La prescrizione del diritto alla restituzione di un finanziamento infragruppo effettuato in regime di cash pooling
L’applicazione dell’art. 2949, co. 1, c.c., che fissa un termine prescrizionale breve per i diritti aventi origine da rapporti sociali, non ha portata smisurata, bensì ristretta, riguardando unicamente i diritti che derivano da rapporti inerenti all’organizzazione sociale in dipendenza diretta con il contratto sociale, nonché da rapporti relativi alle situazioni propriamente organizzative determinate dal successivo svolgimento della vita sociale. Tuttavia, non tutte le vicende che intercorrono fra socio e società possono essere indistintamente ricondotte al rapporto sociale, o all’organizzazione sociale. Infatti, il socio può erogare somme di denaro in favore della società a vario titolo, sicché, per ritenere esistente il diritto alla restituzione e verificare l’eventuale intervento della prescrizione, occorre qualificare giuridicamente i versamenti effettuati, previa interpretazione della volontà delle parti, tenendo conto che la prescrizione breve, prevista dall’art. 2949 c.c., riguarda solo quei diritti derivanti da relazioni fra i soggetti dell’organizzazione sociale che dipendono dal contratto sociale o da deliberazioni societarie, esclusi tutti gli altri diritti fondati su ordinari rapporti giuridici che la società può instaurare al pari di qualsiasi altro soggetto, anche, ovviamente, con un socio, senza che tale qualità muti la natura del rapporto.
Il rapporto contrattuale c.d. di tesoreria accentrata non può essere certo ricondotto ai rapporti che si generano come effetto automatico dell’appartenenza a uno stesso gruppo societario, assumendo invece la natura di vero e proprio modulo organizzativo infragruppo, che traduce in concreto lo specifico interesse comune delle società del gruppo a gestire i reciproci rapporti finanziari. Tale contratto atipico, che solitamente viene stipulato fra le società appartenenti a uno stesso gruppo e che prevede che una delle società parte dell’accordo (di solito la holding) funga da centro di tesoreria al fine di semplificare i flussi di cassa, è un servizio di cui le società del gruppo possono scegliere di avvalersi. La relazione tra l’accordo con il quale si aderisce al servizio di tesoreria accentrata e il contratto sociale è occasionale, non necessaria, e tantomeno è conseguente alla costituzione dell’ente. Dovendo l’interprete ricercare la disciplina che più si attaglia a tale negozio, considerata la funzione e l’operatività dello stesso, esso deve essere ricondotto – per la funzione che svolge – al genere dei contratti di finanziamento.
In tema di rapporti di finanziamento intercorrenti fra socio e società, non si applica l’art. 2949 c.c. Infatti, l’interesse del socio ad erogare un finanziamento alla società è collegato al rapporto sociale solo in via di fatto poiché opera soltanto sul piano dei motivi ed è connesso alla soddisfazione delle esigenze finanziarie della società, salvo che non rinvenga la sua fonte in un obbligo giuridico derivante da una deliberazione o dal contratto sociale. Ne consegue che il diritto del socio a ottenere la restituzione del finanziamento erogato si prescrive nel termine ordinario e non in quello breve, quinquennale, di cui all’art. 2949, co. 1, c.c., la cui portata riguarda le sole relazioni tra i soggetti dell’organizzazione sociale, sorte in dipendenza diretta del contratto di società o di deliberazioni sociali.
Il credito fondato sul contratto di c.d. cash pooling può essere provato dagli estratti di conto corrente e dalle schede contabili dei movimenti infragruppo. Se a queste ultime annotazioni non può essere attribuita la forza probatoria di vero e proprio riconoscimento di debito, neppure, per vero, possono essere ignorate, in considerazione del generale principio di cui all’art. 2710 c.c., qualora fossero indice dei pacifici rapporti intercorsi fra le società e del sistema di cash pooling pacificamente operante con reciproci vantaggi.
Criteri di imputazione dei finanziamenti soci
Il fatto che il finanziamento provenga da una società interamente partecipata dal socio non consente di per sé di imputarlo al socio: anche la società a socio unico, infatti, è soggetto distinto dal socio, dotato di piena autonomia patrimoniale, che non imputa affatto al socio gli effetti della propria attività negoziale in mancanza di elementi che consentano in modo inequivoco di affermare che le sia stata da lui delegata.
