hai cercato per tag: fallimento - 213 risultati
2 Novembre 2022

Competenza sulle azioni derivanti dal fallimento

L’art. 83, comma 3 seconda parte TUB, parallelamente all’art. 24 l. fall., riguarda le azioni derivanti dal fallimento. Spettano alla competenza del Tribunale fallimentare o più in generale della procedura le domande di condanna (art. 52 fall. e 83, comma 3 prima parte TUB) e quelle domande che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa. Per tali domande devono intendersi sicuramente quelle che sono volte ad incidere effettivamente sulla massa, sottraendo ad essa valori e beni; ma anche quelle domande di accertamento che non mostrano altro scopo che quello di porsi come premesse per pretese contro la massa. Spazi di riserva al giudice ordinario si leggono invece in generale nelle pronunce che trattano di domande demolitorie o di accertamento che abbiano come scopo solo tale accertamento. Naturalmente, posto che la domanda deve essere comunque sorretta da un interesse, sarà lo scopo ultimo dell’accertamento, o della pronuncia costitutiva demolitoria richiesti, a determinare la procedibilità o meno della domanda avanti il giudice ordinario.

28 Ottobre 2022

Quantificazione del danno risarcibile dagli amministratori ex art. 2486 c.c.

Ai fini del calcolo del danno risarcibile ex art. 2486 c.c., non è sufficiente rettificare le voci del bilancio inattendibili e scorrette, ma è necessario altresì procedere, all’esito delle rettifiche, con la riclassificazione del bilancio in ottica liquidatoria, ovvero espungere per ogni esercizio successivo al verificarsi della causa di scioglimento della società tutti i costi che in ogni caso avrebbe dovuto sostenere ove fosse stata posta tempestivamente in liquidazione – quali, ad esempio, i costi relativi al personale indispensabile in fase di liquidazione, i costi relativi ai compensi per i liquidatori, i costi relativi ai professionisti consulenti, i costi necessari per utenze, i costi inerenti alla conduzione di immobili non produttivi ma destinati alle attività meramente gestorie, eccetera –, nonché espungere dalla differenza dei netti tutte le disutilità economiche derivanti dalla liquidazione, ivi compresa le svalutazioni delle poste attive di bilancio valutate in continuità e che invece si sarebbero dovute rideterminare ai fini liquidatori, perdendo, ad esempio, i cespiti ed il magazzino la loro destinazione produttiva. Detta operazione risponde alla necessaria esigenza imposta dal principio di causalità, dovendo rispondere gli amministratori unicamente dei danni imputabili e non dei costi e delle disutilità che si sarebbero verificate comunque, anche ove la società fosse stata posta in liquidazione tempestivamente.

12 Ottobre 2022

Presupposti per l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di fatto di s.r.l.

L’azione di responsabilità promossa nei confronti di più amministratori o sindaci non costituisce un caso di litisconsorzio necessario tra i convenuti, trattandosi di una pluralità di rapporti distinti, anche se collegati tra loro, e che consentono, pertanto, di agire separatamente nei confronti di ciascuno di essi.

Ai fini dell’individuazione della figura dell’amministratore di fatto della società non è necessario che l’attività posta in essere dal soggetto che si è ingerito nella gestione sociale in assenza di qualsivoglia investitura sia caratterizzata da completezza e, cioè, che sia svolta in tutti gli abiti tipici della funzione gestoria e attraverso atti conformativi dell’operato della società aventi valenza esterna. L’amministratore di fatto, esercitando dei poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, può concorrere con questi ultimi a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione.

7 Ottobre 2022

L’azione ex art. 2394 c.c. nell’esecuzione di un concordato preventivo e la responsabilità per asserita illegittima prosecuzione dell’attività

Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dell’amministratore nei confronti dei creditori sociali rimane sospeso tra la data dell’omologazione del concordato preventivo e la data di risoluzione dello stesso in ragione dell’obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori ai sensi dell’art. 184 l. fall., cosicché risulta agli stessi preclusa l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, tenuto conto dell’estinzione dei crediti per la parte che supera la percentuale prospettata nella proposta concordataria.

L’individuazione del momento in cui si è verificata la perdita del capitale sociale e/o della continuità aziendale è rilevante per accertare la responsabilità degli amministratori per i danni cagionati alla società e ai creditori, per effetto dell’illegittima prosecuzione dell’attività sociale ex art. 2486 c.c., in relazione ad atti non conservativi dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti e il danno di cui si pretende il risarcimento. Gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili delle perdite maturate dall’impresa, senza la prova che il deficit patrimoniale sia stato conseguenza delle condotte gestorie compiute dopo la riduzione del capitale sociale, e possono essere chiamati a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla loro condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale.

Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’ex amministratore per illegittima prosecuzione dell’attività dopo il realizzarsi di una causa di scioglimento deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa.

8 Agosto 2022

L’azione di responsabilità del curatore per gli illeciti gestori degli amministratori estesa anche agli amministratori di fatto

Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione. Nel novero delle operazioni dannose meritano senz’altro di essere comprese le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguono altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo.

Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c. (o 2476 c.c. per le s.r.l.), sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice (2476, sesto comma, c.c. per le s.r.l.). L’azione sociale di responsabilità ha pacificamente natura contrattuale e dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’inadempimento.

Il mancato deposito delle scritture contabili, il mancato deposito del bilancio annuale di esercizio e la dispersione dell’attivo indicato nell’ultimo bilancio depositato, nonché la quasi integrale assenza di attivo rinvenuto dal curatore sono circostanze di fatto che legittimano la quantificazione del danno ricorrendo al criterio equitativo dello sbilancio non permettendo l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta del amministratore.

L’individuazione della figura del c.d. “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.

Presupposti della postergazione del finanziamento dei soci ex art. 2647 c.c.

Qualora i finanziamenti da parte dei soci a favore della società non siano stati eseguiti in condizioni di patrimonializzazione insufficiente ma in un periodo nel quale i bilanci evidenziavano la produzione di utili di esercizio, ancorchè le restituzioni siano state effettuate nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, non sussistono i presupposti della violazione dell’art. 2467 c.c. ma semmai gli estremi di un pagamento preferenziale, in relazione al quale l’ammontare del danno non può essere individuato nell’intero importo oggetto di restituzione, bensì nell’entità della falcidia fallimentare.

25 Luglio 2022

La responsabilità del socio unico di s.r.l. ex art. 2462 c.c.

L’art. 2462 c.c. prevede la responsabilità illimitata del socio unico, in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte dal momento in cui l’intera partecipazione gli è appartenuta e sino a che non sia stato pubblicizzato nel registro delle imprese la dichiarazione attestante la presenza di un unico socio.

Secondo la regola generale, il trasferimento delle partecipazioni produce effetti nei confronti della società dal momento del deposito presso l’ufficio del Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 2470, co. 1, c.c. Quando a seguito del trasferimento delle partecipazioni la società diventa unipersonale, tale adempimento non è più sufficiente, richiedendo la norma al comma 4 il deposito di una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome, nome, denominazione, data e luogo di nascita o Stato di costituzione, domicilio o sede e cittadinanza dell’unico socio. Un nuovo deposito della dichiarazione sarà necessario ove si costituisca o si ricostituisca la pluralità dei soci secondo il comma 5. Al deposito della dichiarazione è tenuto l’organo amministrativo delle società, ma la norma prevede al comma 6 anche la possibilità che vi provveda direttamente il socio che diventi o cessi di essere unico titolare delle partecipazioni sociali, in ragione delle conseguenze che derivano dal mancato adempimento.

La previsione della responsabilità illimitata dell’unico socio si pone quale sanzione derivante dal mancato rispetto di regole poste a tutela dei terzi per i casi di partecipazione di un socio unico alla società; pertanto, il socio unipersonale deve essere ritenuto responsabile illimitatamente al ricorrere di una soltanto delle condizioni previste dalla norma.

Qualora il medesimo soggetto sia socio unico ed amministratore di una società, non potendosi evidentemente determinare una duplicazione del medesimo danno, tale danno andrà imputato al soggetto in base ai differenti titoli (responsabilità derivante dall’accoglimento di un’azione di responsabilità come amministratore e responsabilità patrimoniale illimitata per le obbligazioni sociali, come socio unico).

I doveri di amministratori e liquidatori possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.

Nei casi di azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. intentata dal curatore nei confronti degli ex amministratori di una società fallita viene esercitata cumulativamente sia l’azione sociale di responsabilità che sarebbe stata esperibile dalla medesima società, se ancora in bonis, nei confronti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 2393 c.c., sia l’azione che, ai sensi del successivo art. 2394 c.c., sarebbe spettata ai creditori sociali danneggiati dall’incapienza del patrimonio della società debitrice.

In merito all’ammontare del danno, il nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c. ha introdotto una presunzione semplice con riferimento alla quantificazione del danno secondo il criterio dei netti patrimoniali ed una presunzione iuris et de iure in favore della procedura concorsuale con riguardo all’adozione del criterio residuale della differenza tra attivo e passivo, quando non sia possibile determinare i netti patrimoniali per la mancanza o irregolarità delle scritture contabili.