Legittimità dell’esclusione del socio da società cooperativa edilizia
Poiché scopo di una cooperativa edilizia è quello di ottenere, tramite la gestione in forma associativa, a condizioni possibilmente migliori rispetto a quelle ottenibili sul mercato, il soddisfacimento dei propri bisogni abitativi mediante l’assegnazione in godimento di unità immobiliari, presupposto per poter ottenere in godimento l’alloggio è l’aver acquisito lo status di socio della cooperativa.
L’indennità da occupazione abusiva dell’immobile va determinato in via analogica in base al criterio previsto dall’art. 1591 c.c. in materia di locazione – ai sensi del quale il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna – e comunque con modalità corrispondente a quanto la cooperativa attrice avrebbe percepito dall’assegnazione ad altro socio, qualora la convenuta avesse rilasciato tempestivamente l’immobile.
Sulla clausola statutaria di esclusione del socio per inadempimento
L’autonomia negoziale riconosciuta dall’art. 2533 c.c. per l’introduzione di ipotesi di esclusione del socio deve manifestarsi nella previsione di ipotesi tassative, sufficientemente determinate e facilmente individuabili, al fine precipuo di evitare il rischio concreto di riservare una discrezionalità eccessiva all’organo incaricato dell’adozione dei provvedimenti di esclusione dalla compagine sociale.
La clausola statutaria di esclusione del socio per inadempimento integra, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, un’ipotesi di risoluzione per inadempimento e deve pertanto considerarsi legittima soltanto laddove l’inadempimento non rivesta scarsa importanza, nel senso che sia tale da impedire o rendere più gravoso il perseguimento del fine sociale e sia, comunque, imputabile ad un comportamento doloso o colposo del socio, a nulla rilevando l’eventualità di un danno effettivamente arrecato alla società.
La gravità dell’inadempimento deve essere valutata con riferimento alla qualità del socio, di tal che non rilevano le violazioni di obblighi di natura personale, salvo espressa previsione statutaria in tal senso.
Al fine dell’esclusione di un socio di una società cooperativa per inadempimento, configurano requisiti necessari la colposità del detto inadempimento e la gravità del medesimo, da riscontrarsi in relazione al pregiudizio arrecato al perseguimento dello scopo sociale.
Giusta causa e specificità delle clausole di esclusione del socio di s.r.l.
Il socio di società a responsabilità limitata può essere escluso dalla compagine sociale solo nell’ipotesi prevista per il caso in cui il socio sia moroso rispetto al suo obbligo di conferimento e, comunque, solo successivamente all’esperimento infruttuoso del procedimento di cui all’art. 2466, 2° e 3° comma, c.c. o, alternativamente, al ricorrere delle circostanze previste dallo statuto.
La possibilità di introdurre statutariamente delle clausole di esclusione dei soci di s.r.l. richiede che venga rispettato il requisito, oltre che della giusta causa, anche della specificità.
Pertanto, deve ritenersi illegittima per mancanza di specificità la clausola di esclusione che riproduce l’art. 2286, 1° comma, c.c., nella parte in cui recita: “l’esclusione di un socio può aver luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale”, mancando il rispetto del requisito della specificità in quanto dall’atto costitutivo devono emergere con chiarezza e precisione quali sono le obbligazioni sociali (o, comunque, i suddetti comportamenti, a carico) del socio.
Sull’onere della prova nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di società cooperativa
Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto ed in base ai quali risulti adottata la deliberazione impugnata, senza poter invocare in giudizio, a sostegno della legittimità medesima, fatti distinti e diversi, ancorché potenzialmente idonei a giustificare l’interruzione del rapporto societario.
L’esclusione del socio inadempiente alle obbligazioni assunte nei confronti della società cooperative
A fronte di disposizioni statutarie che attribuiscono espressamente all’organo amministrativo il potere di escludere il socio che non abbia adempiuto alle obbligazioni assunte nei confronti della società cooperativa, o si sia reso moroso nel versamento delle somme dovute, deve ritenersi legittima, ex art. 2533, c. 1, c.c., la delibera di C.d.A. di esclusione del socio di società cooperativa che, dopo essersi visto assegnare un immobile di proprietà della società, non ha corrisposto il prezzo pattuito per il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile. La legittimità della delibera di esclusione determina la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti tra il socio e la cooperativa ex art. 2533, c. 4, c.c., ivi compresi quelli derivanti dalla suddetta assegnazione “immobiliare”, con conseguente obbligo di rilascio dell’immobile assegnato da parte del socio escluso.
Annotazione sul libro soci dell’esclusione del socio ed eccezione di giudicato
La cancellazione dal libro soci del nominativo del socio escluso è un’attività materiale avente rilievo meramente ricognitivo di un effetto già prodottosi per legge sin dal momento in cui si è verificata la situazione di fatto posta a fondamento dell’esclusione.
