L’azione del socio nei confronti dell’amministratore nelle società di persone
Anche nelle società di persone, pur in assenza di apposita disposizione, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, in termini sostanzialmente analoghi a quanto prevede, in materia di società per azioni, l’art. 2395 c.c. Tuttavia, essendo la natura extracontrattuale e individuale dell’azione del socio fondata sull’art. 2043 c.c., l’applicazione dell’art. 2395 c.c. deve essere letta in combinato disposto alla sopracitata norma generale in tema di responsabilità extracontrattuale. Ciò implica che il pregiudizio recato non deve essere il mero riflesso dei danni eventualmente prodotti al patrimonio sociale, ma i danni devono essere stati direttamente causati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori.
Per rendiconto deve intendersi la situazione contabile che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio, che è la sintesi contabile della situazione patrimoniale della società.
Azione individuale del socio e prova del danno in caso di operazioni di ricapitalizzazione
Nessun danno subisce il socio dalla perdita della partecipazione sociale priva di valore in una società operante a patrimonio netto negativo. Le condotte degli organi sociali riconducibili all’alterazione dei dati contabili non possono avere incidenza causale sulla genesi del danno da perdita della partecipazione sociale quando questo derivi dalle perdite maturate dalla società nell’esercizio dell’attività di impresa.
Affinché possa configurarsi un danno nei confronti del socio ai sensi dell’art. 2395 c.c., è necessario che l’ostacolo all’esercizio da parte del socio del diritto di opzione mediante compensazione del credito da finanziamento iscritto a bilancio gli abbia precluso la partecipazione a una ricapitalizzazione effettivamente necessaria, che avrebbe riportato la società a operare in condizioni di equilibrio economico e finanziario. In mancanza del prospettato rifiuto da parte dell’amministratore di consentirle la compensazione nei limiti del credito da finanziamento socio riconosciuto in bilancio non può ritenersi imputabile agli organi sociali la mancata sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte del socio, essendo la mancanza della liquidità necessaria a provvedervi evento riferibile solo a quest’ultimo.
Mancata percezione degli utili e diminuzione di valore della partecipazione
L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché tanto l’art. 2395 c.c. – in materia di S.p.A. – quanto l’art. 2476, comma 7, c.c. – in materia di S.r.l. – esigono che il singolo socio o il terzo sia stato danneggiato ‘direttamente’ dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.
Profili sostanziali e processuali della responsabilità degli amministratori di s.r.l.
Mentre nel caso di esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte del socio in nome proprio, ma nell’interesse della società (art. 2476, co. 3, c.c.), la società è litisconsorte necessario e quindi deve essere necessariamente citata in giudizio, se del caso in nome di un curatore speciale qualora l’azione sia proposta dal socio contro l’amministratore in carica, altrettanto non può dirsi nell’ipotesi di azione del socio per il risarcimento dei danni propri, direttamente sofferti dallo stesso per illecite condotte (omissive o commissive) dell’amministratore, unico legittimato passivo.
La circostanza che, in base all’art. 2476, co. 3, c.c., a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della propria partecipazione al capitale sociale e senza una previa deliberazione assembleare con previsione di particolari quorum sia attribuita la titolarità dell’esercizio dell’azione sociale, non significa che la società, titolare del diritto al risarcimento del danno tanto da potervi anche rinunciare, non sia legittimata all’esercizio dell’azione in questione – non si può invero ipotizzare l’attribuzione di diritti di natura sostanziale, cui non si accompagni anche la legittimazione a farli valere in giudizio –, ma sta solo a significare che il socio di s.r.l. è legittimato all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nell’interesse della società stessa (art. 81 c.p.c.), benché, con ogni evidenza, non sia titolare del diritto al risarcimento del danno sofferto dalla società, potendo invero costui far valere iure proprio il diritto al risarcimento dei danni personalmente subiti solo nell’ipotesi di azione extracontrattuale, di cui al successivo sesto [ora settimo] comma dell’art. 2476 c.c.
Di revoca dell’amministratore di s.r.l. ex art. 2476, co. 3, c.c. si può parlare solo in termini di revoca cautelare, se del caso proponibile anche ante causam. L’azione ex art. 2476, co. 3, c.c. consente l’adozione di una misura cautelare tipizzata meramente strumentale e preventiva all’azione sociale di responsabilità prevista dal medesimo articolo, avente contenuto solo risarcitorio, dovendosi invero escludere l’esistenza nel merito, in favore del socio, di un diritto alla revoca che consenta di rimuovere definitivamente gli amministratori al di fuori della procedura assembleare, di cui agli artt. 2479 e 2479 bis c.c. Non è, quindi, prevista dall’ordinamento un’azione di merito tendente alla sola revoca degli amministratori. Presupposti per l’adozione di siffatto provvedimento cautelare tipico – oltre al permanere, al momento della decisione sull’istanza, del rapporto gestorio fra la società e la persona fisica della cui revoca dalla carica si tratta – sono: (i) la verosimile fondatezza, in base ad una delibazione necessariamente sommaria, sia della lamentata violazione da parte dell’amministratore degli obblighi ad esso incombenti in base alla legge e all’atto costitutivo in dipendenza del rapporto gestorio con la società, sia del concreto pregiudizio al patrimonio della società derivato, in base a rapporto di causalità diretta, dall’inadempimento di tali obblighi; (ii) la qualificazione dei fatti imputati all’amministratore, quali risultanti dalla predetta prospettazione del denunciante, in termini di “gravi irregolarità nella gestione della società”. Nel caso di revoca cautelare dell’amministratore ex art. 2476, co. 3, c.c., non si può in alcun caso procedere alla nomina di un amministratore giudiziario, come invece previsto nella procedura ex art. 2409 c.c., in quanto sono i soci che devono procedere alla nomina di un nuovo amministratore, al posto di quello revocato in via cautelare.
