Mancata esecuzione dei conferimenti da parte del socio di s.r.l.
L’art. 2464 c.c. prevede che, alla sottoscrizione dell’atto costitutivo, deve essere versato all’organo amministrativo almeno il venticinque per cento del conferimento in danaro. La disciplina relativa alla mancata esecuzione dei conferimenti, di cui all’art. 2466 c.c., prevede che, se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni, di modo che, decorso inutilmente detto termine, gli amministratori possono vendere agli altri soci la quota del socio moroso, qualora non ritengano utile promuovere azione per l’esecuzione dei conferimenti dovuti. La condizione necessaria affinché gli amministratori dispongano del potere, esercitato nell’interesse della società, di provvedere alla vendita in danno, è costituita dalla diffida inviata al socio moroso, diffida che non è l’atto con cui il socio medesimo che non abbia provveduto al versamento dei decimi residui è costituito in mora, preesistendo detta condizione all’invio della diffida. In realtà, il socio è costituito in mora ove non provveda a versare i residui decimi nei modi e nei termini stabiliti dall’organo gestorio, secondo quanto previsto dall’atto costitutivo.
Società cooperativa e dies a quo del termine di prescrizione ex art. 2536 c.c.
Nelle società cooperative, il termine annuale di prescrizione (o decadenza) del diritto della società al versamento dei conferimenti non versati da parte del socio recedente, previsto all’art. 2536 c.c., decorre dalla data di comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda di recesso ex 2532, comma 3, c.c.
Non può invece recepirsi la diversa interpretazione che ravvisa il dies a quo del termine prescrizionale (o decadenziale) di cui all’art. 2536 c.c. nel momento di liquidazione della quota del socio receduto, sia perché il dato letterale della norma fa riferimento alla verificazione del recesso, dell’esclusione o della cessazione, portando a ritenere che si debba fare riferimento al momento di efficacia di tali eventi; sia perché la richiesta del conferimento e la liquidazione della quota sociale a seguito di risoluzione del rapporto sono eventi diversi e non riconducibili ad un unica fattispecie, sicché non può essere accolta l’interpretazione che àncori il dies a quo della prescrizione (o decadenza) riferita ai conferimenti al momento della liquidazione della quota sociale.
L’atto di costituzione in mora è un atto giuridico unilaterale recettizio per il quale è richiesta la forma scritta ed è idoneo a produrre l’effetto interruttivo della prescrizione previsto dall’art. 2943, comma 4, c.c., a condizione che esso giunga nella sfera di conoscenza del debitore, in quanto la dichiarazione recettizia, ai sensi dell’art. 1335 c.c., si presume conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, da intendersi come luogo che, per collegamento ordinario (dimora o domicilio) o per normale frequentazione per l’esplicazione della propria attività lavorativa, o per preventiva indicazione o pattuizione, risulti in concreto nella sfera di dominio e controllo del destinatario stesso, apparendo idoneo a consentirgli la ricezione dell’atto e la possibilità di conoscenza del relativo contenuto.
Presupposti per la vendita della quota del socio moroso ai sensi dell’art. 2466 c.c.
I soci devono eseguire i conferimenti nel termine prescritto, che varia in relazione alle caratteristiche del singolo conferimento e ad eventuali pattuizioni fra socio e società. Se nulla è previsto nell’atto costitutivo o nello statuto, spetta all’organo amministratvo richiedere ai soci, in qualunque momento, l’immediato versamento di quanto ancora dovuto.
L’art. 2466, co. 1, c.c. statuisce che se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori devono diffidarlo ad adempiere l’obbligazione entro il termine perentorio di trenta giorni. Trattasi di una forma di costituzione in mora ex persona, la quale necessita, ai sensi dell’art. 1219, co. 1, c.c., un’intimazione o richiesta fatta per iscritto.
Decorso detto termine, in caso di inadempimento del socio, compete all’organo amministrativo, ai sensi dell’art. 2466, co. 2, c.c., la scelta discrezionale di agire nei confronti del socio moroso per l’adempimento coattivo del conferimento, ovvero di vendere, a suo rischio e pericolo – in applicazione dell’istituto della vendita per conto di chi spetta ex art. 1515 c.c. –, la quota agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione e per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato.
