CTU e ricorso delle parti ex art. 92 disp. att. c.p.c.
Il diritto riconosciuto alle parti del giudizio di far valere, con ricorso ex art. 92, comma 1, disp.att. c.p.c., questioni afferenti ai poteri ed al perimetro dell’incarico conferiti al consulente tecnico può essere azionato solo nel corso delle operazioni peritali, rappresentando una fase interlocutoria tra il CTU, le parti e il giudice. Si deve, dunque, considerare tardivo il ricorso promosso dopo la chiusura delle operazioni peritali e in occasione dell’udienza di disamina.
La funzione ausiliaria della consulenza tecnica di ufficio e la conseguente disciplina delle spese processuali
La consulenza tecnica d’ufficio è un atto compiuto nell’interesse generale di giustizia e, dunque, nell’interesse comune delle parti, trattandosi di un ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso proprio. Le relative spese rientrano pertanto tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c., sicché possono essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, senza violare in tal modo il divieto di condanna di quest’ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica una condanna, ma solo l’esclusione del rimborso.
L’azione di responsabilità degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata anche dalla società
L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori può essere esercitata, oltre che dai soci, dalla società, anche nel caso di s.r.l., sebbene la legge non lo preveda espressamente (a differenza di quanto accade, invece, per le s.p.a.). Infatti, se così non fosse, si precluderebbe al tipo sociale s.r.l. la tutela giudiziaria di propri diritti (l’art. 2476, co. 1, c.c. afferma pur sempre che gli amministratori sono solidalmente responsabili “verso la società”). D’altra parte, quando si tratti di società unipersonale, anche la giurisprudenza minoritaria che nega la legittimazione della società in quanto tale riconosce il diritto di azione in capo alla società; in tal caso, infatti, vi è identità di interessi fra il socio (unico) e la società.
Degli illeciti anticoncorrenziali compiuti dagli amministratori nell’esercizio delle funzioni gestorie risponde solo la relativa società, a meno che l’amministratore abbia agito assolutamente al di fuori della sfera di controllo degli organi sociali.
Revoca di provvedimento cautelare: quando l’esito istruttorio può essere considerato “fatto nuovo”
L’esercizio del potere di revoca di un provvedimento cautelare “processualmente definitivo” richiede l’emersione di un “fatto nuovo”, diverso dal decorso del tempo, e rilevante al fine della rinnovazione sotto il profilo del periculum o del fumus del giudizio cautelare. In linea generale, l’esito di un atto istruttorio non può avere altro effetto, visto il fine per cui viene assunto, che contribuire alla decisione del giudice del procedimento in cui l’atto è raccolto. L’idea di una delibazione constante di ogni esito parziale dell’istruttoria a fini diversi da quello decisorio implica la conseguenza di una potenziale mutazione continua del quadro processuale, foriera peraltro di continua esposizione di provvisori convincimenti del giudice. In termini ricostruttivi si può evitare il rischio suddetto affermando che l’esito di una prova non è un fatto storico, ma un mero fatto processuale. E’ ben vero che l’esito di una prova potrebbe invece apportare un nuovo elemento di giudizio valutabile anche in altro procedimento, ma solo alla condizione che il dato rilevato risulti in sé pacifico, abbia una sua consistenza di mera rilevazione e non di “valutazione” e quindi si sottragga alla necessità del vaglio giudiziario, nella sede propria, per avere una qualsiasi portata.
Diritto di priorità e combinazione di caratteristiche non presenti nella domanda italiana
Il brevetto non può beneficiare della priorità rivendicata quando comprende una combinazione di caratteristiche che non era presente nel modello di utilità italiano. In questo caso, la data di effettiva priorità del brevetto coincide con la data di deposito della domanda internazionale.
Nel valutare il requisito dell’attività inventiva in sede di CTU è corretta la metodica del could-would approach applicata dall’EPO proprio al fine di analizzare quale sarebbe stata la condotta del tecnico del ramo in presenza di un determinato problema tecnico.
La mera produzione di documenti non solleva la parte che contesta la validità del titolo dall’argomentare specificamente la rilevanza di ciascuno di essi.
Limitazione delle rivendicazioni e valutazione del CTU
Nel caso in cui la modifica del brevetto italiano e del brevetto europeo abbia determinato la concessione con rivendicazioni simili, è corretto l’approccio del CTU di ritenere che le differenze pure rimaste nei testi – sostanzialmente di natura formale – non siano di tale entità da indurre a valutazioni diversificate in merito alla sussistenza dei requisiti di novità e attività inventiva, e pertanto di procedere all’esame tecnico considerando sostanzialmente equivalenti tra loro i due brevetti, svolgendo considerazioni e valutazioni riferibili ad entrambi tali titoli brevettuali.
È ammissibile la limitazione della rivendicazione anche laddove possa porre problemi di chiarezza nell’enunciato se agevolmente risolvibili dal tecnico del ramo dalla considerazione dei disegni compresi nei testi brevettuali.
Non è affetta da alcun vizio di nullità la condotta della parte e del CTU, che ha modificato il proprio convincimento, né sussiste alcuna violazione del contraddittorio in caso di deposito di un PTO allegato in sede di nota di replica alla bozza di relazione trasmessa dal CTU.