Responsabilità degli amministratori per inadempimento delle obbligazioni fiscali
L’assenza di un provvedimento giudiziale di accertamento definitivo del debito tributario non esclude la necessità dell’appostamento di un fondo rischi: l’inadempimento delle obbligazioni fiscali verificatosi nel corso di più anni e la mancata impugnazione di alcun avviso bonario o cartella esattoriale rende opportuna la costituzione di un fondo per le sanzioni dovute ai sensi del principio OIC 31 e del terzo comma dell’art. 2424 bis c.c. che si riferisce a debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile.
Responsabilità di amministratori e sindaci, la nozione di insolvenza
L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale, che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., derivante, innanzitutto, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito; in ragione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore (o sugli altri organi societari), la prova contraria della diversa data anteriore d’insorgenza dello stato d’incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.
Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori e dei sindaci, è necessario sia provare il danno, consistente nel deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, sia la riconducibilità causale di detto danno alla condotta omissiva o commissiva degli amministratori e dei sindaci. In particolare, la concessione di prestiti fruttiferi, che, dunque, prevedono un ritorno per la società, a parti correlate, implica l’insorgenza di un danno e, dunque, la responsabilità di amministratori e sindaci, allorché si verifica l’inadempimento dell’obbligo di restituire le somme corrisposte; il danno, comunque, è necessariamente correlato alla mancata restituzione, per la somma non recuperata, e, se del caso, per i conseguenti danni per interessi corrisposti su indotto fabbisogno finanziario, e per eventuali sanzioni amministrative. A fronte di atti distrattivi, in quanto destinati a finalità estranee all’oggetto sociale, il danno va commisurato alla diminuzione patrimoniale subita dalla società per effetto dei prelevamenti.
Per essere esonerati da responsabilità i sindaci non devono limitarsi a vigilare e a denunciare nella relazione al bilancio le censure alla condotta dell’organo gestorio, ma è altresì necessario che si attivino al fine di porre in essere gli atti necessari, e a dare attuazione ad ogni loro potere di sollecitazione e denuncia. Deve, infatti, ritenersi che ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi, secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale, se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione degli stessi avrebbe ragionevolmente evitato l’illecito, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica.
L’art. 2, co. 1, lett. b), c.c.i.i. definisce lo stato d’insolvenza come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. È da escludersi, pertanto, che sussista lo stato d’insolvenza in presenza di un passivo di bilancio, od allorché la difficoltà di adempimento delle obbligazioni sia momentanea, e non cronica, e riguardi non tutte le obbligazioni, ma solo poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato. L’insolvenza, invero, dev’essere valutata dinamicamente, in relazione cioè al complesso delle operazioni economiche ascrivibili all’impresa: dunque a un elemento legato non all’incapienza in sé del patrimonio dell’imprenditore, ma a una vera impotenza patrimoniale definitiva e irreversibile, e non è, invece, ravvisabile in una mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte.
Allorché sia sottoposta all’assemblea di una s.r.l. la richiesta, rivolta ai soci, di versare somme a titolo di finanziamento, la sua approvazione non fa sorgere di per sé, neppure in capo a chi abbia espresso voto favorevole, l’obbligo di eseguire il versamento, essendo all’uopo necessaria un’ulteriore, distinta manifestazione di volontà negoziale da parte di ciascun socio uti singulus, la cui prova non richiede forme particolari.
Inapplicabilità della compensazione ex art. 56 l.fall. al finanziamento dei soci postergato ex art. 2467 c.c.
Ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c., vale il momento della concessione del finanziamento e rileva anche il momento della restituzione del finanziamento per verificare se la situazione di dissesto è definitivamente cessata. La postergazione opera come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma dell’art. 2467 c.c., con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata: fino a quel momento il credito del socio è inesigibile e la compensazione deve essere esclusa anche in sede concorsuale. L’inesigibilità in parola è una condizione ex lege imposta al fine di tutelare i creditori sociali e si differenzia dall’“inesigibilità” per mancata scadenza del debito. La postergazione del credito mira, infatti, ad impedire che la procedura fallimentare possa soddisfare il creditore postergato con anteriorità rispetto ai beneficiari della subordinazione.
Ancorché una tesi minoritaria affermi la possibilità della compensazione, occorre al contrario ritenere inapplicabile la compensazione del credito postergato (del soggetto in bonis) con un controcredito del soggetto sottoposto a procedura concorsuale ai sensi dell’art. 56 l. fall. Nel bilanciamento tra le due norme (art. 56 l. fall. e art. 2467 c.c.), al ricorrere della fattispecie prevista dall’art. 2467 c.c. la finalità di protezione dei creditori sociali prevale rispetto alle ragioni poste a fondamento della possibilità per il creditore in bonis di compensare il proprio diritto con quello del debitore assoggettato alla procedura concorsuale. La regola della posposizione dei crediti postergati è posta a tutela dell’interesse dei creditori non soci; ammettere la compensabilità del credito postergato ex lege consentirebbe al creditore postergato una soddisfazione integrale, senza falcidia, del proprio credito da restituzione, ed altresì anticipata rispetto ai creditori chirografari.
Invero, il meccanismo compensatorio si pone in evidente contrasto con la finalità precipua della postergazione che è, appunto, quella di collocare il diritto alla ripartizione del creditore postergato in una fase successiva rispetto all’integrale soddisfacimento degli altri creditori. L’inesigibilità del credito da finanziamento permane fin quando non siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori, sicché fin quando non si verifica questa condizione la compensazione non può operare, essendo il credito da finanziamento inesigibile.
Eccezione di postergazione del finanziamento soci opposta dalla società espromittente
La clausola, contenuta in un contratto di cessione di quote, per cui la società acquirente si impegna a rimborsare al venditore, entro una certa data, il suo finanziamento alla società ceduta, non può essere dichiarata nulla per difetto del requisito di determinatezza. Se, difatti, l’oggetto dell’obbligazione si identifica nelle prestazioni che le parti sono vincolate ad eseguire, e questo si ritiene determinato laddove sia chiaro alle parti ciò a cui si obbligano, allora deve asserirsi che la clausola dia forma ad un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di dare una somma di denaro, determinata in quanto comprensibile alle parti, oltre che eseguibile mediante un procedimento di mera attuazione (senza, cioè, necessità di alcuna integrazione).
La clausola produce effetti da inquadrarsi nel genus delle modificazioni del lato passivo del rapporto obbligatorio e, specificatamente, nella fattispecie dell’espromissione, descritta dall’art. 1272 c.c. L’espromissione prende forma in un contratto fra il creditore espromissario ed un terzo espromittente, per il tramite del quale quest’ultimo spontaneamente si impegna, nei confronti del primo, a pagare un preesistente debito dell’obbligato originario espromesso, dovendo escludersi che siano giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l’intervento dell’espromittente. L’espromissione si differenzia dall’accollo, disciplinato dall’art. 1273 c.c., per la totale estraneità all’operazione negoziale del debitore originario espromesso. Nello schema dell’espromissione, il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario, potendo opporre al creditore le eccezioni (c.d. comuni) che a quest’ultimo avrebbe potuto opporre il debitore originario, con esclusione delle eccezioni c.d. personali e di quelle che derivano da fatti successivi all’espromissione (art. 1272, comma 3, c.c.).
L’eccezione di postergazione pare rientrare tra quelle c.d. personali, essendo basata su atti e fatti strettamente dipendenti dalla natura di persona giuridica del soggetto finanziato, dalla sua situazione patrimoniale al tempo dei conferimenti posti in essere in suo favore, dal particolare rapporto giuridico di natura societaria esistente tra autore e destinatario del finanziamento. Non potendosi dunque ricomprendere l’eccezione in questione tra quelle c.d. comuni, ne discende che esclusivamente la società che ha contratto il finanziamento soci potrebbe astrattamente opporre al creditore la natura postergata del credito; tale facoltà non è invece riconoscibile in capo alla società espromittente.
Alla stessa conclusione si perviene avendo riguardo anche alla ratio sottesa all’istituto della postergazione, che è quella di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa, priva di adeguati mezzi propri, sia posto a carico dei creditori esterni alla società. Per il tramite dell’art. 2467 c.c., laddove ricorrano le condizioni dettagliate dal comma 2, si persegue l’intento di preferire, in sede di soddisfacimento del credito, i creditori sociali ai soci finanziatori, derivandone che i secondi possono essere rimborsati esclusivamente dopo il completo soddisfacimento dei primi. Al contrario, in relazione all’adempimento, da parte di un terzo, dell’obbligazione di rimborso del finanziamento eseguito dal socio, non si pone alcuna esigenza di salvaguardia del patrimonio della società beneficiaria – di fatto estranea al suddetto rapporto obbligatorio – a fini di tutela dei creditori sociali di quest’ultima, cosicché l’applicazione al caso di specie della disposizione di cui all’art. 2467 c.c. non presenta alcuna effettiva ragion d’essere.