In tema di querela di falso, il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso deve anche compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, per evitare di dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, co. 2, Cost.
Recesso del socio sovventore di società cooperativa e rimborso delle spese degli amministratori
La perdita conseguente a perdite del diritto al rimborso di quanto versato dal socio a titolo di finanziamento postergato e disponibile per la copertura delle perdite di esercizio è inscindibilmente legata al depauperamento del patrimonio della società e, pertanto, seppur dipendente da mala gestio degli amministratori, non può qualificarsi come un danno direttamente arrecato al socio. Al contrario, trattandosi di un danno indirettamente subito dal socio, come riflesso del danno arrecato alla società, l’integrale rimborso del finanziamento dipende dal fruttuoso esercizio dell’azione sociale di responsabilità diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale.
Il socio che ometta il pagamento della quota nel termine prescritto non può esercitare il diritto di voto malgrado non sia stato destinatario di uno specifico atto di costituzione in mora o di una diffida ad eseguire quel pagamento entro trenta giorni, dovendogli quest’ultima essere indirizzata al solo scopo di dare inizio alla vendita in danno dell’intera quota sottoscritta. Non è, cioè, necessaria la diffida ad adempiere al fine di costituire il socio in mora, ma il socio deve ritenersi in mora per il solo fatto obiettivo del ritardo nell’adempimento rispetto al termine assegnato per la liberazione della quota, o dallo statuto o dagli amministratori all’atto dell’ammissione. Tuttavia, fino a che gli amministratori non provvedono a richiedere ai soci il versamento, e come s’è detto essi si sono astenuti dal farlo, anche quando si sono espressamente impegnati a farlo per sanare una constatata irregolarità di gestione, il socio non può ritenersi inadempiente e ha dunque titolo all’esercizio dei diritti di socio volontario.
Poiché il recesso parziale è espressamente non consentito dall’art. 2532 c.c., il socio sovventore, finanziatore o titolare di altri titoli di debito (art. 2526 c.c.) vede regolato il proprio diritto di recesso sulla base degli artt. 2437 ss. c.c., in tema di recesso nelle società per azioni, che espressamente ammettono il recesso parziale. Segue che il socio sovventore può esercitare il recesso per tale sola posizione e mantenere nondimeno il rapporto associativo.
La qualità di amministratore non è di per sé incompatibile con lo svolgimento, da parte dell’amministratore, di prestazioni professionali a favore della società, che siano estranee all’amministrazione; in tal caso, l’amministratore ha diritto a ricevere un autonomo compenso per l’attività prestata, ulteriore a quello eventualmente previsto per la carica. Con riguardo alla fissazione di una linea di confine tra attività inerenti all’amministrazione della società e prestazioni professionali estranee (incluse le prime nel compenso eventualmente riconosciuto per la carica, escluse e soggette ad autonoma remunerazione le seconde), il limite oltre il quale possono sussistere prestazioni professionali fatte nell’interesse della società, ma estranee all’amministrazione, deve individuarsi nell’oggetto sociale, talché rientrano tra le prestazioni tipiche dell’amministratore tutte quelle che siano inerenti all’esercizio dell’impresa, senza che rilevi (salvo che sia diversamente previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto) la distinzione tra atti di amministrazione straordinaria e ordinaria.
Per il rimborso delle spese richieste da un amministratore di società di capitali, non regolato dall’art. 2389 c.c., deve applicarsi in via analogica la disciplina del mandato, che all’art. 1720 c.c. prevede che il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni e deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subiti a causa dell’incarico. La formula dei danni è da intendersi in senso ampio, comprensivo non soltanto del danno in senso giuridico, ma anche della pura e semplice perdita economica collegata all’esecuzione del mandato. Nondimeno, va interpretata restrittivamente la perdita economica indennizzabile, come quella sola sostenuta a causa, e non semplicemente in occasione, del proprio incarico e perciò in stretta dipendenza dall’adempimento dei propri obblighi, pervenendo a escludere il nesso di stretta dipendenza per le spese legali sostenute dall’amministratore per la difesa in un giudizio penale.
Le scelte operative dell’amministratore sono insindacabili nel merito, secondo la c.d. business judgment rule, salvo il limite della valutazione di ragionevolezza, da compiersi ex ante, e tenendo conto – sempre nell’ordine del limite – della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.
