Il contenuto della delibera di azione di responsabilità contro gli amministratori; la responsabilità dei sindaci per culpa in vigilando
L’art. 2393 c.c. non richiede che la deliberazione con cui l’assemblea autorizza l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità rechi una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni che giustificano tale scelta, tantomeno che rechi una individuazione specifica delle condotte degli amministratori asseritamene contrarie ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto. Ne deriva che è da escludere che la delibera prevista dall’art. 2393 c.c. circoscriva l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità solo agli atti di mala gestio eventualmente riportati nella relativa motivazione e che deve essere ritenuto senz’altro ammissibile, in sede di proposizione, fondare l’azione su fatti diversi da quelli specificamente esaminati dall’assemblea. A differenza di altre deliberazioni societarie, non è necessario che detta delibera sia motivata, né che individui in maniera specifica tutti gli addebiti, essendo sufficiente che emerga la volontà dei soci di ottenere per via giudiziaria il risarcimento del danno causato dalla mala gestio di determinati amministratori, poiché la delibera è soltanto una condizione dell’azione e non può predeterminarne il contenuto, che deve invece essere rimesso al vaglio degli amministratori attuali non in conflitto di interessi. L’azione di responsabilità, pertanto, non solo può essere concretamente esercitata nei confronti di alcuni soltanto degli amministratori indicati nella delibera assembleare, ma può anche essere fondata su fatti diversi da quelli specificatamente esaminati dall’assemblea in sede di delibera della relativa azione.
Per poter accertare la sussistenza della responsabilità dei sindaci in concorso omissivo con il fatto illecito degli amministratori o dei liquidatori, colui che propone l’azione ex art. 2407 c.c. ha l’onere di allegare specificamente quali doveri sono rimasti inadempiuti e quali poteri non sono stati esercitati dai sindaci, nonché di provare il danno e il nesso di causalità tra quelle omissioni e il danno, nesso che può ritenersi sussistente quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica (art. 2407, co. 2, c.c.), cioè quando, in base ad un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione diligente dei poteri che la legge accorda loro lo avrebbe ragionevolmente evitato o limitato. Ciò accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, specie se protratti per un lasso di tempo apprezzabile, poiché in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni.
Se lo statuto della società non stabilisce il diritto dell’amministratore al compenso, esso è determinato dall’assemblea ordinaria dei soci all’atto della nomina o successivamente. In mancanza di determinazione in seno allo statuto è pertanto necessaria, perché sorga in capo all’amministratore il diritto al compenso, un’esplicita delibera assembleare. Le medesime regole valgono anche con riferimento al liquidatore, al quale lo statuto dell’amministratore, mutatis mutandis, è applicabile (art. 2489 c.c.).
Sede appropriata per la verifica dei soci in ordine alla correttezza, da parte dell’organo amministrativo, della liquidazione dei propri compensi sulla base di criteri già stabiliti in apposita e previa sede assembleare ed assumere le relative determinazioni, ben può essere anche l’ approvazione del bilancio di esercizio, considerando che tale delibera è pur capace di esplicare limitati e condizionati effetti negoziali non già, come ovvio, nei rapporti della società con terzi, ma nei rapporti interni, non solo tra soci e tra soci e società (es.: vincolo, solo per i soci che lo abbiano approvato, del bilancio che reca un determinato regime dei loro finanziamenti), ma anche con riferimento ai rapporti interni tra organo amministrativo proponente il progetto di bilancio e società. Tuttavia, perché in sede di approvazione del bilancio possa dirsi formata un’effettiva volontà dei soci in ordine al riconoscimento / ratifica del compenso erogato all’organo gestorio, è necessario che la relativa appostazione sia chiara e specifica sia con riferimento all’attribuzione della somma pagata all’organo stesso a titolo di compenso, sia con riferimento al suo ammontare.
Il revisore è il soggetto preposto per legge al controllo dei conti delle società di capitali. L’attività del revisore consta di due diverse fasi: quella ispettivo-ricognitiva e quella valutativa. Il revisore, infatti, verifica periodicamente la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione; a ciò segue la fase valutativa nella quale egli accerta se il bilancio di esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato corrispondano alle risultanze delle scritture contabili e siano stati redatti correttamente, esprimendo il relativo giudizio in apposita relazione (artt. 11 e 14 d.lgs. n. 39/2010). Il revisore contabile ha dunque prevalentemente doveri informativi che consistono specialmente nell’esprimere la valutazione sul bilancio di esercizio ma anche nel fornire tempestivamente al collegio sindacale informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti ex art. 2409 septies c.c. La presentazione di dichiarazioni fiscali è un’attività di natura senz’altro gestoria ed esula dai poteri preventivi di controllo del revisore.
