Sopravvenuta perdita della qualità di socio nelle more del procedimento ex art. 669 novies c.p.c.
Effetti processuali del fallimento sul pendente giudizio di responsabilità dell’amministratore
A seguito del fallimento di una s.r.l., il socio che abbia promosso l’azione di responsabilità sociale nella qualità di sostituto processuale della società ai sensi dell’art. 2476, co. 3, c.c., perde la legittimazione e così pure il singolo creditore che abbia proposto l’azione del creditore sociale. Il fallimento è legittimato in via esclusiva ad agire con l’azione ex art 146 l.fall., azione che assorbe sia l’ azione sociale sia azione dei creditori sociali, quest’ultima configurandosi, in costanza di procedura fallimentare, come azione di massa.
Ne consegue che, nel caso di giudizio di responsabilità già pendente verso l’organo amministrativo della società, qualora intervenga il fallimento compete solo al curatore la decisione di proseguire con le azioni originariamente promosse accettando la causa nello stato in cui si trova con le eventuali preclusioni assertive ed istruttorie già maturate. In difetto di ciò, la domanda va dichiarata improcedibile per la sopravvenuta carenza di legittimazione attiva degli originari attori.
Spetta dunque solo al fallimento valutare se coltivare o meno la causa interrotta, a nulla rilevando le ragioni concrete e le strategie difensive sottese a tale scelta, che ben potrebbe derivare anche dalla volontà di abbandonare la causa pendente e intraprendere una nuova azione ex art. 146 l.fall, che cumuli l’azione sociale e quella dei creditori. Né può sostenersi che la mancata riassunzione da parte del fallimento, cui consegue ex lege l’estinzione del giudizio, possa essere interpretata come una rinuncia definitiva all’azione, essendo a tal fine richiesta una esplicita ed inequivocabile manifestazione di volontà del curatore, con la quale egli dichiari di voler rinunciare a far valere l’azione risarcitoria, così disponendo del diritto controverso.
Stante la legittimazione esclusiva della curatela, il giudizio per mala gestio già pendente, interrotto a seguito della declaratoria di fallimento della società danneggiata, non può procedere nemmeno per impulso di altri convenuti, destinatari delle domande originariamente proposte, nei loro confronti, dalla società, dal socio o dai creditori. Finché dura il fallimento resta dunque proponibile, da parte di soggetti diversi dal fallimento, solo l’azione per danno diretto.
Il danno diretto nell’azione di responsabilità ex art. 2395 c.c.
La prospettazione da parte del socio o del terzo di un danno meramente riflesso rispetto alla lesione alla garanzia patrimoniale della società non integra le condizioni essenziali per l’accoglimento dell’azione ex art. 2395 c.c. Infatti, l’azione individuale del socio o del terzo nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisce solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio, o il terzo, sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.
A norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.fall.
Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori. La destinazione del patrimonio sociale di una società in sofferenza patrimoniale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare, e il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.
Il pagamento preferenziale può arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, perché si tratta di operazione neutra per il patrimonio sociale, che vede diminuire l’attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito.
Legittimazione ad impugnare del socio che ha perso tale status per effetto della delibera impugnata e legittimità della compensazione delle perdite con i crediti verso i soci per finanziamenti
E’ infondata l’eccezione di difetto di legittimazione e di difetto di interesse ad agire in capo all’attore, non più socio al momento della proposizione dell’impugnazione, dal momento che nel caso in esame il venir meno della qualità di socio è diretta conseguenza della deliberazione impugnata. [ LEGGI TUTTO ]
Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci promossa da una procedura concorsuale: questioni preliminari e di merito
Il giudizio di accertamento di una condotta gestoria non corretta da parte degli amministratori di una società e di una violazione dei doveri di controllo spettanti ai sindaci non dà luogo ad una fattispecie di vero e proprio litisconsorzio necessario sostanziale, ma sussiste un rapporto di “dipendenza” [ LEGGI TUTTO ]