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26 Novembre 2020

Presupposti per la tutela delle informazioni riservate e illecito di concorrenza sleale

Ai sensi dell’art. 99 c.p.i. il legittimo detentore delle informazioni aziendali ed esperienze tecnico industriali aventi i requisiti di cui all’art. 98 c.p.i. ha il diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso, di acquistare, rivelare a terzi od utilizzare in modo abusivo tali informazioni ed esperienze, salvo il caso in cui siano state acquisite in modo indipendente dal terzo e ferma in ogni caso la tutela garantita dalla disciplina della concorrenza sleale. L’art. 98 c.p.i. richiede che le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali oggetto di tutela:
1. siano segrete ovvero non siano, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili ad esperti ed operatori di settore;

2. siano dotate di valore economico, in quanto segrete;

3. siano sottoposte a misure di protezione ritenute ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Sono pertanto oggetto di tutela le informazioni tecniche relative a procedimenti e prodotti, informazioni commerciali ed informazioni amministrative dotate di valore economico, tenuto conto del tempo e delle risorse umane ed economiche impiegate per la loro acquisizione e che non possono ritenersi di dominio pubblico. Deve inoltre accertarsi che tali informazioni siano mantenute secretate attraverso misure di vigilanza che l’esperienza riconosce funzionali (Trib. Bologna, 4.7.2007).

Si configura l’illecito di concorrenza sleale per scorrettezza professionale ex art. 2598, comma 3, c.c. quando un’impresa assume un dipendente chiave della concorrente e lo  destina non tanto alle stesse specifiche attività d’impresa di sua competenza (essendo tale profilo del tutto lecito e normale, ben potendo il lavoratore spendere le proprie conoscenze professionali presso altro operatore, diritto a copertura costituzionale ex art. 36 Cost.), ma agli stessi tre specifici clienti che il nuovo collaboratore aveva seguito presso la concorrente leale.

La preventiva conoscenza delle condizioni negoziali di precedenti rapporti con altri operatori consente di conseguire un vantaggio, non liberamente appropriabile sul mercato, di natura non lecita.

Tale scelta appare contraria alla correttezza professionale, avendo consentito all’impresa di conseguire, in termini di tempi e di risorse da spendere per studio della clientela, un vantaggio anti-competitivo che non attinto alle generiche conoscenze del nuovo dipendente, ma a quelle più specifiche, maturate nel precedente rapporto professionale.

 

 

20 Novembre 2020

Sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale per denigrazione e appropriazione di pregi

Risulta riscontrato l’illecito anticoncorrenziale, per denigrazione e appropriazione di pregi, ove la convenuta veicoli un’informazione – in termini di certezza e non in forma dubitativa – non vera ad un soggetto terzo, cliente dell’attrice, con conseguente pregiudizio all’immagine imprenditoriale di quest’ultima. (Nel caso di specie la convenuta aveva inviato una comunicazione alla cliente dell’attrice attribuendosi la titolarità del brevetto oggetto di causa, in una fase cronologica in cui non ne era ancora divenuta titolare, e qualificando i profilati incorporati nei serramenti della destinataria della missiva come interferenti con detto brevetto, circostanza esclusa a seguito dell’indagine tecnica svolta).

5 Ottobre 2020

Contraffazione del marchio rinomato Eataly e concorrenza sleale confusoria

Con riferimento alla valutazione della notorietà di un marchio la Corte di Giustizia Ue ha affermato che il grado di conoscenza richiesto deve essere considerato raggiunto se il marchio è conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi contraddistinti da detto marchio. Nell’esaminare tale condizione il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti della causa, cioè, in particolare, la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo. In merito al profilo territoriale, non si può esigere che la notorietà esista su “tutto” il territorio dello Stato membro, essendo sufficiente che essa esista in una parte sostanziale di esso.

5 Ottobre 2020

Inibitoria cautelare per violazione di diritti IP e concorrenza sleale

L’azione cautelare di inibitoria può essere proposta anche a tutela di una domanda di marchio.

Chi propone una domanda di sottrazione di informazioni protette ex art. 98 c.p.i. ha l’onere di dimostrare che queste sono effettivamente segrete.

