Legittimazione all’impugnazione della delibera assembleare ed effetti della sospensiva cautelare
L’azione di annullamento delle delibere assembleari presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. È pertanto privo di legittimazione attiva ad impugnare una delibera assembleare colui che non era socio al momento dell’adozione della suddetta delibera, avendo egli perso la sua qualità di socio in conseguenza di una precedente delibera di esclusione di cui sia pur stata disposta la sospensione in via cautelare in un secondo momento.
La sospensiva cautelare di una delibera assembleare non retroagisce al momento della domanda ma produce i suoi effetti soltanto a partire dalla sua concessione. Invero, unicamente la sentenza di merito determina la rimozione totale del provvedimento gravato, provocando l’eliminazione, con efficacia ex tunc, degli effetti medio tempore prodotti e con preclusione di eventuali sue reiterazioni pedisseque, in virtù dell’exceptio rei judicatae: effetti, questi ultimi, che non conseguono in alcun modo alla mera sospensione interinale. Pertanto, alla sospensione della delibera assembleare di esclusione del socio deve essere ascritta la mera finalità di evitare che la durata del processo possa incidere irreversibilmente sulla posizione del socio stesso, qualora, all’esito del giudizio, egli venga confermato tale (natura conservativa), consentendo un ripristino provvisorio del rapporto societario ed evitando che la posizione di socio venga ad essere definitivamente compromessa, non solo non percependo gli utili, ma anche e soprattutto non potendo influire – cosa ancora più evidente quando si tratti, come nel caso concreto, di società di persone – sull’amministrazione e gestione della società.
Quando due giudizi tra cui sussiste pregiudizialità risultino pendenti davanti al medesimo ufficio giudiziario, non deve disporsi la sospensione di quello pregiudicato, ma occorre verificare la sussistenza dei presupposti per la riunione dei processi ai sensi dell’art. 274 c.p.c.
Decorrenza del termine di impugnazione della delibera di aumento di capitale di s.r.l.
In tema di società a responsabilità limitata, il termine per l’impugnazione delle delibere relative ad operazioni sul capitale, qualunque sia il vizio fatto valere (nullità o annullabilità) è di novanta giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci, nonché, in forza del rinvio operato dall’art. 2479-ter c.c., ultimo comma, all’art. 2379-ter c.c., 1 comma, quello di centottanta giorni decorrente dall’iscrizione della stessa nel registro delle imprese, laddove sia stata adempiuta solo questa formalità e non l’altra.
Quorum costitutivo e deliberativo per le decisioni dei soci della s.r.l. e invalidità della delibera adottata in violazione dei detti quorum.
Non è nulla la clausola dello statuto che prevede che il quorum costitutivo previsto per l’assemblea dei soci sia più basso del quorum deliberativo, potendosi così verificare l’ipotesi di un’assemblea regolarmente costituita ma impossibilitata a prendere validamente qualsivoglia decisione, risolvendosi sostanzialmente in un difetto di coordinamento che, al più, rende inutile il raggiungimento del quorum costitutivo, qualora non sia raggiunta la superiore maggioranza richiesta per la deliberazione.
La previsione dell’unanimità per le decisioni dei soci della s.r.l. non risulta di per sé preclusa dalle norme del codice civile in quanto, mentre in materia di S.p.A. il codice limita le modifiche statutarie dei quorum previsti per le deliberazioni sociali alla possibilità di prevedere una “maggioranza più elevata” (art. 2368 c.c.) − elemento da cui si deriva l’inderogabilità statutaria del principio maggioritario − con riferimento alle S.r.l., a seguito della riforma operata dal d.lgs. n. 6/2003, il rinvio all’autonomia statutaria risulta assai più ampio, essendo la regola maggioritaria prevista “salva diversa disposizione dell’atto costitutivo”.
Ai sensi degli artt. 2479 ter e 2377 c.c. per le decisioni dei soci “che non sono prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo”, la delibera assunta in violazione del quorum deliberativo legale o statutario − esistente e provvisoriamente efficace − è annullabile, essendo la categoria della nullità riservata ad ipotesi tassativamente individuate.