Effetti processuali della nullità della società dichiarata in un separato giudizio
L’accoglimento in altro giudizio della domanda di accertamento della nullità di una società non preclude in ogni caso lo scrutinio delle domanda di pagamento del rimborso degli oneri relativi alla manutenzione straordinaria e all’ICI di unità immobiliari concesse in godimento ai soci titolari di azioni speciali. Ciò in quanto tali spese non sono connesse alla prosecuzione dell’attività sociale, ma riguardano piuttosto le obbligazioni dei soci verso la società e, considerata la ratio del secondo comma dell’art. 2332 c.c. (che pure parla di “conferimenti”), deve giungersi non già alla declaratoria di inammissibilità della domanda, bensì al suo esame nel merito.
Né al fine di escludere la fondatezza della pretesa di pagamento, può essere utilmente invocata la circostanza per cui la società non verserebbe all’erario l’ICI che chiede ai soci. L’eventuale inadempimento da parte della società agli obblighi tributari su di essa gravanti se consente al fisco di agire per il recupero di quanto allo stesso spettante, non fa certamente venir meno il debito dei soci nei confronti della società, fondato su valide delibere societarie.
La nullità del contratto costitutivo di una S.p.a.
A norma dell’art. 2332 c.c., il rilievo della nullità del contratto costitutivo di una spa compiuto in via principale, una volta che la stessa sia stata iscritta nel registro delle imprese e che, così formalmente costituita, abbia avviato la propria attività, si converte in una causa di scioglimento dell’ente con effetti ex nunc in ragione della necessità di garantire la stabilità del traffico giuridico e dunque tutelare i terzi che abbiano interagito con la società. Non discendendo dal rilievo del vizio genetico effetti retroattivi e ripristinatori, restano, inoltre, esigibili dalla società gli obblighi di conferimento dovuti dai soci fino a quando non siano stati soddisfatti i creditori sociali (co. 3 disp. cit.).
Per un verso, non può dunque dubitarsi dell’obbligo del Tribunale di rilevare incidentalmente la nullità ex art. 2332 c.c., per altro verso – vertendosi in materia di obbligazioni dei soci verso la società e considerata la ratio del co. 2^ dell’art. 2332 c.c. (che pure parla di “conferimenti”) – deve giungersi non già alla declaratoria di inammissibilità della domanda, bensì al suo esame nel merito.
La pretesa creditoria non postula infatti la prosecuzione dell’attività da parte della società, ma è conseguenza degli obblighi assunti dai soci nei confronti della stessa, obblighi che restano fermi ex art. 2332 co. 2^ c.c., tali dovendosi intendere tutte le obbligazioni, principali o accessorie, che trovino titolo esplicito nel contratto di società.
Somme erogate dai soci alle società da loro partecipate: finanziamento o conferimento?
Secondo quanto generalmente previsto, l’erogazione di somme che i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di finanziamento oppure di conferimento. A tal proposito, tra gli elementi che costituiscono indice utile per la qualificazione della fattispecie in un senso o nell’altro, assume rilievo la qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, in considerazione della soggezione del bilancio stesso all’approvazione dei soci. Quanto premesso è stato oggetto di una pronuncia della Suprema Corte, secondo la quale infatti “le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio diventano determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento” (Cass., sez. I, 23/03/2017, n. 7471).
[Nel caso di specie, la somma erogata dal socio-attore nella società convenuta è stata qualificata come finanziamento e non come conferimento, come invece eccepito da controparte, non avendo la medesima parte convenuta provato che i finanziamenti oggetto della nota integrativa del bilancio della società fossero ulteriori e/o diversi rispetto a quello oggetto della controversia.
Inoltre, il Tribunale ha escluso l’applicabilità dell’art. 2467 c.c., la cui norma – rubricata “Finanziamenti dei soci” – enuncia che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società deve essere postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, là ove i finanziamenti siano stati concessi “in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”. Invero, sempre nel caso in esame, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’operatività della postergazione quale fatto impeditivo del rimborso della somma erogata dal socio-attore incombe sulla parte convenuta, la quale, tuttavia, non ha fornito la prova dei seguenti elementi: da un lato, della sussistenza di attuali crediti rispetto ai quali il rimborso richiesto da parte attrice avrebbero dovuto essere postergati; dall’altro, dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento o di una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, fattori questi eventualmente sussistenti al momento della concessione dei finanziamenti].
