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Domanda riconvenzionale e discrezionalità sul simultaneus processus

Qualora la domanda riconvenzionale non ecceda la competenza del giudice della causa principale, a fondamento di essa può dedursi anche un titolo non dipendente da quello fatto valere dall’attore a fondamento della sua domanda, purché sussista con questo un collegamento oggettivo che giustifichi l’esercizio, da parte del giudice, della discrezionalità che può consigliare il simultaneus processus. Pur trattandosi di una valutazione discrezionale del giudice di merito, questi è tenuto a motivare il rifiuto di autorizzazione, opposto alla introduzione di una riconvenzionale non connessa, senza limitarsi a dichiararla inammissibile esclusivamente per la mancata dipendenza dal titolo dedotto in giudizio.

6 Giugno 2023

Contratto di cessione di partecipazioni sociali e azione di rescissione per lesione

E’ ammessa la possibilità di introdurre una nuova domanda anche in sede della prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. purché la stessa sia fondata sui medesimi fatti costituitivi e si ponga in una situazione di incompatibilità rispetto all’originaria domanda ovvero sia conseguenza della domanda riconvenzionale proposta dalla parte convenuta.

L’azione generale di rescissione per lesione ex art. 1448 c.c. rappresenta un rimedio che la legge predispone a favore di un soggetto che abbia concluso a particolari condizioni un contratto in uno stato di “bisogno”, situazione in cui la persona può essere salvata con una prestazione che non sia di fare o in cui il pericolo riguardi non la sfera personale, ma i beni del contraente.

Secondo l’art. 1448 c.c., l’esperimento dell’azione di rescissione del contratto di acquisto di quote sociali è possibile solo in caso di simultanea concorrenza dei tre requisiti: a) della lesione, b) dello stato di bisogno e c) dell’approfittamento di chi si trova in una situazione di anomala e pregiudizievole alterazione della libertà negoziale, in violazione del principio di solidarietà sancito dalla Costituzione o dei doveri di buona fede e correttezza contrattuale.

Lo stato di bisogno, che deve costituire la spinta psicologica a contrarre, non coincide necessariamente con l’assoluta indigenza o condizione di povertà e nullatenenza, ma può essere rappresentato anche da una semplice, obiettiva difficoltà economica o da una contingente carenza di liquidità o momentanea indisponibilità di denaro che sia risultata determinante della volizione negoziale e della disponibilità ad accettare un corrispettivo non proporzionato alla propria prestazione.

La nullità del contratto può derivare esclusivamente (i) dalla violazione di norma imperativa (c.d. nullità virtuale) o (ii) dalla assenza, illiceità, impossibilità dell’oggetto o della causa (c.d. nullità strutturale) o, infine, (iii) dalla legge (c.d. nullità testuale). Al contrario, la mera iniquità di un contratto a prestazioni corrispettive non è causa di nullità del contratto, potendo la sproporzione tra prestazioni al più comportare l’annullamento del contratto (se effetto di dolo determinante ex art. 1439 c.c.) o la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale, invalidante il consenso prestato per la stipulazione del contratto ai sensi dell’art. 1438 c.c., soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, situazione che si verifica quando il fine ultimo perseguito consiste nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei
modi previsti dall’ordinamento.

Non costituisce ipotesi di minaccia di fare valere un diritto prevista dall’art.1438 c.c. la semplice minaccia di adire le vie giudiziarie per ottenere l’annullamento di un contratto di cessione di quote sociali su uno specifico presupposto previsto dalla legge.

12 Maggio 2020

Azione di rivendica di design comunitario tra questioni di giurisdizione ed accertamento della titolarità dei diritti patrimoniali

L’azione di rivendicazione di cui all’art. 118 c.p.i. si traduce in un rimedio giuridico-processuale diverso ed alternativo opposto rispetto all’azione di nullità, in quanto finalizzato non alla rimozione erga omnes del titolo, bensì all’accertamento giudiziale della titolarità in capo al soggetto che agisce. Tale azione rientra dunque nella competenza del giudice nazionale anche con riferimento al design comunitario ai sensi dell’art. 93 del medesimo Regolamento Europeo, secondo il quale, le azioni diverse da quelle di contraffazione e nullità vanno “proposte dinanzi all’autorita giudiziaria che sarebbe competente per territorio e per materia in ordine alle azioni riguardanti il disegno o modello nazionale registrato dallo Stato stesso”.

Se, da un lato, è vero che il collegamento richiesto con la domanda principale non deve intendersi in senso restrittivo, ben potendo la domanda riconvenzionale dipendere da un titolo diverso, dall’altro, è pur vero che è, comunque, necessario (e sufficiente) che la domanda riconvenzionale sia collegata in maniera oggettiva con la pretesa principale, in modo tale da rendere necessario ed opportuno il simultaneus processus, in ossequio ai principi di economia processuale e del giusto processo (nel caso di specie il Tribunale ha reputato che la domanda riconvenzionale del convenuto – il quale inter alia aveva chiesto accertarsi la titolarità di un marchio asseritamente utilizzato da controparte – fosse inammissibile ai sensi dell’art. 36 c.p.c., non dipendendo dallo stesso titolo azionato in giudizio dall’attrice).

Sebbene l’art. 64 CPI si propone come norma dettata espressamente per le invenzioni del lavoratore subordinato, essa ha tuttavia portata generale, suscettibile di applicazione analogica anche ai rapporti di lavoro parasubordinato e autonomo.

Nei casi in cui l’attività inventiva costituisca l’oggetto della prestazione del lavoratore autonomo, del consulente o del professionista, si deve concludere che, salvo diversa pattuizione, i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione nascano direttamente in capo al committente che abbia commissionato l’invenzione.