Le azioni del curatore fallimentare
Il curatore può far valere la responsabilità degli amministratori (nonché del direttore generale e dei liquidatori), della società fallita tanto a mezzo dell’azione sociale, in quanto ve ne siano i presupposti, e cioè il danno prodotto al patrimonio sociale da un atto, colposo o doloso, commesso in violazione dei doveri imposti a loro carico dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto a mezzo dell’azione dei creditori sociali, in quanto ve ne siano i presupposti, vale a dire il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale nella misura in cui sia stato reso insufficiente alla integrale soddisfazione dei creditori della società, da un atto commesso con dolo o con colpa, in violazione degli obblighi funzionali alla conservazione della sua integrità.
Le due azioni, ancorchè diverse, vengono ad assumere nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario ed inscindibile, nel senso che i diversi presupposti e scopi si fondano tra loro al fine di consentire l’acquisizione di quel che è stato sottratto al patrimonio sociale per fatti loro imputabili.
Tuttavia, malgrado entrambe vengano esercitate in forma cumulativa ed inscindibile, esse presentano autonomia giuridica, conservando la loro natura giuridica e disciplina. L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
Criterio di liquidazione del danno da indebita prosecuzione dell’attività di impresa
Nel caso di indebita prosecuzione dell’attività di impresa, il criterio di liquidazione del danno dell’intero deficit patrimoniale, che conduce a quantificare il danno nella differenza tra attivo e passivo fallimentare, rimane utilizzabile, solo quale estremo rimedio, qualora manchi del tutto la contabilità dell’impresa fallita e tale mancanza, ascrivibile all’organo gestorio, abbia precluso ogni accertamento da parte del curatore fallimentare.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall.
L’azione esperita dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. ha una duplice natura: l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori, sindaci e revisori esercitata a tutela della società ha natura contrattuale, mentre l’azione a tutela dei creditori sociali ha natura extracontrattuale. Tale duplice natura si riflette sull’onere della prova: infatti, con riferimento all’azione sociale, è onere dell’amministratore provare l’adempimento degli obblighi sullo stesso gravanti in ragione del ruolo ricoperto e la non imputabilità a sé dei fatti dannosi; invece, con riguardo all’azione aquiliana, la curatela ha l’onere di dimostrare la condotta dolosa o colposa posta in essere dall’amministratore, il danno arrecato ai creditori mediante tale condotta ed il nesso di causalità tra la prima e il secondo.
Al giudice non è consentito sindacare il merito gestorio; pertanto, non sono addebitabili agli amministratori o ai liquidatori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
L’azione di responsabilità del curatore per gli illeciti gestori degli amministratori estesa anche agli amministratori di fatto
Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Nel novero delle operazioni dannose meritano senz’altro di essere comprese le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguono altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo.
Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c. (o 2476 c.c. per le s.r.l.), sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice (2476, sesto comma, c.c. per le s.r.l.). L’azione sociale di responsabilità ha pacificamente natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’inadempimento.
Il mancato deposito delle scritture contabili, il mancato deposito del bilancio annuale di esercizio e la dispersione dell’attivo indicato nell’ultimo bilancio depositato, nonché la quasi integrale assenza di attivo rinvenuto dal curatore sono circostanze di fatto che legittimano la quantificazione del danno ricorrendo al criterio equitativo dello sbilancio non permettendo l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta del amministratore.
L’individuazione della figura del c.d. “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.
Sequestro giudiziario di quote sociali e simulazione del contratto di cessione
Il sequestro giudiziario è ammissibile tutte le volte che ricorra la necessità di garantire l’attuazione di futuri provvedimenti di tutela giurisdizionale, tenuto conto della particolare correlazione esistente tra l’oggetto del sequestro e l’oggetto della pretesa che viene dedotta nel giudizio di merito. In ordine al fumus boni juris della domanda di sequestro, si richiede l’esistenza di una controversia, intesa come esperimento attuale o potenziale (e quindi anche mero contrasto di interessi, senza necessità della pendenza di una lite) di un’azione tipicamente prevista a difesa della proprietà o del possesso (cd. jus in re), nonché di ogni altra azione, anche di natura personale, da cui possa scaturire una pronuncia di condanna alla restituzione o al rilascio della cosa da altri detenuta. In merito al periculum, il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario ove sussista il timore che la durata del processo possa incidere sulla conservazione del bene, dovendosi, peraltro, precisare che la nozione di conservazione nel sequestro giudiziario, a differenza di quanto accade per il sequestro conservativo, non si sostanzia necessariamente nel pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione o alterazione del bene, essendo invece sufficiente, ai fini della opportunità della cautela, che lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determini una situazione tale che, al termine della lite, la parte istante, ove risulti essere vittoriosa, non riuscirebbe ad ottenere il vantaggio spettante, vedendo così pregiudicata l’attuazione del diritto controverso.