Le mere irregolarità formali, tanto nella redazione del bilancio quanto nella tenuta delle scritture contabili obbligatorie (art. 2214 c.c.), non sono di per sé causa di danno e conseguentemente fonte di obbligo risarcitorio a carico dell’amministratore, dovendosi sempre verificare, ai fini risarcitori, l’esistenza di concreti danni patrimoniali sofferti dalla società in conseguenza della condotta dell’organo amministrativo.
Gli utili non conseguiti dalla società a causa della condotta dannosa dell’amministratore non costituiscono danno diretto del socio
L’azione di responsabilità contemplata dall’art. 2476 comma 7 (di natura extracontrattuale in quanto applicazione dell’art. 2043 c.c.) presuppone l’esistenza di un danno subito dal singolo socio direttamente, e non come mero riflesso del danno sociale di cui solo la Società direttamente o per via surrogatoria del socio ex art 2476 co 3 c.c. può chiedere il risarcimento all’amministratore. In particolare la mancata percezione di utili costituisce danno diretto del socio solo in ipotesi (i) di utili effettivamente conseguiti dalla società e (ii) di cui si sia deliberata la distribuzione al socio; qualora, invece, si è dedotto che gli utili non sono stati conseguiti dalla società a causa della condotta dannosa dell’amministratore, il danno lamentato dal socio non è un danno diretto.
Il danno diretto nell’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c.
La prospettazione da parte del socio o del terzo di un danno meramente riflesso rispetto alla lesione alla garanzia patrimoniale della società non integra le condizioni essenziali per l’accoglimento dell’azione ex art. 2395 c.c. Infatti, l’azione individuale del socio o del terzo nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisce solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio, o il terzo, sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
A norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.fall.
Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori. La destinazione del patrimonio sociale di una società in sofferenza patrimoniale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare, e il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.
Il pagamento preferenziale può arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, perché si tratta di operazione neutra per il patrimonio sociale, che vede diminuire l’attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito.
Insussistenza del danno diretto e operatività dell’eccezione di giudicato nel giudizio per responsabilità ex art. 2476 c.c.
Il socio di S.r.l. che proponga azione risarcitoria nei confronti dell’ex amministratore ex art. 2476 c.c. per danno diretto ed immediato non può avere patito dunque alcuna lesione alla propria sfera giuridica e patrimoniale discendente da una vicenda negoziale della società o comunque da condotte addebitate all’ex amministratore da tempo concluse al momento del suo ingresso nella compagine sociale.
Al medesimo esito negativo è destinata l’azione sociale di responsabilità promossa dal socio ex art. 2476 c.c. per danno cagionato dall’amministratore alla società qualora sulla medesima vicenda sia calato il giudicato. A tal fine va in primo luogo accertato che si tratti della stessa azione risarcitoria, valutando la coincidenza soggettiva tra il titolare del diritto risarcitorio azionato e il soggetto citato quale responsabile della lesione nonché la coincidenza oggettiva, sia rispetto alla causa petendi che al petitum (a riguardo, l’identità delle pretese risarcitorie non viene meno quand’anche nella prima contesa il perimetro del giudizio fosse stato più ampio). Inoltre, si deve considerare se il provvedimento decisorio sia idoneo al passaggio in giudicato materiale, avendo ad oggetto il merito della pretesa risarcitoria, ed abbia acquisito la stabilità di cosa giudicata formale ex art. 324 c.p.c.
Il cessionario della totalità del capitale sociale non acquista il diritto all’azione ex art. 2395 c.c.
Deve ritenersi valida la dichiarazione dell’acquirente delle partecipazioni sociali di rinuncia all’esercizio dell’azione ex art. 2395 c.c. indirizzata agli amministratori e soci della società oggetto di acquisto. La dichiarazione deve ritenersi sufficientemente determinata anche quando faccia riferimento generico ai fatti inerenti l’acquisto delle partecipazioni.
