Ambush marketing e personaggi di Star Wars
La figura dell’ambush marketing costituisce un’ipotesi di concorrenza sleale contraria alla correttezza professionale che già può trovare tutela nell’alveo generale dell’art. 2598, comma 3, c.c. ma che talora, per eventi di particolare rilevanza, il legislatore – nazionale ed internazionale- ha ritenuto di disciplinare con una disposizione ad hoc e, in particolare, con l’art. 21 del Codice del Consumo.
E’ configurabile un rapporto di concorrenza anche nel caso d’imprenditori operanti a diverso livello, purché l’attività degli stessi insista sulla medesima cerchia di clientela finale. In tal caso, l’operatore di mercato si trova in conflitto potenziale con gli imprenditori posti su anelli diversi dello stesso prodotto o servizio, proprio perché è la clientela finale quella che determina il successo o meno della sua attività: ognuno di essi è interessato a che gli altri rispettino le regole di cui all’art. 2598 cod. civ.
Integra l’illecito di concorrenza sleale la condotta di un operatore commerciale che utilizzi all’interno di una pubblicità un personaggio di un’opera altrui in funzione servente rispetto ai propri prodotti ove tale operatore: crei un indebito collegamento nella mente del consumatore tra il proprio brand, servizi e prodotti e l’opera altrui [nella specie: l’ultimo film della saga di STAR WARS, all’epoca in imminente programmazione nelle sale cinematografiche]; impieghi nella campagna il personaggio chiave già utilizzato da un concorrente in un’altra campagna pubblicitaria; agisca senza il previo consenso della titolare dei relativi diritti sull’opera; agisca in perfetta concomitanza con l’uscita della campagna pubblicitaria del concorrente legittimato e dell’opera.
L’art. 5 c.p.i. consente al titolare di opporsi all’ulteriore commercializzazione nell’ipotesi di motivi legittimi, tra i quali l’ipotesi in cui l’impiego del marchio non sia limitato all’identificazione dei prodotti rivenduti, ma sia relativo alla promozione di servizi diversi forniti dal terzo acquirente.
L’inibitoria deve essere interpretata come obbligo a carico del soggetto passivo di attivarsi anche presso la propria rete vendita e presso la propria clientela diretta per impedire l’ulteriore reiterazione dell’illecito; come obbligo non estendibile ai successivi acquirenti rispetto ai primi aventi causa dell’obbligato ovvero agli aventi causa della rete vendita dell’obbligato; nonchè come obbligazione di risultato se la rete vendita è direttamente controllata dall’obbligato e come obbligazione di mezzo se il rapporto commerciale tra il contraffattore con gli aventi causa ha determinato il trasferimento della proprietà della res in capo a soggetti autonomi sotto il profilo negoziale o societario.
Ai fini del risarcimento del lucro cessante da concorrenza sleale è necessaria la prova puntuale che il mancato raggiungimento dei livelli di fatturato attesi dal soggetto leso sia dipeso eziologicamente dalla commercializzazione dei prodotti dell’autore dell’illecito.
Responsabilità degli amministratori verso i singoli soci o terzi
L’art. 2476, co. 6, c.c. prevede il diritto al risarcimento dei danni del singolo socio e del terzo direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. La chiave della distinzione di questa azione da quella sociale e dei creditori sociali è da rinvenirsi nell’espressione normativa “direttamente danneggiati”. Infatti, il danno arrecato al patrimonio sociale colpisce i soci e i terzi sempre indirettamente. Con particolare riguardo ai secondi, essi sono danneggiati indirettamente soltanto in quanto il patrimonio sociale non sia sufficiente a soddisfare i loro crediti. L’esempio classico di applicazione dell’art. 2476, co. 6, c.c. ricorre nell’ipotesi in cui gli amministratori redigano o rappresentino una situazione finanziaria alterata o comunque non veritiera sulla base della quale attirano delle banche a finanziare la società o dei risparmiatori a sottoscrivere azioni. In questo caso, non vi è danno per il patrimonio sociale che anzi risulta arricchito dai finanziamenti ottenuti. Pertanto il danno che il terzo subisce non è un riflesso del danno subito dal patrimonio sociale, ma investe immediatamente il loro patrimonio. Il criterio distintivo è proprio quello del danno diretto o indiretto. La giurisprudenza riconosce alla responsabilità individuale (o diretta) natura extracontrattuale, essenzialmente sul rilievo che tra gli amministratori ed il terzo non vi è rapporto contrattuale, sì che la norma sanziona la violazione del generale divieto, posto dall’art. 2043 c.c., di pregiudicare colpevolmente o dolosamente l’altrui sfera patrimoniale.