L’utilizzo di certificazioni ottenute da un concorrente costituisce atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 2 c.c.

2 Ottobre 2020

Profili di tutelabilità di riviste e testate: diritto d’autore, imitazione servile e onere della prova

Il titolo (c.d. testata) del giornale, di riviste o periodici non costituisce in sé un’opera dell’ingegno – anche se frutto di un pensiero originale – non avendo una funzione creativa. Esso assolve solo ad una funzione distintiva ed è tutelabile, in quanto accessorio dell’opera ed idoneo ad identificarla, non come bene autonomo ma “solo nella misura in cui individui una pubblicazione della quale rappresenta il segno distintivo” (cfr. Cass. n. 29774/08). Dunque, la sua tutelabilità va ponderata in relazione ad opere simili appartenenti al medesimo settore, a condizione che sussista il rischio di confusione. E ciò applicando in via analogica i principi generali sui segni distintivi, quando nel lettore si determini una costante associazione tra il titolo ritenuto interferente e l’opera.

La confondibilità tra due titoli di periodici – spesso originariamente di natura descrittiva del prodotto editoriale – va compiuta non solo in relazione all’analisi delle parole contenute nei titoli, ma altresì alla presentazione della grafica delle testate, del formato dell’impaginazione, delle rubriche.

Nel caso in cui la testata abbia una capacità distintiva debole, analogamente ai criteri elaborati in tema di marchi, una modesta modifica apportata dalla testata concorrente può impedire il rischio di confusione (Cass. 29774/08, cit.).

Va rammentato l’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità dei colori per gli operatori di mercato e i conseguenti limiti assai rigorosi alla possibilità di registrare – quali marchi – i colori o le combinazioni cromatiche e grafiche, ove non associati ad elementi denominativi (cfr. tra le altre, in sede europea Corte di Giustizia Ce 24.6.2004, in causa C-49(02, ed in sede nazionale Trib. Torino, 17.8.2015).

Va ricordato che – poiché l’originalità del prodotto imitato è elemento costitutivo della fattispecie per concorrenza confusoria – il concorrente leale non può limitarsi a provare che un prodotto è imitato fedelmente da quello del concorrente, ma deve anche dimostrare che tale imitazione è servile, investendo quegli elementi idonei ad ingenerare confusione nel pubblico. Si deve trattare di aspetti formali nuovi rispetto al già noto, pur non raggiungendo il livello di originalità necessario per ottenere il brevetto di modello (cfr. in merito Cass. 3721/2003). (Nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto che l’opzione di utilizzare una fascia di colore identico al titolo che divide la parte superiore da quella inferiore – oltre ad essere una soluzione nuova adottata da parte dell’attrice – appare anche dotata di sufficiente distintività, determinando nel complesso un diverso impatto visivo della copertina). 

L’impiego da parte della convenuta di un indirizzo di posta (settimana@sudoku.it) del tutto sovrapponibile alla testata dell’attrice (Settimana Sudoku) ed al suo anteriore nome a dominio (settimanasudoku.it), in quanto usato in ambito commerciale, comporta un’illecita interferenza, potenzialmente creando il rischio di un drenaggio della clientela dal titolare del segno da tutelare al titolare del nome a dominio (cfr. tra gli altri, Tribunale di Napoli, 26.2.2002, in causa PlayBoy Enterprises contro Giannattasio). 

 

Concorrenza sleale: tra sviamento di clientela e (liceità della) libertà di iniziativa economica

In tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non dev’essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro.

17 Settembre 2020

Concorrenza sleale per appropriazione di pregi e violazione di norme ISO

Il rapporto di concorrenza tra il soggetto attivo ed il soggetto passivo del comportamento che si ritiene sleale, richiede la sussistenza di una “comunanza di clientela”, da accertarsi anche in via potenziale. In particolare, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune comporta che la comunanza di clientela non è data dalla identità soggettiva dei clienti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall’imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno.