Nullità della cessione d’azienda in assenza di delibera assembleare
La cessione d’azienda, trasformando l’attività dell’impresa cedente da produttiva a finanziaria, rientra tra gli atti che certamente modificano l’oggetto sociale stabilito nell’atto costitutivo e modificano in maniera rilevante i diritti dei soci. Ne consegue che il difetto del potere rappresentativo rende invalido l’atto di cessione ed è opponibile ai terzi indipendentemente da qualsiasi indagine sull’elemento soggettivo.
Si afferma in dottrina ed in giurisprudenza che, nella categoria generale di atti ultra vires, si distinguono quelli che, sebbene estranei all’oggetto sociale, non comportano una sua modifica, da quelli estranei in quanto modificativi dell’oggetto sociale. I primi, da individuarsi negli atti aventi contenuto intrinsecamente esorbitante dal perseguimento dello specifico programma economico della società, sono
opponibili ai sensi dell’art. 2475 bis co. 2. I secondi sono sempre opponibili in quanto posti in essere in violazione di una limitazione
legale. Soltanto in relazione a tale ultima categoria di operazioni (quali, ad es., la cessione dell’azienda con modifica di fatto dell’oggetto sociale da società operativa a holding), il legislatore stabilisce, da un lato, la competenza decisoria dei soci, dall’altro, l’opponibilità incondizionata ai terzi della violazione di tale regola di competenza da parte degli amministratori.
L’assenza di una decisione dei soci configura, così, la violazione di una norma inderogabile posta a presidio dei limiti non convenzionali,
bensì legali del potere di rappresentanza degli amministratori con la conseguenza che non può essere invocata l’inopponibilità dell’atto di cessione.
Se, da una parte, l’atto di disposizione d’azienda che esaurisca il patrimonio della società eccede i poteri che per legge spettano agli amministratori e implica una violazione del riparto legale delle competenze tra assemblea ed amministratori, dall’altra, la sanzione va individuata non già nella annullabilità del contratto, ma nella sua nullità. Sul punto, a nulla vale la considerazione che l’art. 2479 comma 2 n. 5 c.c. non prevede il rimedio della nullità, quale conseguenza della sua violazione, in quanto come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di un’espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell’atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l’art. 1418 comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità.
In conclusione, la cessione dell’azienda che esaurisce il patrimonio sociale della società a responsabilità limitata deve essere dichiarata nulla ove posta in essere in assenza di deliberazione da parte dei soci.
Contitolarità dei beni oggetto di conferimento e nullità di costituzione di s.r.l.
Impugnativa di una delibera assembleare di società consortile: linee guida per i soci
I soci di società consortile che interpongono impugnazione avverso un deliberato assembleare di tale società devono, inter alia, tenere in considerazione che: (i) rispetto a quanto previsto, in via generale, dall’art. 2606 c.c., prevarranno e si applicheranno, anche sulla scorta di un prevalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, le norme relative alla disciplina tipica della forma societaria prescelta da tale società consortile, (ii) la qualità di socio, anche ai fini del rilascio di eventuali deleghe, potrà essere fatta valere unicamente per tabulas nonché facendo pieno riferimento a quanto risultante dal registro delle imprese, (iii) le disposizioni statutarie prevalgono sempre su quelle dell’atto costitutivo, (iv) l’esistenza di situazioni di conflitto d’interesse in capo ai soci non è da sola sufficiente a fondare l’annullamento di una delibera assembleare dovendo altresì essere provato un danno, anche solo potenziale, per la società, (v) i soci che non abbiano interamente versato i conferimenti ma che – allo stesso tempo – non siano stati costretti a farlo entro un determinato limite temporale potranno essere ammessi a partecipare alle decisioni assembleari, (vi) la sussistenza di eventuali requisiti di legge in capo ai soci andrà accertata alla data di adozione della delibera e (vii) eventuali abusi del potere della maggioranza in danno della minoranza potranno configurarsi soltanto laddove la delibera arrechi danno agli interessi di uno o più soci di minoranza in assenza di un concorrente interesse e della società con l’esclusivo intento della maggioranza di arrecare nocumento alla minoranza.