Responsabilità degli amministratori e quantificazione del danno in presenza della mancata rilevazione nella contabilità aziendale di pagamenti in contante effettuati nelle mani del Presidente del CdA
Sono co-responsabili per le condotte di mala gestio (distrazione di pagamenti in contanti per servizi prestati dalla società e omessa rilevazione nella contabilità aziendale) insieme con il Presidente del Consiglio di Amministrazione, cui i pagamenti erano destinati, anche gli altri amministratori che non abbiano espressamente contestato la pratica societaria consistita nel ricevere pagamenti in contante non registrati e abbiano anzi attivamente preso parte all’attività di gestione sociale mediante la concreta partecipazione alle decisioni finanziarie relative alla società (ad esempio, deliberando lo smobilizzo di somme a titolo di piani di accumulo, stipulando finanziamenti bancari o prestando le relative garanzie fideiussorie).
L’onere probatorio in materia di condotte distrattive e la determinazione del danno risarcibile
Nella procedura di fallimento l’onere probatorio della curatela si arresta alla prova della esistenza della somma e del suo mancato ritrovamento o della mancata consegna al momento del fallimento. Pertanto, a fronte di uno specifico addebito di distrazione, l’onere di dimostrare che le somme siano state destinate al pagamento dei lavoratori non può che ricadere sul convenuto amministratore della società fallita.
Per quanto riguarda l’addebito di prosecuzione illegittima dell’impresa, in presenza di uno stato passivo che cristallizza l’esposizione debitoria della fallita ed in presenza di parte delle scritture contabili, il danno risarcibile non può essere desunto aprioristicamente da un criterio equitativo, come è la differenza tra l’attivo ed il passivo o la differenza dei patrimoni netti.
L’onere della prova nel giudizio di responsabilità contro l’amministratore per atti distrattivi del patrimonio sociale
Nell’ambito del giudizio per il risarcimento del danno instaurato dalla curatela fallimentare contro l’amministratore della società fallita per il compimento di atti di distrazione del patrimonio sociale, operano le regole in tema di riparto dell’onere probatorio secondo cui: “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento mentre, chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto, deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda (art 2697 cc)”, di talché è ormai consolidato principio giuridico per cui: “il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo/costituito dall’adempimento” (Cassazione civile, Sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533).”
A tal fine, l’amministratore convenuto che affermi che le somme distratte abbiano natura di rimborso per somme anticipate a favore della società da parte di un terzo, beneficiario delle attività distrattive, è tenuto a fornire la prova in giudizio del rapporto negoziale esistente tra la società e il terzo rimborsato. Pertanto, la mera produzione di assegni indirizzati a possibili fornitori della società fallita, nonché degli estratti conto del pagamento realizzato dall’amministratore per conto della società non possono essere ritenuti idonei a giustificare l’operato dell’amministratore.