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Sopraggiunto difetto di legittimazione attiva per esclusione del socio

La legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione e deve permanere per tutta la durata del giudizio, quindi non solo al momento della sua proposizione, ma anche al momento della decisione. Il socio escluso può impugnare esclusivamente le delibere che hanno comportato la sua esclusione e quindi le delibere il cui annullamento comporterebbe il riacquisto della qualità di socio. Pertanto, con riferimento a una delibera assembleare che ha deciso di non distribuire utili, viene meno la legittimazione a impugnare del socio che abbia perso tale qualità nel corso del procedimento.

La legittimazione a impugnare deriva da un presupposto oggettivo, ossia dalla sussistenza della qualità di socio. Nel valutare la legittimazione ad agire, il giudice deve esclusivamente verificare la sussistenza oggettiva della qualità di socio in capo a chi agisce e non può, nel caso in cui il socio abbia perso la propria qualità in ragione di una esclusione, sindacare la legittimità della deliberazione che ne ha comportato l’esclusione. Invero, è solo attraverso l’annullamento della deliberazione di esclusione, o la sospensione dell’efficacia della stessa, che il socio può riacquistare la possibilità di esercitare – definitivamente o temporaneamente – i diritti di socio. L’ordinamento attribuisce dunque al socio escluso un utile rimedio, che egli può tempestivamente azionare per poter rimuovere il provvedimento che ha comportato il venir meno della qualità di socio e quindi per riacquistare la legittimazione ad agire.

La pronuncia di annullamento della delibera di esclusione di un socio ha natura costitutiva e produce effetti ex tunc, ma con decorrenza dal suo passaggio in giudicato. Da ciò consegue che il ripristino della posizione di socio può essere prodotto solo ed esclusivamente dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva di annullamento della delibera di esclusione. La sospensione dell’efficacia della delibera di esclusione produce effetti meramente conservativi, consentendo un ripristino provvisorio del rapporto societario al fine di evitare che la posizione di socio venga ad essere definitivamente compromessa, e quindi permettendo al socio escluso di poter esercitare temporaneamente i propri diritti amministrativi e processuali al sol fine di non vedere ulteriormente pregiudicata la propria posizione nell’attesa della definizione del giudizio di merito.

11 Marzo 2024

Impugnazione della delibera assembleare di distribuzione degli utili

Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio, la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi dell’art. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili.

Fermo restando che il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.

24 Novembre 2023

Decisioni dei soci nelle società di persone e diritto alla percezione dei dividendi

Nelle società di persone, che non hanno personalità ma solo soggettività giuridica e un’autonomia patrimoniale c.d. imperfetta, le decisioni dei soci non sono soggette al metodo collegiale: invero, non esiste l’organo sociale assemblea, così come non esiste l’organo consiglio di amministrazione, propri, invece, delle società di capitali. Sicché i soci deliberano liberamente, senza l’obbligo della osservanza di formalità e la volontà dai medesimi espressi, all’unanimità o a maggioranza, non si manifesta attraverso l’assemblea, salvo ciò non sia, legittimamente, previsto nello statuto, ma attraverso la raccolta interna del consenso dei singoli soci, come si desume anche da disposizioni quali quelle di cui agli artt. 2256 e 2301 c.c., le quali richiedono “il consenso degli altri soci” e non già “l’autorizzazione della società”. Sul tema della necessità di una volontà unanime o maggioritaria dei soci, deve ritenersi che sussista la necessità di raccogliere il consenso unanime dei soci laddove si tratti di decidere aspetti organizzativi di base (legali o convenzionali) della società, mentre sia sufficiente quello della sola maggioranza quando si tratti di decidere su temi che attengono alla gestione dell’impresa (come l’approvazione del rendiconto, o la revoca dell’amministratore).

Ciascun socio dispone del proprio diritto alla distribuzione degli utili e, quindi, certamente non sarebbe sufficiente il consenso della maggioranza a negarla, come potrebbe avvenire in una società di capitali ove la distribuzione degli utili è rimessa alla volontà collegiale dell’assemblea, essendo bensì necessario il consenso di ciascuno dei soci, che all’esito dell’approvazione del rendiconto che ne attesta l’esistenza, matura il relativo diritto ex art. 2262 c.c. In assenza della previsione, anche statutaria, di specifiche formalità, l’espressione della volontà contrattuale dei soci di una società di persone può avvenire anche in forma tacita, per effetto di atti non formali, ma di facta concludentia.

3 Luglio 2023

La destinazione degli utili, tra distribuzione e reimpiego degli stessi

Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili.

Il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.

La sistematica mancanza di distribuzione di dividendi può costituire un indice rivelatore dell’atteggiamento prevaricatore della maggioranza assembleare, ma non è di per sé sufficiente a dimostrare il suo intento di penalizzare i soci di minoranza dal momento che la destinazione degli utili a riserva è fonte, al contempo, di non trascurabili vantaggi per il patrimonio sociale: infatti, gli utili destinati ad incrementare le riserve vanno, comunque, ad accrescere il patrimonio netto della società a beneficio del valore di liquidazione o di scambio della partecipazione sociale anche di minoranza oltre che a realizzare l’interesse all’autofinanziamento dell’impresa sociale.