Sussiste un rapporto concorrenziale anche tra imprenditori posti a livelli economici diversi, a condizione che la loro attività insista sulla medesima clientela effettiva e potenziale, al fine di soddisfarne le medesime esigenze: la nozione di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 cod. civ. va desunta dalla “ratio” della norma, che impone, alle imprese operanti nel mercato, regole di correttezza e di lealtà, in modo che nessuna si possa avvantaggiare, nella diffusione e collocazione dei propri prodotti o servizi, con l’adozione di metodi contrari all’etica delle relazioni commerciali; ne consegue che si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori e che operino quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinate a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni. Infatti, quale che sia l’anello della catena che porta il prodotto alla stessa categoria di consumatori in cui si collochi un imprenditore, questi viene a trovarsi in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività, per cui ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole di cui alla citata disposizione.

La vendita di prodotti solo apparentemente rispettosi della norma ISO è suscettibile di configurare una fattispecie di concorrenza sleale per appropriazione di pregi. Per l’integrazione di tale illecito non è necessario che ricorra una componente denigratoria, anche se indiretta, ma è sufficiente che ci si autoattribuisca caratteristiche che siano positivamente valutate dal pubblico, in grado di influire sulle relative scelte.

La violazione di norme tecniche valevoli a livello mondiale e di applicazione volontaria (quali quelle ISO), può avere un effetto distorsivo sul mercato quando è proprio l’omesso rispetto della normativa che consente al distributore quantomeno di incrementare il proprio margine di guadagno, potendo acquistare i prodotti a prezzi certamente più bassi rispetto alla concorrente. Gli altri operatori del settore non possono conseguentemente competere in condizioni di parità, dovendo altrimenti anch’essi sottrarsi al rispetto delle norme ISO.

17 Settembre 2020

Accertamento della contraffazione e conseguenze della cessazione delle condotte contraffattorie in corso di causa

La spontanea cessazione, in corso di giudizio, della condotta contestata non fa venire meno, di per sé, l’interesse all’accoglimento delle domanda di colui che agisce, ben potendo la parte all’esito del giudizio riprendere la condotta censurata, senza alcuna sanzione. Dovrà quindi procedersi, di volta in volta, ad una valutazione prognostica in merito alla probabilità di ripresa delle condotte contestate, che tenga conto delle peculiarità e delle specificità del caso sottoposto al vaglio del giudice (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto insussistente il rischio di reiterazione, da parte delle convenute, delle condotte contestate, tenuto conto, in particolare, dello stato di apparente inattività di queste ultime, nonché della sopravvenuta installazione di un’insegna del tutto diversa, in cui è spesa una denominazione differente dai segni distintivi azionati in giudizio dalle attrici).

Non sussistono elementi che consentano di ravvisare un danno da contraffazione allorché non sia provato che il presunto contraffattore ha concretamente fatto uso, in violazione dell’art. 20 c.p.i. e nell’ambito della propria attività economica, dei marchi e dei segni distintivi di altrui titolarità, con conseguente non configurabilità, neppure sul piano del pericolo, di un danno da sviamento di clientela ai sensi di cui all’art. 2598 c.c. (nel caso di specie, pur nella contumacia delle convenute, da elementi prodotti agli atti – quali le visure camerali delle convenute o la prova dell’omessa consegna di diffide – il Tribunale ha desunto lo stato di “inattività” delle convenute, per l’effetto rigettando le domande delle attrici volte ad accertare la contraffazione e/o la concorrenza sleale, con ogni conseguenza anche di tipo risarcitorio).

Deve procedersi d’ufficio alla riduzione ad equità della penale, ai sensi dell’art. 1384 c.c., la cui “eccessività” risulta, ex actis, dai documenti legittimamente acquisiti al processo (in applicazione del suddetto principio il Tribunale ha ritenuto che, ove un contratto di licenza permetta al licenziatario di fare legittimo uso di segni distintivi ed allestimenti del licenziante a fronte di un corrispettivo annuo di euro 2.800,00 oltre oneri, risulta manifestamente eccessiva una penale che, alla cessazione del contratto di licenza, preveda l’obbligo per il licenziatario di pagare una somma di euro 100,00 giornalieri per ogni giorno di ritardo nella rimozione di detti segni distintivi ed allestimenti; in sostituzione è stata ritenuta congrua una penale pari al doppio del corrispettivo annuo previsto nel contratto di licenza).