Legittimato all’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. (così come ex art. 2497 c.c.) è il socio che era tale nel momento in cui si è verificato il danno al valore o reddittività della partecipazione. Tale danno, inerendo alla partecipazione, si manifesta direttamente nel patrimonio personale del socio, sub specie di danno all’investimento: è solo in questo patrimonio che si determina la diminuzione di valore della partecipazione o la sua mancata reddittività. Ne consegue che il diritto al risarcimento ex art. 2395 c.c. non circola unitamente alla partecipazione ed invece separatamente da essa. Perciò il socio mantiene la legittimazione ad agire, rispetto a danni subiti alla partecipazione quando era socio, anche dopo che ha ceduto la partecipazione ad altri. E viceversa, i cessionari non acquistano, per il solo fatto di essere cessionari della partecipazione, il diritto al risarcimento del danno causato dall’abuso antecedente all’acquisito salvo specifiche pattuizione contenute nel contratto di cessione.
La nullità di cui all’art. 1229 c.c. deve ritenersi predicabile delle rinunce preventive, non di quelle successive. La ragione del divieto sanzionato da nullità non ricorre quando l’accordo o l’impegno siano assunti dopo che la condotta da cui potrebbe sorgere la responsabilità si sia già compiuta e quindi in un momento in cui il creditore sia posto in condizione di esaminare la condotta fonte di responsabilità. Non si tratta infatti di accordo preventivo di esonero di responsabilità per dolo o colpa grave, ma dichiarazione di rinuncia ad un proprio diritto di azione e ad un (eventuale) credito risarcitorio.
Responsabilità dell’amministratore per danni diretti cagionati al singolo socio
L’elemento di diversità dell’azione individuale di responsabilità ex artt. 2476, co. 6 [ora 7], per le s.r.l., e 2395, per le s.p.a, c.c. rispetto all’azione sociale ed a quella dei creditori è rappresentato dall’incidenza diretta del danno sul patrimonio del socio o del terzo. Infatti, mentre l’azione sociale è finalizzata al risarcimento del danno al patrimonio sociale, che incide soltanto indirettamente sul patrimonio dei soci per la perdita di valore delle loro azioni o della loro quota sociale, e l’azione dei creditori sociali mira al pagamento dell’equivalente del credito insoddisfatto a causa dell’insufficienza patrimoniale causata dall’illegittima condotta degli amministratori, e quindi ancora una volta riguarda un danno che costituisce il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società, l’azione individuale postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società.
Al contrario, non rileva che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale danno sia o meno ricollegabile a un inadempimento della società, né infine che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio, dato che la formulazione dell’art. 2395 c.c. pone in evidenza che l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito, appunto, dall’incidenza del danno.
L’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l. può essere esercitata sia dalla società, titolare del diritto al risarcimento del danno, sia dal socio, indipendentemente dalla consistenza della partecipazione sociale. Tuttavia, il socio – non essendo titolare del diritto al risarcimento del danno – fa valere in nome proprio il diritto spettante alla persona giuridica. Ne consegue, dunque, che la società – quale soggetto titolare del diritto in favore del quale si esercita l’azione – deve necessariamente partecipare, ex art. 102 c.p.c., sia al processo relativo all’azione sociale, sia ad eventuali procedimenti cautelari. Qualora, poi, al momento dell’esercizio dell’azione sociale, il soggetto asseritamente responsabile dei danni al patrimonio sociale sia ancora titolare dei poteri di rappresentanza sostanziale della società, è necessaria la nomina di un curatore speciale ex art. 78, co. 2, c.p.c.
La figura dell’amministratore di fatto ricorre qualora un soggetto, non formalmente investito della carica, si ingerisca nell’amministrazione, esercitando (di fatto) i poteri propri inerenti alla gestione della società. In particolare, sussiste la figura dell’amministratore di fatto ove ricorrano le seguenti condizioni: (i) assenza di una efficace investitura assembleare; (ii) attività esercitata (non occasionalmente, ma) continuativamente; (iii) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto. Sicché, è amministratore di fatto chi, senza valido titolo gestisce, da solo o anche con l’amministratore formale, la società, esercitando con sistematicità e completezza un potere di fatto corrispondente a quello degli amministratori di diritto.
Nell’ambito della disciplina delle società a responsabilità limitata non è specificamente prevista un’azione di merito volta alla revoca dell’amministratore. Il terzo comma dell’art. 2476 c.c. disciplina esclusivamente l’azione di risarcimento del danno e la revoca dell’amministratore in via d’urgenza, non consentendo, quindi, al giudice alcun potere di sostituire la propria volontà a quella dei soci della società nella nomina di altro amministratore in luogo di quello revocato. Del resto, la riforma del diritto societario – che, da una parte, non ha più previsto la decadenza automatica dalla carica dell’amministratore in presenza della deliberazione assembleare di esercitare l’azione di responsabilità e, dall’altra, non ha inteso conservare l’applicabilità alle società a responsabilità limitata dell’istituto di cui all’art. 2409 c.c. – ha introdotto la nuova misura della revoca dell’amministratore in sede cautelare: l’art. 2476 c.c. prevede, quale strumento cautelare tipico, la revoca dell’amministratore per gravi irregolarità in relazione alla domanda di merito, volta alla condanna del medesimo al risarcimento del danno patito dalla società, azione esercitabile da ciascun socio, ma volta a reintegrare il patrimonio sociale del pregiudizio a questo cagionato.