22 Maggio 2023

Inconfigurabilità di un diritto del socio agli utili in assenza di una deliberazione assembleare in tal senso

Ai sensi dell’art. 2433, c. 1, c.c., la deliberazione sulla distribuzione degli utili è adottata dall’assemblea che approva il bilancio. La disposizione codicistica demanda all’assemblea, e, dunque, alla maggioranza degli azionisti in sede di approvazione del bilancio, la valutazione in ordine alla distribuibilità degli utili ai soci. Non è, dunque, configurabile un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso, rientrando nei poteri dell’assemblea, in sede approvativa del bilancio, la facoltà di disporne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società, sulla base di una decisione censurabile solo se propria di iniziative della maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

I soci non vantano nei confronti della società un diritto al dividendo ab origine per il solo fatto di essere titolari di azioni o di quote; esso si costituisce per gradi ed integra una fattispecie a formazione progressiva, perché sorge solo dopo la chiusura dell’esercizio sociale, la registrazione di eventuali utili, l’approvazione del bilancio e infine la decisione dell’assemblea di distribuire o meno i medesimi a favore dei soci. In questa prospettiva, la mancata sussistenza dell’obbligo per l’assemblea di distribuire l’utile ai soci comporta la legittimità della delibera che destini gli utili a riserve facoltative, salvo che l’operazione posta in essere dalla maggioranza sia animata da scopi extrasociali o da intenti emulativi nei confronti della minoranza. In altre parole, la condotta abusiva della maggioranza costituisce il limite alla discrezionalità dell’assemblea in ordine alla decisione di non distribuire gli utili di esercizio: ma, per configurare tale fattispecie, l’attore deve provare un intento vessatorio (o extrasociale) ai danni dei soci di minoranza e la mancanza di ogni ragionevole motivazione ispiratrice della scelta compiuta.

21 Giugno 2021

Responsabilità dell’amministratore di snc per prelievi ed ammanchi di cassa e per utilizzo personale di beni sociali

E’ responsabile nei confronti della società l’amministratore di società in nome collettivo che abbia:
i. effettuato prelievi ingiustificati dai conti correnti;
ii. distratto corrispettivi relativi alla attività caratteristica non registrati o regolarizzati (e non scontrinati o fatturati);
iii. utilizzato beni sociali per fini personali. Tale condotta illegittima costituisce una forma di inadempimento ai propri obblighi ed ingenera una responsabilità in capo all’amministratore, il quale è tenuto a risarcire il danno cagionato.

Grava sulla società l’onere di dimostrare la sussistenza delle condotte illegittime, il nesso causale ed il danno cagionato (nel caso di specie i prelievi e l’indebito utilizzo di risorse sociali e di proventi e corrispettivi della attività non fatturati e contabilizzati); tuttavia, una volta allegati e/o dimostrati e non specificamente contestati i prelievi e gli ammanchi di cassa, spetta all’ex amministratore fornire la prova liberatoria di cui all’art. 1218 c.c., dimostrando con evidenza contabile (o con adeguata prova costituenda) che il denaro sociale oggetto di tali prelievi e pagamenti fosse stato reimpiegato per spesare costi o saldare debiti della società.
In assenza di contestazione e di prova di ciò, l’ex amministratore deve restituire alla società le somme non reimmesse nelle casse sociali.

La mancata impugnazione della decisione di rimozione delle funzioni gestorie da parte del socio-amministratore di snc rende la cessazione dalla carica definitiva e le eventuali irregolarità ed illegittimità inopponibili alla società.

In una società di persone l’utile di esercizio realizzato e risultante da rendiconto non opposto è automaticamente distribuibile tra i soci, vantando in tal caso il socio un vero e proprio diritto di credito liquido ed esigibile; diritto non conculcabile neppure (a differenza che nelle società di capitali) per delibera maggioritaria (salvo che non sia l’atto costitutivo a prendere una diversa disciplina).

E’ nulla la clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo di una società di persone che, in difformità rispetto al dettato normativo di cui all’art. 34, co. 2 del d.lgs. n. 5/2003 ed anche se anteriore allo stesso, non attribuisca il potere di nomina degli arbitri ad un soggetto terzo, demandandone l’individuazione alle parti stesse.

21 Giugno 2021

Inesistenza ed invalidità della delibera di seconda convocazione per vizi formali e sostanziali

La deliberazione assembleare societaria assunta, in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata “inesistente”, possedendo tutti gli elementi per essere riconducibile al modello legale delle deliberazioni assembleari e per essere imputata alla società nel cui ambito viene assunta, e ponendo solo problemi di validità legati all’accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione.

Non ogni incompletezza o inesattezza del verbale inficia la validità della delibera assembleare, considerato che l’art. 2377, co. 5, n. 3, del c.c. limita la rilevanza dell’incompletezza o inesattezza del verbale ai fini dell’annullamento della delibera all’ipotesi in cui siano tali da impedire l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione. In tal senso, la mancata allegazione al verbale di documenti prodotti dai soci non determina di per sé l’invalidità ai sensi dell’art. 2377 c.c., per l’incompletezza dello stesso.