Natura della consulenza tecnica di parte e preclusioni
La consulenza di parte è un atto difensivo, a prescindere dalla natura tecnica del documento stesso, sicché le censure che attengono al contenuto delle deduzioni dell’ausiliare del giudice, costituendo mere argomentazioni difensive, non incontrano barriera preclusiva alcuna, a differenza delle contestazioni che concernono il procedimento della consulenza tecnica che invece sono assoggettate alla disciplina delle nullità relative di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c.
Le osservazioni critiche alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio possono essere svolte per la prima volta in sede di comparsa conclusionale, in quanto è del tutto sufficiente al fine della corretta esplicazione del contradditorio la possibilità di controdedurre da parte della parte avversa nella sua memoria di replica, fatto salvo il potere del giudice di eventualmente rimettere la questione all’esame del CTU con le conseguenti statuizioni in merito all’imputazione delle relative spese.
Sull’asserita distrazione o sottrazione di beni dal magazzino
La domanda risarcitoria che si fondi su un’asserita distrazione o svendita dei beni del magazzino deve essere rigettata, se emerge che l’effettivo scostamento della valorizzazione del magazzino in bilancio non si fonda sul riscontro di uno scarto tra consistenza materiale del magazzino e quantità di beni valutati, ma sull’applicazione di un diverso criterio di valutazione da parte del CTU rispetto a quello utilizzato in bilancio.
Utilizzabilità della c.t.u. e inadempimento dell’amministratore nell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall.
Nell’ambito di un’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., è inutilizzabile la c.t.u. contabile nella parte in cui sia finalizzata a svolgere indagini ricostruttive della documentazione copiosa e determinante depositata dalla parte in sede di apertura dei lavori peritali. Invero, essendo la c.t.u. uno strumento di conoscenza di fatti, ne deriva che possa avere ad oggetto solo fatti e documenti già versati in atti nel rispetto dell’art. 2697 c.c. La consulenza tecnica non può infatti diventare uno strumento con il quale le parti possono aggirare le decadenze dagli obblighi di allegazione fattuale e deposito documentale in cui sono eventualmente incorse.
È certamente inadempiente e come tale direttamente responsabile l’amministratore che abbia sistematicamente omesso il versamento di tributi e oneri previdenziali, al quale è tenuto ex art. 2392 c.c., gravando il bilancio della società di sanzioni ed interessi che non vi sarebbero stati in presenza di adempimento.
Il fallimento della società controllata: rapporti con la holding, quantificazione del danno e prescrizione
Relativamente al controllo societario esercitato ex art. 2359 c.c., non si configura l’esistenza e l’operatività di una holding di fatto preposta al controllo e alla gestione di una società poi fallita se non sussistono specifici requisiti: una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo, idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa; il comune intento sociale perseguito; l’esteriorizzazione del vincolo societario, tramite la spendita del nome e/o il compimento di attività negoziale nell’interesse della holding; l’organizzazione imprenditoriale autonoma della holding rispetto a quella delle società controllate, volta al coordinamento dei fattori produttivi relativi al gruppo di imprese; l’economicità aggiuntiva ovvero la produzione di un plusvalore dovuto all’attività di direzione e coordinamento (così anche Cass. civ. 20.05.2016, n. 10507; Cass. civ. 18.11.2010, n. 2334). Peraltro, nelle società di fatto tra consanguinei, la prova dell’esteriorizzazione del vincolo societario deve essere rigorosa, dovendosi basare “su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dalla “affectio familiaris” e deporre, invece, nel senso di una sua compartecipazione all’attività commerciale” (a proposito Cass. civ. n. 33230 del 16.12.2019; nello stesso senso, Cass. civ. n. 15543 del 20.06.2013).
Nella quantificazione del danno subito dalla società e dai creditori, il CTU deve utilizzare il criterio della differenza dei netti patrimoniali, effettivamente utilizzabile in presenza di situazioni di prosecuzione dell’attività d’impresa per un periodo di tempo considerevole: tale criterio consente infatti di accertare, in modo attendibile, l’effettiva diminuzione patrimoniale della società, in ipotesi di ingiustificata prosecuzione della liquidazione, quando risulta più problematico ricostruire ex post le singole operazioni non conservative e collegare ad esse un danno al netto dell’eventuale ricavo.
Il termine di prescrizione è quinquennale e decorre, nell’azione sociale di responsabilità, dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno (termine che rimane sospeso, ex art. 2941 n. 7 c.c., fino alla cessazione dalla carica dell’amministratore o del liquidatore, cui si applicano ex art. 2489 co. 2 c.c. le norme in tema di responsabilità degli amministratori), mentre nell’azione a tutela dei creditori sociali il termine di prescrizione decorre da quando è oggettivamente percepibile l’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti, dal momento che – in mancanza di prova contraria, offerta dall’amministratore o dal liquidatore, con riferimento ad una data diversa e anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale – si presume coincidente con la dichiarazione di fallimento (così Cass. civ. n. 24715 del 4.12.2015; Cass. civ. n. 13378 del 12.06.2014).