Al fine di ritenere integrati gli estremi della simulazione assoluta di un negozio, non è sufficiente la prova della causa simulandi ma è necessario provare specificatamente la natura meramente apparente del contratto.
In tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta del contratto, spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che devono essere valutati non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, all’esito di un giudizio di sintesi di una pluralità di elementi gravi, precisi e concordanti.
La curatela fallimentare assume una posizione di terzietà, ai sensi dell’art. 1417 c.c., in relazione al negozio simulato concluso dal fallito e che si intende inficiare : quindi essa può fornire prova dell’avvenuta simulazione con ogni mezzo ed anche mediante il ricorso a indizi e presunzioni.
Ai fini della prova della simulazione assoluta della cessione di quote di s.r.l., costituiscono indizi precisi e concordanti: a) i rapporti di parentela sussistenti fra le parti del contratto; b) il mancato versamento del corrispettivo al momento della stipula; c) l’irrisorietà del prezzo pattuito, rispetto al valore effettivo; d) la circostanza che l’amministrazione sia rimasta affidata ai cedenti; e) il forte indebitamento dei cedenti; f) la giovane età dei cessionari.
L’onere della prova dell’avvenuto pagamento del prezzo di acquisto incombe sul convenuto e non può ritenersi soddisfatto dalla semplice dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile.
La natura contrattuale della responsabilità del curatore fallimentare, del commissario giudiziale e del liquidatore nel concodato preventivo
Le azioni esperibili nei confronti dei commissari e dei liquidatori giudiziali di una procedura di concordato preventivo sono le stesse previste per il curatore fallimentare. Infatti, ai sensi dell’art. 182 l.fall., qualora il concordato consista nella cessione dei beni e non sia diversamente disposto, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. La stessa norma rimanda alle norme applicabili al curatore fallimentare e, in particolare, richiama gli artt. 37 e 38 l.fall. in tema di revoca e responsabilità.
L’azione volta al riconoscimento della responsabilità del curatore fallimentare ex art. 38 l.fall. ha natura contrattuale, in considerazione della natura del rapporto (equiparabile lato sensu al mandato) e del suo ricollegarsi alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico dell’organo concorsuale. Infatti, la responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell’accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte, potendo discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. In altri termini, la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest’ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l’inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti.
Legittimazione attiva all’accertamento della violazione della postergazione legale dei finanziamenti dei soci
Il liquidatore non è legittimato a dolersi della presunta violazione della postergazione legale dei finanziamenti dei soci, essendo un fatto neutro, per la società, la destinazione di risorse al pagamento di un debito sociale, piuttosto che di un altro. In relazione a tale domanda, dunque, difetta la legittimazione attiva del liquidatore, che agisce esclusivamente nell’interesse della società, trattandosi di tutela apprestata in favore dei creditori sociali. Soltanto al Curatore fallimentare, infatti, è riconosciuta la peculiare legittimazione ad agire nell’interesse della società ed anche dei creditori sociali, in quanto rappresentante della massa dei creditori, giacchè, com’è noto, l’azione di responsabilità prevista ex art. 146 l. fall. cumula le due azioni previste ex art. 2476 c.c., commi 3 e 6, per le s.r.l., nonché dagli artt. 2393 e 2394 c.c. per le s.p.a., come pure espressamente previsto ex art. 2394-bis c.c.
Criteri di liquidazione del danno nell’azione di responsabilità dell’amministratore. La prova della simulazione da parte del curatore
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.
