Competenza della sezione specializzata a conoscere della contraffazione di modello comunitario da parte di società con sede in altro Stato Membro e rilevanza del previo giudizio cautelare celebratosi in detto Stato
Nessun impedimento alla trattazione e decisione di un giudizio instaurato avanti ad un tribunale nazionale può derivare dal fatto che l’attrice abbia già svolto – con esito per essa negativo – un procedimento cautelare dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa del tribunale di altro Stato Membro avverso le medesime parti convenute in relazione alla contraffazione della stessa registrazione comunitaria azionata nei confronti dei medesimi prodotti contestati. Il richiamo ad una pretesa violazione del principio “ne bis in idem” non ha alcun fondamento. Tale principio preclude infatti l’esercizio di una nuova azione sul medesimo oggetto tra le stesse parti, allorquando l’azione prima proposta sia stata definita con una decisione di merito. E’ documentale che il tribunale previamente adito si sia espresso negativamente sulle sole istanze cautelari avanzate dall’attrice e debba dunque ritenersi che detto rigetto non costituisca alcun giudicato formale tra le parti ai sensi dell’art. 2909 c.c. non essendo suscettibile di consolidarsi tra di esse in luogo di una sentenza che in sede di merito abbia deciso in via definitiva sulle domande di contraffazione.
La pronuncia del tribunale di altro Stato Membro non può dunque influire nè formalmente né sostanzialmente sulla possibilità per il tribunale nazionale di valutare in via autonoma la fondatezza delle domande svolte dall’attrice.
Il richiamo al forum rei e l’indubbia connessione tra le condotte delle società con sede legale in altro Stato Membro e quelle che hanno provveduto direttamente alla commercializzazione dei prodotti contestati nel territorio nazionale sono elementi idonei a radicare la competenza dinanzi al Tribunale competente in relazione alla sede di tali ultime società in relazione all’art. 33 c.p.c. e per ciò che attiene alle società estere anche in relazione all’art. 8, comma 1, Reg. 1215/12 con specifico riferimento alla particolare competenza propria delle Sezioni specializzate in materia di Impresa come stabilita dall’art. 4, comma 1 bis, d.lgs. 168/03.
L’ambito di competenza riservato al Tribunale nazionale in qualità di Tribunale dei disegni e modelli comunitari va delimitato agli atti di contraffazione commessi nel solo territorio nazionale a mente del comma 2 dell’art. 83 Reg. CE 6/02.
L’unico punto di riferimento per la valutazione della dedotta identità dei modelli di prodotto oggetto delle contestazioni svolte dalla società attrice con la registrazione comunitaria in titolarità di questa – sotto il profilo della riproduzione o meno della stessa impressione generale agli occhi del consumatore informato – è la registrazione comunitaria stessa, a prescindere dunque dall’aspetto dei prodotti che la titolare di essa abbia ritenuto di immettere sul mercato (In tale chiave di valutazione sono state giudicate del tutto irrilevanti le caratteristiche dimensionali – comunque non incidenti sull’aspetto complessivo del disegno registrato per le minime differenze evidenziate – nonché le diverse colorazioni e materiali impiegati in quanto non incidenti sulle forme oggetto di tutela comunitaria o addirittura il posizionamento del punto di iniezione del componente gas rispetto, rispetto al quale in effetti non appare percepibile quale rilievo possa investire in merito all’aspetto estetico del modello).
L’unica appropriata valutazione in chiave di interferenza dei modelli di prodotto oggetto di contestazione con la registrazione comunitaria in titolarità dell’attrice deve fondarsi sulla effettiva capacità delle forme dei prodotti contestati di integrare agli occhi del consumatore informato una effettiva ed apprezzabile diversità di impressione generale e di autonomia rispetto alle forme oggetto di tutela.
Integra cumulativamente contraffazione e concorrenza sleale l’offerta al pubblico di prodotti importati extra-ue privi delle etichette originali
L’infrazione del divieto di importazione parallela extracomunitaria (non consenziente il titolare del marchio) unita alla successiva commercializzazione dei prodotti così importati certamente integra di per sé il presupposto della non conformità ai principi di correttezza professionale, per cui l’importazione parallela di merci originali, ma di provenienza extracomunitaria, è comunque illecita anche come atto contrario ai principi di correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda, secondo la fattispecie concorrenziale di cui all’art. 2598, n. 3, c.c.. In particolare, ove sia in dubbio il carattere propriamente “originale” dei prodotti (difettando il consenso del titolare del marchio), ciò consente il cumulo tra la tutela contro l’appropriazione di un marchio e la tutela presidiata dall’azione di concorrenza sleale: il medesimo fatto storico dà pertanto fondamento sia di un’azione reale, a tutela dei diritti di esclusiva sul marchio, sia anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia integrato i presupposti di cui all’art. 2598 c.c. [Fattispecie relativa all’offerta in vendita nella grande distribuzione di prodotti scolastici con le etichette olografiche del produttore rimosse o sostituite].
Brevetto di invenzione: svolgimento della CTU in fase cautelare e in fase di merito
Le diverse conclusioni cui il CTU sia pervenuto nella sua seconda relazione non conferiscono alla prima relazione depositata nella fase di descrizione alcuna caratteristica di pretesa “erroneità” ove la più compiuta analisi svolta successivamente sia stata resa possibile solo qualora la parte abbia integrato la propria precedente (insufficiente e lacunosa) produzione documentale, assolvendo così in maniera più compiuta al proprio onere probatorio specificamente definito dal comma 1 dell’art. 121 c.p.i. che – tra l’altro – impedisce al CTU di svolgere accertamenti e valutazioni su documenti diversi da quelli prodotti dalla parte che allega la nullità del titolo.
Criteri e procedimento per il calcolo della retroversione degli utili nel risarcimento da contraffazione brevettuale
Utilizzando il parametro della retroversione degli utili, si deve procedere sottraendo il prezzo di acquisto del bene contraffatto all’ingrosso dal prezzo di rivendita al pubblico. È necessario altresì sottrarre la quota corrispondente ai presumibili costi sostenuti per la commercializzazione del bene. Il risultato deve poi essere moltiplicato per il numero dei capi contraffatti prodotti e venduti.
Cessione di ramo di azienda e violazione di marchio del cessionario da parte del distributore del cedente che continua a fabbricare e vendere beni recanti il marchio
Il distributore del cedente di ramo di azienda che continui l’attività di commercializzazione di prodotti recanti il marchio aziendale in violazione del diritto riconosciuto in via esclusiva al cessionario titolare del marchio d’impresa ex art. 20 c.p.i. compie una contraffazione. La condotta non integra invece concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 n. 1 e/o n. 3 c.c., ove non risulti che, nel periodo in cui si svolgeva l’attività contraffattiva, il cessionario del ramo di azienda non abbia iniziato la commercializzazione dei prodotti contraddistinti dal marchio, dovendosi ritenersi esclusa la possibilità di confusione con i prodotti e con l’attività della concorrente.
Marchi forti e rilevanza delle modifiche
Il carattere forte dei marchi si riverbera sulla loro tutela comportando l’illegittimità di tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo, che costituisce l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante.
Una parola di uso comune appartenente ad una certa lingua (nella quale pertanto non ha alcuna valenza distintiva) può, se adoperata in un altro contesto linguistico, assumere valenza distintiva, potendo di conseguenza essere anche utilizzata come marchio. Per pacifica giurisprudenza infatti è possibile che, a causa delle differenze linguistiche, culturali sociali ed economiche tra gli Stati membri, un marchio che è privo di carattere distintivo o è descrittivo dei prodotti o dei servizi interessati in uno Stato membro non lo sia in un altro Stato membro.
Anteriorità brevettuali e definizione dell’imitazione servile ex art. 2598, n. 1, c.c.
La valutazione delle anteriorità brevettuali in grado di inficiare la novità del brevetto – e dunque la sua validità – impone, attraverso un giudizio prognostico, di verificare l’effettiva possibilità per un esperto del settore di realizzare l’invenzione oggetto dell’insegnamento brevettuale attraverso la mera ricomposizione ed elaborazione delle già acquisite conoscenze del settore al momento della registrazione. A tal proposito, occorre in primo luogo effettuare un giudizio di rilevanza tra le diverse, e generalmente copiose, anteriorità afferenti a un medesimo settore, circoscrivendo quelle che costituiscono il migliore punto di partenza per giungere alla soluzione rivendicata dalla privativa in esame. In sostanza, affinché possa ritenersi sussistente un’anteriorità, è necessario valutare se un esperto del ramo, attraverso collegamenti ovvi tra anteriorità rilevanti e attraverso semplici associazioni logiche tra soluzioni note alla tecnica – alla data di deposito del brevetto o della priorità rivendicata – sarebbe stato in grado di giungere al risultato della privativa.
Non si concretizza comportamento censurabile quale imitazione servile ex art. 2598, n. 1, c.c. quando vi è una condotta meramente riproduttiva delle forme del concorrente, ma è necessario che dalla imitazione delle forme derivi, in nesso causale, un concreto pericolo di confusione o associazione: questo avviene solo qualora l’imitazione abbia riguardo a forme o aspetti peculiari dei prodotti della concorrente che, per la loro originalità e novità, individuino il prodotto, rendendolo marcatamente diverso dagli altri, tanto da evidenziarne immediatamente la provenienza di fronte alla specifica clientela alla quale esso è destinato. Infatti, la finalità che si pone l’art. 2598 c.c. è mantenere all’attività dell’impresa come concretamente svolta la sua funzione distintiva, garantendo che sia rispettata la possibilità di identificare quella impresa come fonte della produzione di un bene o servizio che sia riconoscibile agli occhi del pubblico e abbia acquisito notorietà sul mercato, tutelandola rispetto a comportamenti che ingenerino equivoci circa la provenienza dei prodotti, determinando così uno sviamento della clientela. In definitiva, chi si duole dell’imitazione servile non può limitarsi a dimostrare che il proprio prodotto sia stato imitato fedelmente dal concorrente, ma deve anche dimostrare che tale imitazione è confusoria.