Nelle società di capitali il diritto del socio a percepire gli utili presuppone e necessita di una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione. Il socio ha, dunque, una aspettativa ma non un diritto di credito esigibile sino a quando l’assemblea, in sede di approvazione di bilancio (o, comunque, anche in un momento successivo), non decida circa la distribuzione, l’accantonamento o il reimpiego degli utili nell’interesse della stessa società.

La delibera assunta dalla maggioranza di non distribuire l’utile di esercizio è censurabile (da un punto di vista sostanziale) unicamente sotto il profilo dell’abuso di maggioranza, il cui carattere abusivo deriva dalla condotta dei soci di maggioranza volta ad acquisire posizioni di indebito vantaggio in antitesi con l’interesse sociale e/o idonea a provocare la lesione della posizione degli altri soci (rendendo più onerosa la partecipazione o sacrificando la legittima aspettativa di remunerazione dell’investimento in violazione del canone di buona fede e correttezza (ex art. 1175 e 1375 c.c.) nella esecuzione del contratto sociale (ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio “allo scopo di dividerne gli utili”). Tuttavia, grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili sia viziata sotto il profilo dell’abuso di maggioranza.

A tal proposito, la mancata distribuzione per diversi esercizi dell’utile sociale costituisce un indice rivelatore ma non è di per sé sufficiente a dimostrare il carattere abusivo della delibera di accantonamento (ciò anche in considerazione del fatto che la stessa produce effetti positivi diretti sul patrimonio della società e riflessi sul valore delle partecipazioni dei soci), rivestendo elemento determinante ai fini della decisione la valutazione circa le concrete ed effettive motivazioni sottese alla volontà della maggioranza. Tuttavia, il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.

Causa di garanzia contro società estera e competenza territoriale delle Sezioni Specializzate in materia di impresa

La competenza territoriale per le cause di garanzia proposte contro società con sede all’estero, anche aventi sedi secondarie con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato, che ricadono nella competenza per materia delle sezioni specializzate in materia di impresa, non è regolata dall’art. 4, comma 1 bis, bensì dall’art. 3, comma 3,  D. Lgs. n. 168/2003. Infatti, l’art. 4, comma 1 bis, D. Lgs. n. 168/2003 menziona unicamente l’art. 33 c.p.c., omettendo qualsiasi riferimento ai casi disciplinati dall’art. 32 c.p.c. Tale omissione non può essere considerata frutto di mera dimenticanza, essendo piuttosto indicativa dell’intenzione del legislatore di non estendere la competenza esclusiva delle undici Sezioni specializzate al di là dell’ipotesi di cumulo soggettivo; ed invero, nelle materie devolute alle Sezioni specializzate la connessione (sussistente in particolare tra la causa di garanzia, sia propria che impropria, e la causa principale) è espressamente e separatamente regolata dall’art. 3 comma 3 del D.Lgs. n. 168/2003. [Il Tribunale di Bologna ha così ritenuto che la causa di garanzia proposta nei confronti di una società estera, appartenesse alla propria competenza e non a quella del Tribunale di Genova, in applicazione dell’art. 3, comma 3, D. Lgs. n. 168/2003].

La decisione di distribuire gli utili è rimessa alla maggioranza dei soci

Non è ravvisabile alcuna violazione di legge né di statuto, nell’ipotesi di distribuzione di utili in difformità rispetto a una disposizione statutaria, ma comunque approvata dall’assemblea (e prima di questa dal consiglio di amministrazione e dal collegio sindacale). Va in proposito sottolineato che nelle società per azioni, a norma dell’art. 2433 c.c. anche nel testo pre-riforma, la competenza a deliberare la distribuzione degli utili è riservata all’assemblea dei soci, che decide secondo le maggioranze di legge e di statuto; analoga previsione è contenuta nell’art. 2478 bis, comma 3, c.c., con riguardo alle società a responsabilità limitata. La decisione di distribuire utili è quindi rimessa alla maggioranza dei soci, che potrebbe anche legittimamente deliberare di accantonarli o di destinarli ad aumento di capitale; rientra, infatti, nei poteri dell’assemblea la facoltà di disporre la ripartizione degli utili ovvero di destinarli ad altro impiego o di differirne la distribuzione.

Esclusione del socio di s.n.c.: diritto alla liquidazione della quota e agli utili. Risarcimento del danno per ritardata liquidazione.

Il diritto del singolo socio a percepire gli utili è subordinato, ai sensi dell’art. 2262 cod. civ. (applicabile in forza del richiamo di cui all’art. 2293), alla approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio, il quale è la sintesi contabile della consistenza patrimoniale della società al termine di un anno di attività (in applicazione di tale criterio è stata confermata l’irrilevanza, ai fini di ritenere la sussistenza di effettivi utili rivendicabili dai soci, del contenuto delle dichiarazioni fiscali della società e, quindi, anche delle “variazioni in aumento” apportate ai sensi della normativa fiscale in tali dichiarazioni).

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