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Patto di non concorrenza contenuto in un contratto di cessione di quote

L’art. 2557 c.c., in tema di divieto di concorrenza, trova applicazione analogica nel caso in cui, anziché l’azienda, siano cedute le partecipazioni di controllo di una società che esercita un’impresa commerciale. La concorrenza vietata è quella consistente nell’iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta. L’attività concorrenziale del cedente l’azienda non può che essere un’attività d’impresa, anche se esercitata mediante lo schermo di una società o di un prestanome.

Non viola il divieto di concorrenza chi svolge attività di lavoro subordinato presso una società per azioni concorrente, in cui, tuttavia, non ricopre incarichi gestori e di cui non possiede una partecipazione al capitale.

È nullo, in quanto contrastante con l’ordine pubblico costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.), il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento.

Legittimazione del terzo a impugnare il bilancio e responsabilità degli amministratori di s.r.l.

L’interesse del terzo creditore sociale all’impugnazione del bilancio per nullità non sussiste soltanto nel caso di stipulazione di un contratto per errore di fatto sulla situazione economica e finanziaria determinato da oscura o non veritiera rappresentazione della stessa nel bilancio. L’interesse ad agire in tal senso deve ravvisarsi ogniqualvolta dalla rettificazione del bilancio, conseguente all’accertamento della sua nullità, possano derivare conseguenze di rilievo sul piano giuridico. In particolare, ciò accade quando una corretta redazione del bilancio avrebbe generato la verificazione di una situazione di scioglimento della società, con conseguente applicazione della regola di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c., in forza del quale gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Non trova applicazione il disposto di cui all’art. 2434 bis, co. 1, c.c., a norma del quale le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio successivo, ove sia rilevabile d’ufficio da parte del giudice la nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, tale dovendo ritenersi quella di approvazione di un bilancio non chiaro o non veritiero. Infatti, le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita la delibera di approvazione e, quindi, nulla. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente.

La norma di cui all’art. 2467 c.c. non si applica ai crediti dei soci nei confronti della società sorti per effetto di finanziamenti anteriori all’entrata in vigore di tale disposizione (1 gennaio 2004).

In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l’organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente all’iscrizione originaria, dovendo quest’ultima rispecchiare l’effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell’interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito.

Gli amministratori della società sono liberi di decidere per la resistenza in giudizio pur a fronte di contestazioni della controparte, ma devono nel contempo prefigurarsi come possibile l’esito negativo della vertenza e mettere in conto i relativi maggiori costi, di ciò dando la dovuta evidenza in bilancio, e richiedere alla proprietà la ricapitalizzazione della società che ne garantisca la solvibilità anche a fronte dei rischi correlati al contenzioso in atto. Ciò vale anche nei confronti degli amministratori che non siano stati parte in giudizio.

In tema di azione di responsabilità per violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390, co. 1, c.c. l’attività concorrenziale potrebbe risultare di rilievo per il terzo creditore della società soltanto nel caso in cui ne sia derivato un depauperamento della consistenza patrimoniale di quest’ultima.

9 Febbraio 2021

Concorrenza sleale e pubblicità ingannevole

Tra la disciplina della concorrenza sleale e quella dell’illecito civile intercede un rapporto di specie a genere, che consente di colmare le lacune della prima mediante il ricorso alle regole generali proprie della seconda.

La specificità delle norme repressive dell’illecito concorrenziale non si coglie a livello di determinazione del danno per equivalente, nel senso, cioè, che la distorsione del mercato sia ex se produttiva di un pregiudizio risarcibile, ma, semmai, sotto il profilo dell’elettiva tecnica di repressione adoperata, basata principalmente sull’inibitoria e sugli altri provvedimenti idonei ad eliminare gli effetti della violazione (art. 2599 c.c.), lì dove, invece, è solo l’illecito civile ad essere strutturato in funzione prettamente risarcitoria. E difatti, colpa e danno, coessenziali al paradigma dell’art. 2043 c.c., sono soltanto eventuali, invece, nelle ipotesi di concorrenza sleale previste dall’art. 2598 c.c., e non a caso sono localizzati in una norma a parte sul risarcimento (l’art. 2600 c.c.), che presuppone, al pari dell’art. 2043 c.c., la colpa o il dolo, un danno effettivo (a differenza di quanto richiesto per la tutela inibitoria, accordabile anche per i danni futuri o potenziali) e il nesso causale tra questo e la condotta dei soggetto agente.

Il danno cagionato dal compimento di atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, essendo conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, richiede di essere autonomamente provato secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito. Ne consegue che solo la dimostrazione dell’esistenza del danno consente il ricorso al criterio equitativo ai fini della liquidazione. A non diverse conclusioni si giunge allorquando il danno in questione rivesta natura non patrimoniale e venga particolarmente in questione la lesione dell’immagine commerciale della vittima dell’illecito: un tale danno, difatti, non costituendo un mero danno-evento, deve essere sempre oggetto di allegazione e di prova.

Secondo concorde dottrina e giurisprudenza, l’art. 2105 c.c. riguarda comportamenti che solo il lavoratore subordinato in quanto tale può tenere e presuppone, pertanto, la costanza del rapporto di subordinazione. Ne deriva che non può configurarsi l’illecito previsto da detta norma qualora i comportamenti denunziati siano successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Inoltre, al fine di estendere il divieto di concorrenza al periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, è necessaria la stipula di un patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c. In assenza di un patto di non concorrenza non può ritenersi di per sé illegittima la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro.

Concorrenza sleale: tra sviamento di clientela e (liceità della) libertà di iniziativa economica

In tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non dev’essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro.

8 Novembre 2019

Conflitto di interessi e violazione dei doveri di corretta gestione societaria degli organi sociali di S.p.A.

La previsione statutaria derogatoria del divieto di concorrenza di cui all’art. 2390 c.c. non esaurisce l’obbligo imposto agli amministratori di S.p.A. di dichiarare il conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2391 c.c., il quale può sussistere anche in assenza di violazione del divieto di concorrenza, costituendo una fattispecie dal perimetro più ampio rispetto a quella di cui all’art. 2390 c.c. [ LEGGI TUTTO ]

22 Marzo 2018

Clausola penale contenuta in un patto parasociale, divieto parasociale di concorrenza del socio di s.r.l. e imprenditore occulto

La teoria dell’imprenditore occulto afferma la piena parificazione sul piano della responsabilità d’impresa di chi agisce di fronte ai terzi e di chi sta dietro le quinte. Vi sarebbe dunque una piena corresponsabilità del dominus di un’impresa formalmente altrui per le obbligazioni assunte e le attività svolte dalla società eterodiretta.

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21 Marzo 2018

Cessione di partecipazioni e obbligo di non concorrenza del cedente. Profili di legittimazione attiva.

Il contratto di cessione di partecipazioni ha come oggetto la partecipazione sociale intesa come insieme di diritti, poteri ed obblighi sia di natura patrimoniale sia di natura c.d. amministrativa in cui si compendia lo status di socio e soltanto quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta; tanto che [ LEGGI TUTTO ]