e contraffazione di opere dell’arte del disegno

A seguito della creazione dell’opera, e come diretta conseguenza dell’atto creativo, sorge il diritto di autore, nella sua duplice componente, di natura rispettivamente personale (diritto morale ad essere riconosciuto come autore) e patrimoniale (diritto di utilizzare economicamente l’opera, mediante le varie forme che si declinano in relazione alla natura dell’opera creativa). Il diritto morale consente all’autore, ex art. 20 L.d.A., di rivendicare la paternità dell’opera, ed opporsi a qualsiasi deformazione o modificazione della stessa, anche quando ha ceduto i diritti alla utilizzazione economica. Dunque, anche la semplice “riproduzione”, intesa come ostensione dell’immagine dell’opera da parte di soggetti diversi dall’autore, non è legittima, a meno che ciò non avvenga con il consenso dell’autore.

Il diritto d’autore non tutela l’idea in sé, come risultato dell’attività intellettuale, bensì la forma espressiva di tale idea, attraverso la quale si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale, meritevole di protezione allorché rivesta il carattere dell’originalità e della personalità. Dunque, la stessa idea può essere legittimamente all’origine di opere diverse, che si distinguono per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori vi spende, e che rende quell’opera meritevole di protezione. Ciò che conta è la forma che veicola all’esterno l’idea, esprimendola e rendendola percepibile agli altri, tramite la specifica e riconoscibile impronta e l’apporto creativo dell’artista.

Il plagio si ravvisa, secondo la terminologia utilizzata dalla giurisprudenza più recente, laddove l’opera derivata sia priva, in sintesi, di un cosiddetto “scarto semantico”, idoneo a conferirle, rispetto all’altra, un proprio e diverso significato artistico, in quanto abbia mutuato dall’opera plagiata il c.d. nucleo individualizzante o creativo; in sostanza, è necessario che l’autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso. L’indagine sulla esistenza o meno della contraffazione deve svolgersi raffrontando essenzialmente le forme, per verificare se vi sia una riproduzione, integrale o parziale, delle medesime forme, senza una elaborazione originale, ovvero se, pur in presenza di una ripresa di elementi compositivi preesistenti, l’opera successiva costituisca una unità espressiva autonoma, in cui tali elementi siano rielaborati ed inclusi così da perdere la loro originaria connotazione, e divenire qualcosa di diverso.