Eccezione d’inadempimento dei doveri del sindaco di s.r.l. nell’opposizione al decreto ingiuntivo
Nell’opposizione al decreto ingiuntivo che condanna la società al pagamento del compenso del sindaco, l’eccezione riconvenzionale di inadempimento dei suoi doveri, pur astrattamente ammissibile anche nel rapporto fra la società e i suoi organi, è infondata se dedotta con mero richiamo ad un parere legale ed in relazione a fatti non compiutamente dedotti nei termini: così formulata neppure pare conforme al canone della buona fede oggettiva richiamato dal capoverso dell’art. 1460 c.c. [nel caso di specie, tale parere era stato peraltro rilasciato solo in relazione ad un’azione di responsabilità autorizzata dall’assemblea della controllante dell’opponente e mai esercitata].
Responsabilità del sindaco e del revisore; corresponsabilità della banca in caso di atti distrattivi dell’amministratore
I doveri di vigilanza dei sindaci come tali non si estendono di per sé al controllo contabile; tuttavia, essi sono tenuti ad una sorveglianza generale dell’andamento gestorio. La responsabilità dei sindaci può certamente essere predicata anche solo in relazione alla mancata vigilanza, ma questo accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità; naturalmente, sul presupposto che tali fatti dovessero e potessero essere rilevati nell’esercizio dei compiti di legge.
Quando i sindaci rivestano anche la carica di revisori, deve escludersi la commistione fra gli obblighi e i regimi anche prescrizionali che regolano ciascuno dei due compiti, i quali sono invece disciplinati in modo diverso e da disposizioni normative distinte e specifiche. La netta distinzione di disciplina tra revisori e sindaci, che vale per compiti, requisiti e responsabilità, vale anche per il regime prescrizionale, chiaramente diverso. Quanto alla prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti del revisore, in particolare, ai sensi dell’art. 15 del d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 “l’azione di risarcimento nei confronti dei responsabili ai sensi del presente articolo si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento”. Tale speciale regime di decorrenza della prescrizione si applica naturalmente solo per le annate relativamente alle quali i revisori sono giunti a chiudere il periodo con relazione; ma certamente non opera riguardo a quelle negligenze relative ai compiti di verifica, nel corso dell’esercizio, della regolare tenuta della contabilità sociale e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili (art 14, lett. b), d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 39) commesse in periodi che non si sono conclusi con relazione.
La banca risponde quale corresponsabile dell’illecito dell’amministratore che storni a sé sostanze sociali – condotta concretamente atto in conflitto di interessi – in base ai principi generali della responsabilità civile, sia sotto il profilo aquiliano, per lesione del credito, sia sotto quello contrattuale, dovendo la banca rifiutare di dare corso all’operazione a fronte di condotte ictu oculi anomale, che siano palesemente contrarie all’interesse del correntista. Ai fini di tale valutazione, è possibile fare ricorso, nella normativa antiriciclaggio, ai criteri di anomalia previsti nel provvedimento di Banca d’Italia del 24 agosto 2010; ed invero, seppure la disciplina antiriciclaggio non sia dettata a beneficio del correntista, l’esistenza di tale disciplina rileva in quanto impone comunque che la banca si doti di strumenti di rilevazione delle operazioni anomale.
Nell’ambito di un contratto di assicurazione della responsabilità civile professionale è valida la clausola mediante la quale viene limitata l’operatività della copertura alla sola quota di danno direttamente e personalmente imputabile all’assicurato, con esclusione di quella parte di responsabilità che possa derivare da un vincolo di solidarietà.
Ciò che mina il contraddittorio processuale e rende indispensabile l’intervento di nomina di un curatore speciale da parte del giudice ex art. 78 c.p.c. è un conflitto attinente all’interesse difensivo del rappresentante, che sia parte nel processo, rispetto alla parte rappresentata, che sia parte nel medesimo processo. Quando il rappresentante non sia litisconsorte, il giudice deve impiegare, nella valutazione della sussistenza del conflitto, la massima cautela, dal momento che la nomina di un curatore speciale quale rappresentante processuale di un ente (specie nel caso di una società) lo consegna alla difesa curata da soggetto estraneo; soggetto che, qui si può esplicitare, si fonda su una conoscenza dei fatti sociali necessariamente meno approfondita rispetto a quella dell’organo gestorio.