Pagamenti ingiustificati e principio di non contestazione
Il Tribunale deve, in forza del disposto dell’art. 115 c.p.c., porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Se il curatore esperisce l’azione sociale di responsabilità per reintegrare il patrimonio sociale, la stessa natura dell’addebito di “pagamento ingiustificato” impone a ciascun resistente, incluso l’amministratore di fatto, di prendere posizione su ciascuna voce di movimentazione del conto, non solo specificando la giustificazione dei singoli importi via via ricevuti, ma anche l’inerenza e la congruità dei singoli versamenti rispetto agli scopi sociali.
Applicabilità dell’art. 2467 c.c. alle s.p.a.
La disciplina della postergazione dei crediti dei soci dettata dall’art. 2467 c.c. per le società a responsabilità limitata può essere estesa ad altri tipi di società di capitali, tra cui la società per azioni. Ciò sul rilievo che la ratio della norma consiste nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale delle società chiuse, consentendo ai soci di avvantaggiarsi, concorrendo con essi, sugli altri creditori sociali, sostenendo la società mediante finanziamenti anomali anziché apporti a capitale; onde la relativa disciplina deve trovare applicazione (in via transtipica o, secondo altri, analogica) anche al finanziamento dell’azionista, qualora le condizioni della s.p.a. gli siano in concreto note per lo specifico assetto dell’ente o per assumere egli in concreto nella struttura organizzativa e amministrativa della società una posizione tale da assimilarla a quella del socio di una s.r.l.
Fra i finanziamenti a favore della società “in qualsiasi forma effettuati” cui fa riferimento l’art. 2467 c.c. rientra anche il pagamento, da parte del socio, di un debito della società.
Sulla qualificazione delle somme erogate dai soci: fondamentale l’esame della volontà negoziale delle parti
L’erogazione di somme, che i soci effettuano alla società da loro partecipata, può avvenire a titolo di mutuo ovvero quale versamento in apposita riserva “in conto capitale”: la qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti. La relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, analizzando le finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi [nel caso di specie, è stata pronunciata l’illegittimità, a causa di nullità per oggetto giuridicamente impossibile ex art. 2379 comma 1 c.c., della delibera assembleare con cui la società ha inteso cancellare unilateralmente il debito verso i soci, disponendo una indebita patrimonializzazione per pari importo].
Il finanziamento dei soci a titolo di mutuo può essere qualificato come postergato ex art. 2467 comma 2 c.c. solamente nel caso in cui, tanto nel periodo in cui esso sia stato effettuato quanto in quello in cui viene chiesta la restituzione, la società versi in situazione di crisi qualificata, cioè di probabile insolvenza. Non è sufficiente, ai fini probatori della probabile insolvenza, dedurre una generica situazione di difficoltà finanziaria della società risultante dai bilanci.
Postergazione del rimborso del finanziamento soci verso S.r.l. in liquidazione
Dalla cessione di una partecipazione societaria non consegue quale naturale negotii il trasferimento dei crediti che il socio cedente vanti verso la società, in quanto aventi fonte in un rapporto connesso ma distinto da quello sociale. Sarà quindi onere del cessionario dimostrare l’intervenuta cessione a lui anche dei crediti che altro ex socio vantava verso la società. Riguardo all’opponibilità di detta cessione alla debitrice società ceduta, saranno sufficienti la notifica del ricorso monitorio prima e la comunicazione della comparsa di risposta poi, da considerarsi atti ad ogni effetto equipollenti alla informale denuntiatio richiesta dall’art. 1264 co. 1° c.c.
La questione dell’assoggettabilità di un credito, derivante da un precedente finanziamento soci, alla postergazione di cui all’art. 2467 co. 2° c.c., non può essere posta con riguardo al momento in cui il rimborso è stato per la prima volta richiesto se la società è stata posta in liquidazione, data la persistenza delle condizioni alle quali l’art. 2467 co. 2° c.c. àncora la postergazione.