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25 Maggio 2022

Non configurabilità della figura di socio di fatto di una società di capitali; la società di fatto

Non sono giuridicamente configurabili le figure del socio co-fondatore di fatto e del socio di fatto in relazione ad una società di capitali regolarmente iscritta al registro delle imprese e costituita in base ad un formale contratto di società, in cui lo status di socio è stato legittimamente e pubblicamente acquisito da altri soggetti, al pari della formazione ed assunzione degli organi e cariche sociali, nel pieno rispetto delle prescrizioni di legge. Non può trovare spazio la figura del co-fondatore di fatto e del socio di fatto all’interno di una società regolare di capitali in cui la valida e legittima acquisizione di tali qualità soggettive è subordinata a formalità e attività non surrogabili con facta concludentia. Diverso è il caso in cui si ipotizzi la costituzione di un terzo soggetto giuridico collettivo di fatto e, quindi, non regolare, costituito tra due o più persone fisiche o tra una persona fisica e una società regolarmente costituita, fenomeno, quest’ultimo, la cui ammissibilità è riconosciuta.

Costituisce una società di fatto quella società il cui contratto non è formato da una manifestazione di volontà espressa, ma da una manifestazione tacita di volontà, che si desume dal comportamento concludente delle parti. La prova della sussistenza di una società di fatto può essere fornita con ogni mezzo, anche mediante presunzioni semplici. Il giudice deve valutare l’esteriorizzazione del vincolo sociale, cioè se i comportamenti posti in essere creino il ragionevole affidamento nei terzi dell’esistenza di una società. La sussistenza del contratto sociale di fatto può risultare, oltre che da prove dirette, concernenti i requisiti di cui all’art. 2247 c.c. (ossia gli apporti dei soci finalizzati all’esercizio congiunto dell’attività economica, l’esistenza di un fondo comune, la partecipazione ai profitti e alle perdite, l’affectio societatis), anche da manifestazioni esteriori dell’attività dei soci, quali reiterati finanziamenti o concessione di fideiussioni, comune contabilità, pubblicità con nomi congiunti, spendita del nome sociale e così via. Nell’ipotesi di società di fatto tra consanguinei, la prova diviene più rigorosa, dovendosi escludere che l’intervento del familiare nella vita aziendale possa essere motivato dalla c.d. affectio familiaris, bensì conseguente alla sola volontà di compartecipare all’attività commerciale secondo la c.d. affectio societatis.

Ai fini della prova della qualifica di amministratore di fatto occorre dimostrare l’esercizio, in modo continuativo e significativo, dei poteri tipici inerenti la funzione di amministratore. In particolare, la persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. Tale prova implica, dunque, l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (tali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa; la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria; la costante assenza dell’amministratore di diritto; la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti; il conferimento di una procura generale ad negotia).

L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire; ne consegue che non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che costituiscano solo elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto, il quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella sua interezza. L’interesse ad agire sussiste quando dall’ipotetico accoglimento delle istanze possa conseguire un vantaggio giuridicamente apprezzabile per l’istante. In presenza di domanda di mero accertamento delle qualità di socio e/o di amministratore di fatto difetta l’interesse ad agire nel caso in cui vi sia stata estinzione, per sopravvenuta prescrizione, di qualsiasi ragione di credito o economico-patrimoniale in riferimento alle predette qualifiche sociali.

La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. In particolare, in base al principio della c.d. teleologica complanarità, il diritto così introdotto in giudizio deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere alla realizzazione, almeno in parte, salva la differenza tecnica di petitum mediato, dell’utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale e dunque risultare compatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio. [In applicazione di tali principi, il Tribunale ha ritenuto che ove l’attore che ha agito per il mero accertamento delle sue qualità di socio co-fondatore di fatto e di co-amministratore di fatto e/o socio di fatto proponga nel corso del giudizio domanda di condanna al pagamento di somme dovute in ragione del dedotto rapporto societario, tale ultima domanda è inammissibile in quanto non configura una mera emendatio libelli bensì una domanda nuova, ulteriore, diversa e aggiuntiva rispetto a quella inizialmente proposta in citazione. Ha ritenuto, infatti, che tali domande introducono temi di indagine e di decisione inediti e più ampi rispetto a quelli inizialmente prospettati, dilatando oltre misura la primigenia materia del contendere, con significativa compressione dei diritti di difesa delle controparti].

11 Novembre 2021

Note sostanziali e processuali dell’impugnazione della delibera di bilancio. Legittimazione dell’ex socio ad impugnare la delibera ex art. 2447 c.c.

Dev’essere considerata ammissibile la precisazione, effettuata in prima memoria, della domanda di impugnazione di una delibera assembleare quale domanda di nullità, allorché riguardi la mera qualificazione dell’impugnazione in riferimento a presupposti di invalidità della delibera già prospettati in citazione.

Non sono compromettibili in arbitri le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere assembleari di approvazione del bilancio per vizi attinenti alla violazione delle norme che disciplinano la redazione dei documenti contabili.

Colui il quale abbia perso la qualità di socio, non avendo sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale, conserva la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare adottata ex art. 2447 c.c., in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, co. 1 Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

Il corretto richiamo, in nota integrativa, dei principi contabili di cui si è fatta applicazione nella redazione del bilancio esclude l’invalidità della relativa delibera di approvazione [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto corretta la scelta degli amministratori di svalutare integralmente le immobilizzazioni, dopo aver rilevato la perdita del requisito della continuità aziendale, a fronte di un ingente fabbisogno finanziario immediato, rispetto al quale i soci non avevano manifestato alcuna disponibilità ad intervenire con versamenti o  finanziamenti].

Non può ritenersi annullabile per abuso di maggioranza la delibera di riduzione e contestuale aumento del capitale ex art. 2447 c.c., allorché le alternative astrattamente percorribili dalla società – i.e. il rinvio annuale delle iniziative di cui all’art. 2447 c.c. data la natura di PMI innovativa della società, la trasformazione, il ricorso al credito bancario ovvero l’acquisto delle partecipazioni dei soci di minoranza da parte di quelli di maggioranza – non avrebbero comunque consentito il recupero della continuità aziendale o avrebbero presupposto delle valutazioni aventi carattere discrezionale, in quanto tali libere.

20 Febbraio 2019

Tutela di design non registrato nei confronti del (preteso) licenziatario – requisiti di tutela, divulgazione e valore artistico

Si ha mutamento della domanda quando variano il petitum e/o la causa petendi, ma resta ammessa la proposizione della domanda nuova con la memoria ex art. 183, comma 6, n.1. c.p.c. quand’essa sia inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, oppure sia connessa per incompatibilità a quella in origine proposta, ovvero non comporti la compressione del diritto di difesa avversario o un allungamento eccessivo dei tempi processuali.

L’art. 17 della direttiva 6/2002, statuendo che “I disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno stato membro o con effetti in uno stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d’autore vigente in tale stato”, consente di desumere che le suddette disposizioni si applichino esclusivamente ai disegni o modelli oggetto di registrazione, non essendo individuabile alcun appiglio normativo che consenta di estendere la tutela apprestata ai diritti d’autore anche ai disegni e ai modelli non registrati, quali quelli oggetto di causa, sulla base di una pretesa applicazione analogica non consentita dall’eccezionalità della normativa e, in ogni caso, non suffragata da alcuna risultanza probatoria.

Ai fini della tutelabilità, in base alla normativa sul diritto d’autore, di una creazione d’arte applicata all’industria, l’art. 2, n. 10 della l. 633/1941 si esige che l’opera di industrial design abbia un “quid pluris” costituito dal valore artistico, la cui prova spetta alla parte che ne invoca la protezione, che può essere ricavato da una serie di parametri oggettivi, non necessariamente tutti presenti in concreto, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista.

La nozione di utilizzatore informato è intermedia tra quella di consumatore medio applicabile in materia di marchi (al quale non è richiesta alcuna conoscenza specifica e che in generale non effettua un confronto diretto tra i marchi in conflitto) e quella della persona competente in materia provvista di competenze tecniche approfondite. Pertanto, l’utilizzatore informato non ha, né tantomeno deve possedere le competenze di un esperto tecnico del settore di riferimento, bensì, utilizzando il prodotto per l’uso cui è destinato, è tuttavia dotato non già di un’attenzione media, bensì di una particolare diligenza, a prescindere dal se quest’ultima sia dovuta alla sua esperienza personale oppure alla sua conoscenza approfondita del settore considerato.

Ai fini della contraffazione di modelli non registrati, non è sufficiente la riproduzione di tutte le caratteristiche individualizzanti, ma la tutela è ristretta ai casi di identità dei modelli, che si verifica quando la violazione derivi dalla integrale “copiatura” del modello.

27 Novembre 2018

Azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2395 c.c. promossa dal venture capitalist: natura della responsabilità, valore probatorio della sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile e dimostrazione degli elementi costitutivi dell’illecito.

Il parziale mutamento degli elementi fattuali integranti la causa petendi e l’ampliamento del petitum rientrano nei confini della emendatio libelli – come definiti dalla Suprema Corte a sezioni unite, sentenza n. 12310/2017 – quando la domanda così modificata risulta comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio con la citazione, senza che le precisazioni effettuate con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c. abbiano compromesso le potenzialità difensive del convenuto o comportato un allungamento dei tempi processuali.

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12 Giugno 2018

Competenza sulla domanda relativa ai compensi dell’amministratore di società di capitali. Limiti alla modificazione della domanda in sede istruttoria.

La controversia tra una società di capitali e un proprio amministratore relativa al pagamento dei compensi per l’esercizio delle funzioni gestorie rientra nell’ambito dei “rapporti societari” cui fa riferimento l’art. 3, co. 2, lett. a) del d. lgs. n. 168 del 2003 ai fini dell’individuazione della competenza per materia delle Sezioni Specializzate in materia di impresa. Il rapporto fra l’amministratore e la società è, infatti, funzionale – secondo la figura della c.d. immedesimazione organica – alla vita della società. In altri termini, tale rapporto è rapporto “di società” perché serve ad assicurare l’agire della società e non è pertanto assimilabile  né ad un contratto d’opera, né tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato. Quindi, il consigliere d’amministrazione e la società sono  legati da un rapporto di tipo societario che, appunto in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso fra quelli previsti dal n. 3 dell’art. art. 409 c.p.c. (Cfr. Cass. n. 4769/2014; Cass. ord. n. 14369/2015; Cass. n. 2759/2016; Cass., S.U., n. 1545/2017). [ LEGGI TUTTO ]

4 Ottobre 2016

Distinzione tra contestazioni nuove e precisazione della domanda proposta in giudizio

Le contestazioni nuove che risultano proposte per la prima volta in sede di memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c., che vanno ad aggiungersi e non a sostituire le contestazioni precedenti, si pongono al di là dei limiti di una ammissibile precisazione delle proprie domande. La vera differenza tra domande nuove – implicitamente vietate – e domande modificate – espressamente ammesse – non sta dunque [ LEGGI TUTTO ]

Azione di responsabilità del socio ex art. 2395 e mutatio libelli

L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che [ LEGGI TUTTO ]

1 Giugno 2016

Cessione d’azienda e discrimen tra ammessa emendatio e inammissibile mutatio libelli

La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione [ LEGGI TUTTO ]

2 Ottobre 2015

Frazione nazionale di brevetto europeo ed internazionale e criteri per la valutazione della predivulgazione al pubblico

Il giudice dinanzi al quale viene fatta valere la nullità di una domanda di brevetto europeo non ancora concesso, privo di giurisdizione al momento della domanda ha, per l’applicazione del principio della “perpetuatio iurisdictionis”, la [ LEGGI TUTTO ]