Il principio del “dedotto e deducibile” – in virtù del quale l’efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti, anche a quanto esse avrebbero potuto dedurre – concerne le ragioni non dedotte che costituiscono un antecedente logico necessario rispetto alla pronuncia, nel senso che deve ritenersi precluso alle parti stesse la proposizione, in altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni soggettive incompatibili con il diritto accertato.
L’eccezione di giudicato può essere rilevata d’ufficio dal giudice, in quanto volta a tutelare l’interesse pubblico ad evitare l’insorgere di un conflitto tra giudicati, in conformità al principio del “ne bis in idem”.
Obbligo di cessione di partecipazioni sociali al verificarsi di una condizione statutaria
La clausola statutaria nella quale sia previsto che il socio che cessi la propria attività lavorativa in favore di società controllate dalla partecipata o ad essa collegate sia obbligato ad offrire in acquisto agli altri soci la propria quota al valore di patrimonio netto corrispondente, non è da ricondurre ad un’opzione condizionata alla cessazione dell’impiego. Ciò in quanto la stessa clausola non prevede (al contrario di un patto di opzione) una posizione di soggezione ad un diritto potestativo a favore dell’opzionario, ma un obbligo di cedere le quote e, cioè, la stessa non rappresenta una proposta irrevocabile cui corrisponde una facoltà di accettazione tipica dell’opzione. Si tratta, invece, di un’obbligazione di vendere la quota qualificabile quale obbligo di recesso (recesso vincolato-obbligatorio) che si distingue dall’esclusione del socio in senso tecnico perché qui non si dà corso alla delibera di esclusione assembleare ai sensi dell’art. 2287 c.c. (analogicamente applicabile alla s.r.l.), avente efficacia decorsi trenta giorni dalla comunicazione in assenza di opposizione, ma alla quale obbligazione a vendere si applicano, comunque, analogicamente, gli stessi artt. 2473 bis e 2473 c.c., giacché ci si trova di fronte, in ogni caso, ad un recesso imposto.
L’art. 2473 c.c. non è inderogabile nella parte in cui prevede il rimborso della partecipazione della s.r.l. in base al valore di mercato, perché non lo è nella normativa riguardante la s.p.a., regolata più rigidamente.
A seguito della riforma del diritto societario dettata dal d.lgs. 6/03, sia aderendo alla tesi dell’applicazione analogica (per quanto non regolato) delle norme delle s.p.a. alle s.r.l. (e, quindi, della normativa derogatoria di cui all’art. 2437 ter c.c.), sia ritenendo che, invece, si debba considerare la maggior elasticità ed autonomia tipica della regolamentazione della s.r.l. che conduce a reputare del tutto compatibile una deroga statutaria all’art. 2473, co. 3, c.c., la norma in questione non può qualificarsi come inderogabile.
Non è consentito il recesso ad nutum del socio di una società a responsabilità limitata contratta a tempo determinato e la cui durata è prevista fino all’anno 2050, anche se tale durata eccede l’aspettativa di vita del socio, poiché prevale l’esigenza di tutela dei creditori, che, facendo affidamento sul patrimonio sociale, hanno interesse al mantenimento della sua integrità, irrilevante essendo la circostanza che la durata ecceda l’aspettativa di vita del socio medesimo.
Istanza cautelare di sospensiva di delibera di società di persone e modifica del criterio di distribuzione degli utili
Deve ritenersi ammissibile in corso di causa – secondo le regole generali – l’istanza anticipatoria di sospensione degli effetti della delibera impugnata, ponendo l’art. 2378 c.c. un vincolo solo quanto alla preventiva instaurazione del giudizio di merito. L’istanza cautelare deve ritenersi ammissibile anche in relazione all’impugnativa delle delibere di società di persone.
Nelle società semplici il contratto può essere modificato esclusivamente con il consenso di tutti i soci se non è convenuto diversamente ex art. 2252 c.c. Se tale deroga è prevista dallo stesso atto costitutivo, deve ritenersi legittima la delibera dei soci che deroghi al criterio ordinario di ripartizione degli utili ex art. 2263 c.c., introducendo un diverso criterio, purché rispettoso del principio dell’art. 2265 c.c.
Onere della prova nel giudizio di opposizione alla deliberazione di esclusione del socio
Ai sensi dell’art. 2533 c.c., contro la deliberazione di esclusione del socio, il socio può proporre opposizione al Tribunale nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione. In sede di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società -che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore- l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato (Cass. civ. 26.9.2013 n.22097).
Onere probatorio nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di società cooperativa
Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato.