Onere della prova del creditore nell’opposizione alla scissione
Il fondamento dell’opposizione alla scissione è da ravvisare nel rischio che il compimento dell’operazione possa pregiudicare le ragioni dei creditori, rendendo probabile il mancato o ritardato soddisfacimento delle relative pretese. Attesa la natura dell’operazione, non basta al creditore dedurre genericamente una riduzione della garanzia patrimoniale, dovendo piuttosto egli fornire elementi idonei a sostenere l’esistenza di un effettiva probabilità che l’operazione – anche alla luce di una valutazione complessiva delle caratteristiche e degli effetti della stessa su un piano patrimoniale, economico e finanziario – possa arrecare un pregiudizio, non necessariamente attuale ma anche solo potenziale, al soddisfacimento del proprio credito. Tale rischio deve essere valutato considerando che il creditore opponente è creditore della società scindenda, quindi valutando, da un lato, le possibilità di soddisfacimento del credito avendo come riferimento le garanzie economico-patrimoniali che offre tale società prima ed indipendentemente dalla scissione e, dall’altro, le garanzie che offrirebbe, dopo la scissione, la società che rimarrebbe (la scissa) o diverrebbe (la beneficiaria) debitrice.
Ne consegue che colui che si avvale dello strumento dell’opposizione alla scissione deve, pertanto, provare innanzitutto di essere titolare già al momento dell’iscrizione o pubblicazione del progetto di scissione di un credito, anche litigioso o non scaduto né liquido, verso la società scindenda e poi che, dal raffronto tra la consistenza del patrimonio e le prospettive reddituali della società prima dell’operazione e quelle successive emerga la probabile insufficienza delle risorse disponibili a far fronte al complesso dei debiti sociali pregressi.
Domanda di adempimento dell’accordo transattivo stipulato tra la cooperativa e l’amministratore; tardiva costituzione del convenuto contumace
Il convenuto costituitosi in giudizio tardivamente entra nel processo allo stato in cui si trova, non potendo compiere atti processuali che siano ormai preclusi alle parti, salva la prerogativa di cui all’art. 293, ult. co., c.p.c. Pertanto, se costituito dopo la scadenza dei termini previsti all’art. 183, co. 6, c.p.c., lo stesso non può modificare il tema né allegatorio né probatorio cristallizzato durante la contumacia, potendo articolare solo mere difese su questioni rilevabili anche d’ufficio.
Decadenza per non uso del marchio: la prova può essere fornita per presunzioni
In assenza di prova da parte convenuta di fatti impeditivi, chi agisce in giudizio per far valere la decadenza per non uso di un marchio può fornire la prova ai sensi dell’art. 121 C.P.I. mediante presunzioni semplici. La prova del non uso del segno non è una prova di un fatto negativo, ma una prova piena anche per via presuntiva o con “qualunque mezzo” (ex art. 121, 1° comma 1, ultimo periodo) di fatti positivi contrari all’uso ex adverso in ipotesi dedotto, potendosi desumere argomenti di prova ovvero determinate conclusioni dal contegno processuale o dalle prove offerte dal titolare della privativa secondo i principi generali (anche quello di non contestazione che però non vale nel caso, come quello di specie, in cui il convenuto sia rimasto contumace) del codice di procedura civile. Qualora l’attore in decadenza abbia fornito precise e circostanziate allegazioni sul non uso del marchio registrato, spetta al suo titolare dimostrare l’esistenza di fatti impeditivi della decadenza stessa. E’ infatti quest’ultimo, in quanto soggetto agevolato sulla base del principio della vicinitas della prova, a dover contestare la presunzione di non uso introdotta in giudizio dall’attrice.