[Nel caso di specie l’amministratore unico di una società s.r.l., ha presentato e ceduto all’istituto di credito due fatture per crediti vantati nei confronti di una società terza e successivamente ha comunicato, in violazione delle regole di buona fede e correttezza, al debitore ceduto (e non all’istituto di credito) l’avvenuto storno, e quindi, il venir meno del credito. Un atteggiamento improntato a buona fede – ex art. 1375 c.c. – avrebbe imposto all’amministratore di comunicare tempestivamente l’istituto di credito dell’accaduto, anche per metterla in condizione di assumere eventuali conseguenti provvedimenti circa l’affido erogato.]
L’uso nella denominazione sociale di parola caratterizzante un marchio costituisce contraffazione
Costituisce contraffazione del marchio registrato l’utilizzo nella denominazione sociale della parola richiamata nel marchio medesimo laddove tale parola costituisce elemento distintivo caratterizzante l’impresa nell’ambito dello stesso settore merceologico.
Marchi composti da parole dotate di un significato comune e pericolo di confusione
Lo svolgimento della medesima attività commerciale tra convenuta e attore sgombera il campo da una eventuale limitazione della tutela connessa all’utilizzo di un termine che abbia in sé un significato comune riespandendo in toto la sfera di tutela garantita dall’ordinamento laddove il pericolo di confusione sia indotto ed agevolato dallo svolgimento di una medesima attività imprenditoriale in ciò realizzando proprio quello che la legge vuole tutelare: il pericolo che il consumatore sia tratto in inganno rispetto a quello che pensa di acquistare e, come altra faccia della medaglia, il pericolo che un imprenditore svii o si appropri illecitamente della clientela che costituisce patrimonio di altro imprenditore.
Omessa consegna del certificato di abitabilità e conseguente azione risarcitoria e di responsabilità rispettivamente verso società e amministratori
Il certificato di abitabilità rientra nel novero dei documenti che, a norma dell’art.1477 c.c., il venditore deve rimettere al compratore al più tardi al momento della consegna del bene venduto. Pertanto, l’inadempimento del venditore sussiste già nel momento in cui, in sede di esecuzione del contratto di compravendita con l’immissione dell’acquirente nel possesso materiale e giuridico del bene, venga omessa la consegna allo stesso del certificato di abitabilità; ed è dunque da tale data che decorre il termine decennale di prescrizione dell’azione volta a far valere la responsabilità risarcitoria per inadempimento contrattuale. Non possono peraltro rilevare quali atti interruttivi del corso della prescrizione (ex art. 2943 c.c.), delle precedenti missive che non contengano, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione della pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora.
L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente, secondo la previsione dell’art. 2395 c.c. o dell’art. 2476, co. 6°, c.c., atteso che tale responsabilità – di natura extracontrattuale – postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi.