La vendita oltre il termine di sell off è atto di contraffazione e concorrenza sleale
La vendita sottocosto di prodotti a marchio della licenziante oltre il termine di sell off previsto nel contratto di licenza – termine di legittima prosecuzione della vendita da parte del licenziatario – costituisce contraffazione del marchio e atto di concorrenza sleale.
L’onere della prova in ordine alla imputabilità a terzi della vendita dei beni oltre il termine di sell off è a carico della licenziataria.
Contraffazione e impedimenti alla registrazione del marchio di forma
La tesi che ritiene non registrabile come marchio (il quale non è sottoposto a limite temporali di tutela) una forma di prodotto già oggetto di brevetto quale modello o quale invenzione (soggetti ad una durata limitata della protezione) si basa sull’esigenza di non concedere la registrabilità di forme funzionali dettate da ragioni di utilità tecnica, non monopolizzabile se non nei limiti e secondo le regole proprie, appunto, dei brevetti per invenzione o per modello. Le forme idonee a realizzare un concetto innovativo brevettato, se sostituibili con altre forme in grado di realizzare il medesimo concetto, nel momento della scadenza del brevetto godranno di una tutela ristretta alla forma specifica registrata con piena libertà per chiunque di adottare forme alternative, ma non confondibili e che utilizzino lo stesso concetto innovativo. La circostanza, del resto, che in forza dell’art. 9 la preclusione riguardi il segno costituito “esclusivamente” dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, comporta che le forme non riconducibili in via esclusiva ad esigenze tecniche possono assolvere anche ad altre funzioni, vale a dire quella di marchio, per cui nel caso in cui una stessa forma veda la coesistenza di una funzione utilitaristica tecnica con quella propria del marchio, se questa è prevalente nell’uso non risulta applicabile il divieto di cui all’art. 9 CPI. Una forma puo’ essere registrata come marchio quando svolge prevalentemente una funzione distintiva, tipica del marchio, piuttosto che estetica o funzionale, tipica del modello. La forma, di conseguenza, dà un valore sostanziale al prodotto solo qualora il prodotto abbia un valore estetico di tale rilievo da poter essere ritenuto influente in sé sulla motivazione d’acquisto del consumatore.
Ai sensi dell’art. 121, 2°c., CPI, chi agisce in contraffazione deve dare la prova dell’esistenza di un danno ingiusto non essendo il prodursi del danno implicito nell’accertamento della contraffazione; la parte che formula tale domanda è, inoltre, onerata anche e specificamente della prova dell’entità materiale e dell’ammontare del danno, giacchè la valutazione equitativa del danno medesimo puo’ subentrare solo nel caso di difficoltà relative alla quantificazione del danno.
Non puo’ essere accolta la domanda di ordine di esibizione ai sensi dell’art.121, 2°c., CPI, in assenza “dei seri indizi” del danno e in assenza dell’allegazione di qualsivoglia elemento costitutivo del medesimo, nonché in presenza di generiche indicazioni sui documenti di cui si chiede l’esibizione e sulle informazioni che la controparte dovrebbe fornire. Non puo’ essere accolta la domanda di interrogatorio formale dedotto in assenza di capi di prova. Dev’essere respinta la domanda di distruzione “di tutto il materiale commerciale e pubblicitario” dato che nella parte motivata dell’atto introduttivo manca qualsivoglia allegazione anche solo relativamente alla sua esistenza.
Anche modelli esteticamente molto vicini posseggono individualità se idonei a attirare l’attenzione del pubblico o costituire motivo di preferenza per l’acquisto
Possono accedere alla tutela come modello quelle forme estetiche, nuove ed idonee a conferire un’impressione generale diversa rispetto al patrimonio del noto, ed attributive di quel livello di individualità tale non solo da attirare l’attenzione del pubblico, ma altresì da costituire motivo di preferenza per l’acquisto.
In particolare, quanto ai presupposti per la sua validità, va rammentato che:
– la novità sussiste quando nessuna delle anteriorità riproduca tutte, e contemporaneamente, le stesse linee e soluzioni estetiche del design oggetto di indagine. Dunque, l’assenza di divulgazione di un modello identico anteriormente alla data della sua domanda di registrazione consente di predicarne la novità;
– il carattere individuale di cui all’art. 33 c.p.i. consiste nella capacità del disegno di suscitare un’impressione generale diversa da quella degli altri disegni o di altri modelli anteriori nell’utilizzatore informato. Tale figura va identificata nel consumatore che possiede una particolare conoscenza del settore merceologico di riferimento e, pertanto, è capace di cogliere differenze e dettagli che sfuggono al consumatore medio e che non sono visibili ad una rapida occhiata. Con la conseguente possibilità di ravvisare un’ impressione generale anche per modelli esteticamente molto vicini.
Il carattere individuale costituisce poi un presupposto assai meno pregnante rispetto a quella vera e propria potenzialità di far evolvere il gusto e di configurare una nuova estetica prescritto dalla normativa previgente (speciale ornamento).