La sola mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili è circostanza in sé non dirimente, ma, in un quadro più complesso di gravi inadempienze, colora ulteriormente la condotta dell’amministratore (an) in termini di ampiezza, avvalorando la sussistenza di una condotta generalizzata idonea a porsi come causa del danno lamentato, suscettibile di essere liquidato per via equitativa ove la detta mancata o irregolare tenuta delle scritture sociali impedisca l’accertamento degli specifici effetti dannosi. In coerenza a ciò, il giudice, quando si avvalga del criterio equitativo per la quantificazione del danno, deve indicare le ragioni per le quali, da un lato, l’insolvenza sarebbe stata conseguenza delle condotte gestionali dell’amministratore e, dall’altro, l’accertamento del nesso di causalità materiale tra queste ultime ed il danno allegato sarebbe stato precluso dall’insufficienza delle scritture contabili sociali.
Il criterio del c.d. differenziale dei netti patrimoniali trova utilizzo nei casi in cui sia possibile ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e concludere che, nel caso in cui la gestione caratteristica non fosse proseguita sino al momento dell’apertura del concorso dei creditori, ma fosse cessata prima, la perdita di patrimonio sociale sarebbe stata inferiore. In tali ipotesi l’antigiuridicità della condotta degli amministratori discende dai principi dettati dall’art. 2447 c.c., che impone, unitamente a quelli di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., la convocazione dell’assemblea dei soci per l’adozione di una delibera “salvifica” (trasformazione o ricapitalizzazione), o, in difetto, la messa in liquidazione della società, in tutti i casi in cui la perdita di esercizio abbia l’effetto di ridurre il capitale sociale al di sotto dei limiti fissati dalla legge.
Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore ai sensi dell’art 2393 c.c. – sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale, sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale, sia, infine, che si configuri più genericamente come effetto di responsabilità ex lege, e tanto se si tratti di danno emergente come di lucro cessante – riveste natura di debito di valore e non di debito di valuta, il quale è, pertanto, sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, ancorché il danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo questo, in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare dello stesso, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo.
Nel giudizio in cui eserciti l’azione di simulazione spettante al contraente fallito, il curatore stesso cumula la legittimazione già spettante al fallito con quella già spettante ai creditori, agendo pertanto, come terzo quoad probationis. Pertanto, la prova della simulazione da parte del curatore è pienamente ammessa senza limiti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1416, co. 2, e 1417 c.c. e, dunque, sia a mezzo testimoni che per presunzioni.
Il danno cagionato dagli amministratori con pagamenti preferenziali e la irregolare tenuta delle scritture contabili
Se i pagamenti preferenziali sono certamente dannosi per la massa dei creditori e il curatore del fallimento è l’unico soggetto legittimato ad agire per il relativo risarcimento, tale danno non può essere indentificato nell’intero importo versato, volto comunque a estinguere una passività societaria. Il danno andrà piuttosto quantificato in via equitativa in relazione all’entità della falcidia fallimentare e all’art. 185 c.p., anche alla luce di eventuali vantaggi dell’autore dei pagamenti, che per esempio abbia estinto debiti societari assistiti da proprie garanzie personali.
Se, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio, non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Non tutti i comportamenti illeciti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti. L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore, solo potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.
L’effetto sanante dell’autorizzazione successiva del giudice delegato a integrazione dei poteri del curatore
La mancanza di autorizzazione del giudice delegato a integrazione dei poteri spettanti al curatore nello svolgimento di attività negoziali, comporta l’annullabilità, ai sensi dell’art. 1441 c.c., degli atti che ne sono privi, annullabilità che può essere fatta valere dalla stessa curatela. L’autorizzazione tardiva a rinunciare agli atti del giudizio ha un effetto sanante rispetto alla rinuncia già compiuta. Infatti, il vizio di difetto di autorizzazione (al pari, ad esempio, di quello relativo al difetto di rappresentanza disciplinato dall’art. 182 c.p.c.) è certamente sanabile trattandosi della violazione di una norma processuale dettata nell’interesse di quella stessa parte che ha, con la tardiva pronuncia dell’atto autorizzativo, mostrato di volere rimediare alle originarie carenze dell’atto stesso.