Sulla validità degli atti posti in essere dall’amministratore invalidamente nominato in caso di annullamento della delibera di nomina
Gli atti compiuti dagli amministratori illegittimamente nominati sopravvivono anche all’eventuale annullamento della nomina stessa, dovendo la regola della retroattività giuridica della sentenza di annullamento di una delibera essere necessariamente temperata dalla limitata possibilità di ripristinazione della situazione giuridica preesistente in senso materiale. Dunque, la retroattività degli effetti delle sentenze di annullamento non è assoluta, ma incontra dei limiti, anche al fine di garantire la certezza dei rapporti medio tempore sorti. Con specifico riferimento al tema della legittimità degli atti posti in essere in esecuzione di delibera assembleare annullabile, cui attiene l’istituto della sospensione ai sensi dell’art. 2378 c.c., deve ritenersi che la sospensione dell’esecuzione della deliberazione, disposta dal giudice, rende illegittimi gli atti di esecuzione che vengano ciononostante posti in essere. Al contrario, la mancanza di un provvedimento di sospensione comporta la legittimità degli atti esecutivi, ancorché relativi a una delibera annullabile, e tale legittimità resiste al sopravvenire dell’annullamento, non travolgendo gli atti di gestione posti in essere medio tempore.
Ciò non comporta che i singoli atti, aventi contenuto negoziale, non possano essere rimossi su iniziativa dalla società, ma ciò è possibile, atto per atto, se ricorrano i presupposti dell’art. 2475 ter c.c., ossia l’ipotesi della conclusione di contratti da parte di amministratore in conflitto di interessi con la società.
L’annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 2378, co. 3, c.c., non incide – ancorché ne possa derivare una modifica della composizione della maggioranza allorquando non sia stata seguita dall’integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci – sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza, poiché l’omessa adozione del provvedimento di sospensione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali.
Determinazione del compenso degli amministratori di società di capitali
In base al combinato disposto degli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2389, co. 1, c.c., la determinazione del compenso degli amministratori di società per azioni è rimessa in primo luogo all’atto costitutivo e, solo ove esso non provveda, all’assemblea ordinaria. Resta di conseguenza escluso che l’assemblea possa accordare agli amministratori un compenso ulteriore rispetto a quello già previsto dallo statuto, senza una apposita modifica di questo.
La disciplina dettata in materia di compenso degli amministratori nella s.p.a. è applicabile anche alla s.r.l.
Sostituzione della delibera assembleare invalida di s.r.l.
È applicabile anche alle deliberazioni della s.r.l. la disposizione di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., richiamata dall’art 2479 ter, co. 4, c.c.; la norma dispone che l’annullamento della prima deliberazione adottata non può essere pronunciato se la stessa sia stata sostituita da altra, presa in conformità della legge e dell’atto costitutivo. La sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge sussiste se la nuova deliberazione ha un identico contenuto, cioè provvede sui medesimi argomenti della deliberazione impugnata, ferma soltanto l’avvenuta rimozione dell’iniziale causa di invalidità.
Vizi della relazione sulla gestione e invalidità del bilancio
La previsione della seconda convocazione rinviene la sua ratio nel favor deliberationis sotteso alla eliminazione del quorum costitutivo previsto per la prima (art. 2369, co. 3, c.c.). In tanto l’assemblea in seconda convocazione potrà svolgersi, in quanto quella in prima convocazione, regolarmente costituita, si sia svolta. Il mancato svolgimento della prima assemblea – trattandosi di fatto negativo – può essere provato in ogni modo, ma in primis, certamente, provando che l’assemblea in prima convocazione si è correttamente costituita. La delibera assembleare societaria, assunta in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata inesistente, in quanto essa possiede tutti gli elementi per essere riconducibili al modello legale delle deliberazioni assembleari e pone solo problemi di validità legati all’accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione (di seconda convocazione).
La violazione dei canoni di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. comporta l’illiceità della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione di norme imperative in materia contabile. Nondimeno, la nullità della delibera può essere rilevata solo nella misura in cui: (i) la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo d’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza; oppure (ii) in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.