Inoltre, ai fini dell’esperimento dell’azione di responsabilità verso gli amministratori, ex art. 2394 c.c., l’intervenuta prescrizione della pretesa risarcitoria azionata nei confronti della società venditrice, fa venir meno la qualifica di creditore in capo all’istante, escludendo quindi la sussistenza del presupposto fondamentale per l’utile accesso al rimedio previsto dalla norma. Infine, a fondare la responsabilità dell’amministratore ex art. 2394 c.c. non può valere la mera insufficienza del patrimonio sociale, occorrendo anche che la stessa sia conseguenza di atti di mala gestio, ovvero di omissioni e condotte illegittime poste in essere dall’amministratore in violazione degli obblighi correlati alla carica e, segnatamente, in contrasto con il generale dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore e la quantificazione del danno
Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società. Pertanto, il legislatore, con riferimento alle s.r.l., ha adottato lo stesso criterio utilizzato per le s.p.a., secondo cui chi ha la gestione sociale è tenuto, nell’ambito dell’obbligazione di mezzi assunta nei confronti della società, al rispetto delle regole di buona e corretta amministrazione stabilite dalla legge e dall’atto costitutivo, la cui violazione, se produttiva di danni, può costituire fonte di responsabilità. L’art. 2476 c.c. non prevede espressamente, come nella s.p.a. (art. 2392, co. 1, c.c.) il criterio della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle specifiche competenze dell’amministratore cui il medesimo deve uniformarsi nell’espletamento dell’incarico. Si deve ritenere applicabile il criterio generale dell’esercizio di un’attività professionale rinvenibile, in ogni caso, nella disciplina in materia di obbligazioni negli artt. 1176 e 1710 c.c., per il quale la diligenza deve valutarsi con riferimento alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, co. 2, c.c.). Inoltre, a mente del vigente art. 2489 c.c. ai principi della diligenza e della professionalità richiesta dalla natura dell’incarico devono uniformare il loro operato i liquidatori anche della s.r.l., non si vede per quale motivo gli amministratori della s.r.l. dovrebbero poterne essere svincolati. Riguardo ai criteri di attribuzione della responsabilità, analogamente a quanto previsto in materia di s.p.a., l’amministratore è esonerato dalla responsabilità, allorquando dimostri di essere esente da colpa. La responsabilità, di natura contrattuale stante il rapporto che lega l’amministratore alla società, comporta che l’attore ha esclusivamente l’onere di provare la violazione addebitata, mentre chi subisce l’azione, per essere esonerato dalla responsabilità, deve dimostrare di essere immune da colpa in relazione alle violazioni contestate.
Anche nel caso in cui le azioni previste dagli artt. 2476 e 2394 c.c. vengano esercitate nell’ambito di una procedura concorsuale, il curatore che agisce per far valere la responsabilità dell’amministratore ha l’onere di dedurre specifici inadempimenti o inosservanze, non potendo limitarsi ad una generica deduzione dell’illegittimità dell’intera condotta ovvero alla mera doglianza afferente i risultati negativi delle scelte gestorie. L’amministratore, che pure si sia reso responsabile di condotte di mala gestio, può essere chiamato a rispondere dei soli pregiudizi che siano conseguenza diretta delle condotte e omissioni al medesimo addebitabili, essendo onere della parte istante allegare in maniera specifica e provare, nell’an e nel quantum, i cennati pregiudizi.
Anche nel caso di omessa o irregolare tenuta della contabilità sociale, il curatore non può, per ciò solo, invocare il criterio della differenza tra l’attivo ed il passivo per la determinazione del ristoro dovuto dai preposti alla gestione della società ed alle attività di controllo, sottraendosi all’onere di allegazione specifica e di prova dei danni in concreto sofferti e dello stretto vincolo eziologico tra i pregiudizi lamentati e gli illeciti addebitati.
Nomina giudiziale del liquidatore, azione diretta del socio e responsabilità illimitata e solidale del socio accomodante
Il Tribunale, con provvedimento di volontaria giurisdizione, nomina il liquidatore in via sostitutiva dell’organo assembleare, ai sensi dell’art. 2275 co. 1 c.c., solo quando, a seguito dell’accertamento giudiziale della causa di scioglimento della società, difetti la convocazione [ LEGGI TUTTO ]
Divieto di reformatio in peius in materia brevettuale e tutela del segreto commerciale
Quando una decisione dell’EPO relativa ad un brevetto europeo oggetto di una causa in Italia sia stata impugnata solo da una parte, la decisione di appello non potrebbe modificare in senso peggiorativo per la stessa la decisione assunta in primo grado, secondo il principio del divieto di reformatio in peius proprio della giurisprudenza dell’EPO, sicchè [ LEGGI TUTTO ]
Preliminare di vendita: risoluzione per inadempimento e prova del danno
Va disposta la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di trasferimento di azioni allorché il promissario acquirente sia rimasto inerte rispetto alle attività di impulso e di istruttoria delle procedure urbanistiche [ LEGGI TUTTO ]
Sottrazione di file aziendali segreti da parte di un concorrente tramite un ex dipendente
Anche ove si ritenga che non sia provata la titolarità di informazioni riservate e/o di diritti esclusivi di utilizzazione dei programmi informatici, la condotta di una società che copi [ LEGGI TUTTO ]