La relazione sulla gestione di cui all’art. 2428 c.c. ha una funzione di illustrazione ampiamente valutativa della situazione economico/gestionale della società e non è oggetto di delibera assembleare in quanto non propriamente parte del bilancio d’esercizio. Tuttavia, i vizi informativi che affliggono la relazione sulla gestione possono determinare la nullità della deliberazione nella misura in cui siano tali da rendere non chiaramente intellegibile o addirittura da falsare sul punto il bilancio. In particolare, se i vizi sono collegati a mancanze non connesse ai dati di bilancio, questi possono determinare solo la annullabilità del bilancio o la nullità dell’allegato; se i vizi invece sono connessi ad informazioni direttamente collegabili a dati contenuti nel bilancio d’esercizio, questi comportano la nullità della delibera assembleare di approvazione del bilancio se ed in quanto la loro capacità decettiva sia tale da inficiare chiarezza, correttezza e veridicità delle corrispondenti voci di bilancio.
Mancata impugnazione della delibera di approvazione del bilancio sostitutiva di quella invalida e carenza di interesse ad agire
L’interesse ad agire del socio dissenziente viene meno qualora quest’ultimo – dopo aver impugnato la delibera di approvazione del bilancio di esercizio – ometta di impugnare la delibera approvativa del bilancio sostitutivo. Infatti, l’accoglimento della domanda non produrrebbe alcuna utilità concreta all’attore rispetto alla lesione denunciata ed al sottostante interesse sostanziale. L’impugnante non potrebbe conseguire, cioè, alcun bene della vita dall’eventuale accoglimento della propria pretesa, giacché il documento contabile gravato è stato nel frattempo sostituito, in ambito endosocietario, da un altro dotato di autonoma efficacia.
Se il socio impugnante una delibera di approvazione del bilancio d’esercizio della società non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace.
Inesistenza, nullità e annullabilità della delibera assembleare
La disciplina in materia di vizi determinanti l’annullamento e la nullità delle delibere assembleari è autonoma rispetto alle norme generali che sanciscono le ipotesi di nullità e annullabilità dei contratti. In particolare, mentre nella materia negoziale l’azione di nullità ha portata generale poiché fondata sulla contrarietà dell’atto a norme imperative ed è l’azione di annullamento ad essere speciale (cioè esperibile nei soli casi previsti dalla legge), nel diritto societario, al contrario, la regola generale è quella dell’annullabilità.
In materia societaria, la categoria della nullità ha carattere residuale ed è limitata alle ipotesi di contrasto del contenuto di una deliberazione con norme preposte a tutela di interessi generali. Viceversa, il contrasto con norme volte alla tutela di interessi dei singoli soci o gruppi di essi (ossia dirette a regolare la fase procedimentale e le modalità di formazione della volontà dell’ente societario) determina di per sé la semplice annullabilità della deliberazione.
In conformità alla ratio di tale regime, cioè garantire stabilità e certezza all’attività sociale a beneficio della società stessa nonché dei terzi, non sono configurabili ipotesi di invalidità atipiche, come l’inesistenza delle deliberazioni assembleari. Pertanto, si può parlare di inesistenza della deliberazione assembleare solo in relazione a pronunce aventi ad oggetto esclusivamente fattispecie nelle quali l’atto impugnato non sia definibile come deliberazione, non trattandosi di atto nemmeno astrattamente imputabile alla società o, pur sussistendo un atto qualificabile come tale, esso registri uno scostamento dal modello legale così marcato da non permetterne la riconduzione alla categoria stessa di deliberazione assembleare.
Non si versa in ipotesi di inesistenza in caso di delibera proveniente da assemblea partecipata anche da uno solo dei soci o di delibera adottata con voto determinante di soggetti non legittimati al voto e cioè quando la decisione sia esteriormente riconducibile all’organo decisionale societario ed ascrivibile al genus della delibera assembleare, per la presenza di almeno uno degli elementi essenziali alla identificazione della fattispecie.
Allo stesso modo, vizi quali il mancato raggiungimento del quorum costitutivo, la simulazione dell’incontro assembleare e l’inosservanza degli obblighi di preventiva informazione sono riconducibili alle ordinarie ipotesi di invalidità (i.e. nullità o annullabilità) e, pertanto, devono essere fatti valere entro i termini previsti dalla legge.
L’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di s.r.l., visto il richiamo espresso realizzato dall’art. 2479 ter, co. 4, c.c. all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., non può essere proposta dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, per esigenze di certezza dei rapporti giuridici.
Impugnazione di deliberazione di approvazione del bilancio e compromettibilità in arbitri
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili.