Revoca dell’amministratore di società a totale partecipazione pubblica
Quando a un ente pubblico è attribuito un potere di nomina o revoca di amministratori in una società, l’ente, nell’avvalersi di tale diritto, non esercita un potere a titolo proprio, ma esercita l’ordinario potere dell’assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto. Ciò comporta, per un verso, che gli atti in questione competono all’ente pubblico uti socius, e dunque iure privatorum e non iure imperii, con la conseguenza che in relazione a essi sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Per altro verso, che il rapporto controverso resta nella titolarità della società, unico soggetto tenuto a rispondere dell’eventuale obbligazione risarcitoria derivante dall’illegittimità del provvedimento medesimo, corollario da cui discende la necessaria partecipazione della società al giudizio di impugnazione della revoca.
La delibera di revoca dell’amministratore produce in ogni caso i suoi effetti in funzione della continuità della vita sociale, che esige certezza e stabilità degli atti, e al fine di presidiare la volontà assembleare che, come è libera di scegliere i gestori, così deve poterli revocare in ogni tempo, qualunque sia il motivo di quella scelta. Tale disciplina, dettata per le s.p.a., è applicabile in via analogica agli amministratori di s.r.l., essendo valide e applicabili anche in tale ambito le ragioni che la sorreggono. La delibera di revoca dell’amministratore deve enunciare in maniera esplicita le ragioni della revoca, che devono presentare caratteri di effettività ed essere riportate in modo adeguatamente specifico, mentre la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non è ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione, con la conseguenza che alla società compete la posizione di attore sostanziale in giudizio.
La previsione di cui all’art. 50, co. 8 e 9, TUEL identifica ex se una giusta causa oggettiva di revoca degli amministratori nel solo caso in cui la revoca intervenga nel termine di quarantacinque giorni dall’insediamento del nuovo sindaco, come previsto dall’art. 50, co. 9, TUEL. Di contro, la revoca dell’amministratore di una società partecipata da un Comune, disposta dal relativo sindaco oltre il termine di quarantacinque giorni dall’insediamento, è da ritenersi soggetta, quanto al ricorrere della giusta causa, alle regole ordinarie.
Il rapporto fra società ed ente pubblico è di assoluta autonomia, non essendo consentito all’ente di incidere unilateralmente sul suo svolgimento e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autorizzativi o discrezionali. L’amministratore di designazione pubblica non è soggetto agli ordini dell’ente nominante e, anzi, per testuale previsione del codice civile (art. 2449 c.c.), ha i medesimi diritti e i medesimi obblighi dell’amministratore di nomina assembleare.
L’accertamento del venir meno del rapporto fiduciario, quale presupposto della delibera di revoca, è rilevante ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato solo quando i fatti che abbiano determinato il venir meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore. In caso contrario, lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza dell’assemblea che legittima, da un lato, il recesso ad nutum e, dall’altro, che l’amministratore revocato senza giusta causa richieda il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato.
Il socio di s.r.l. titolare di un terzo del capitale può convocare l’assemblea
La competenza dei soci di s.r.l. titolari di almeno un terzo del capitale a sottoporre all’assemblea degli argomenti implica anche il potere degli stessi di procedere alla diretta convocazione dell’assemblea, poiché diversamente risulterebbe del tutto superflua la previsione legislativa di cui all’art. 2479, co. 1, c.c. Tale potere dei soci di s.r.l. è configurato come concorrente rispetto a quello eventualmente attribuito all’amministratore dall’autonomia statutaria, anche in considerazione della valorizzazione all’iniziativa e al ruolo del socio all’interno della s.r.l.
La revoca per giusta causa dell’amministratore può discendere dal venir meno del rapporto di fiducia con la compagine societaria. La giusta causa può essere sia soggettiva che oggettiva, purché si tratti di circostanze o fatti sopravvenuti idonei a influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto.
L’amministratore revocato ha legittimazione a impugnare la deliberazione assembleare di revoca ritenuta invalida.
L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori o ex amministratori di s.r.l. può essere esercitata direttamente dalla società, fermo restando che, in tal caso, è necessaria la previa deliberazione assembleare di cui all’art. 2393 c.c. quando l’azione sia diretta a far valere la responsabilità degli amministratori per inadempimento degli obblighi imposti dalla legge o dallo statuto.
Il socio di fatto nelle società di capitali. L’atto costitutivo non è interpretabile secondo l’intenzione dei contraenti
La società di fatto si ha quando la costituzione del rapporto non risulta da una prova scritta e questa non sia richiesta dalla legge ai fini della validità del rapporto sociale. Se è così, non è predicabile l’esistenza della figura del socio cofondatore o del socio di fatto all’interno di una società si capitali, giacché il legislatore richiede per la costituzione di questa tipologia di enti e per l’acquisto della qualità di socio delle formalità e delle attività che non sono surrogabili per fatti concludenti.
Le formalità imposte per la costituzione della società e per l’acquisto della qualità di socio sono richieste per ragioni di certezza del traffico giuridico e di tutela dei terzi. Tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, sono quelle che emergono dal sistema di pubblicità, con la conseguenza che l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi: le esigenze di tutela di questi ultimi assumono dunque prevalenza e rendono irrilevante la fase negoziale che ha dato luogo alla nascita del nuovo soggetto giuridico, che vive di vita propria, agisce e risponde dei propri atti in via autonoma, quale che sia stata la volontà dei soci sottostante alla formazione del contratto.
L’amministratore di fatto è un istituto concepito al fine di estendere il regime di responsabilità civile e penale previsto per gli illeciti gestori degli amministratori di diritto al soggetto che, pur senza rivestire formalmente tale qualità, si ingerisca con una certa stabilità e continuità nella gestione della società. L’amministratore di fatto non ha alcuna aspettativa giuridicamente tutelata alla conservazione della sua carica, in quanto è privo di una formale investitura proveniente dall’assemblea e, in assenza di tale adempimento, non è nemmeno logicamente configurabile una revoca ai sensi dell’art. 2383 c.c.
La mancanza di giusta causa di revoca dell’amministratore non integra un vizio della deliberazione
Ai sensi dell’art. 2383, co. 3 c.c., la giusta causa di revoca costituisce soltanto requisito che esclude il risarcimento del danno, che è invece dovuto laddove essa mancasse. La delibera di revoca integra di per sé il titolo del venir meno del rapporto gestorio, ben potendo qualificarsi in termini di recesso ex lege suscettibile di essere adottato dall’assemblea ad nutum. L’ordinamento, dunque, concede tutela in via prioritaria non solo all’affidamento che i soci ripongono nelle capacità, avvedutezza e diligenza professionale dell’amministratore, ma anche alla valutazione soggettiva che i soci stessi esprimono in ordine alla permanenza di quel patto. Il potere di revoca soggiace al limite dell’abuso, ma, trattandosi di diritto potestativo, la configurazione e la prova di questo rimangono indubbiamente problematiche e residuali. Si può dunque escludere che la mancanza di giusta causa della revoca, considerata dalla legge solo come elemento della fattispecie risarcitoria, integri un vizio della deliberazione, che invece rimane valida anche in assenza di giusta causa. L’individuazione e la quantificazione del danno derivante dalla revoca senza giusta causa della carica gestoria devono avvenire al più tardi nella prima memoria.
Di ulteriori e diversi danni rispetto a quelli consistenti nel lucro cessante da revoca priva di giusta causa – quali i pregiudizi ai diritti della persona (onore, reputazione, identità personale, ecc.), – l’amministratore deve offrire puntuale allegazione. Tale puntuale allegazione dovrebbe estrinsecarsi, da un lato, nella individuazione minimamente precisa del diritto leso – se da identificare nell’onore e reputazione come diritti della persona in quanto tale, o nella loro più stretta declinazione relativa alla sfera professionale o nel diverso diritto alla identità personale –, dall’altro, soprattutto, nella chiara e specifica allegazione delle dichiarazioni/deliberazioni o comportamenti di determinati rappresentanti delle società od organi che, connotati da colpa o dolo, sono risultati lesivi di quei diritti.
Sulla revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata
In difetto di specifiche disposizioni normative o statutarie di segno contrario, la disciplina dettata in materia dall’art. 2383 c.c. con riferimento alle s.p.a. – che consente la revoca c.d. ad nutum dell’amministratore, al quale spetta soltanto il diritto al risarcimento del danno nel caso di sua destituzione senza una giusta causa – è applicabile in via analogica, stante l’eadem ratio, anche agli amministratori di società a responsabilità limitata.
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale “species” a sé stante al “genus” del mandato, l’amministratore revocato “ante tempus” senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio posto dall’art. 1725, comma 1, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario.
E’ onere per la società di indicare già nella delibera, in modo specifico, i fatti ed i motivi integranti, a suo dire, la giusta causa di revoca. Deve, in generale, trattarsi di fatti integranti un grave inadempimento degli obblighi gestori o che, in ogni caso, hanno irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario tra società e suo amministratore. Sarà pure onere per la società di provare l’esistenza e l’incidenza/gravità dei fatti addebitati in delibera a fronte delle contestazioni svolte dall’amministratore che si reputi revocato senza giusta causa e che, per tale ragione, chiede il dovuto ristoro.
La giusta causa per la revoca dell’amministratore, prevista dall’art. 2383, terzo comma, c.c., può consistere non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall’incarico, ma anche in fatti che minino il “pactum ficuciae”, elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dell’amministratore, sempre che essi siano oggettivamente valutabili come capaci di mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato, e non costituiscano, invece, il mero inadempimento ad una inesistente soggezione dell’amministratore stesso alle direttive del socio di maggioranza.
Revoca dell’amministratore di s.r.l. nominato a tempo indeterminato e diritto all’indennizzo
Per le società a responsabilità limitata il legislatore non ha inteso imporre un termine di durata per la carica di amministratore, che quindi può essere nominato anche per un periodo superiore al triennio o a tempo indeterminato: rispetto all’atto di nomina degli amministratori l’art. 2475, co. 2 c.c. non prevede l’applicazione del secondo comma dell’art. 2383 c.c., in guisa da rendere palese la voluntas legis di potenziale indeterminatezza temporale del mandato di amministrazione per le s.r.l.
Dai rapporti contrattuali a tempo indeterminato le parti possono sciogliersi in vario modo, perché non può imporsi un vincolo perpetuo, tanto più nel contesto societario, tenuto conto del rapporto di fiducia che lega i componenti dell’organo gestorio alla società. L’affidamento dell’incarico di amministratore a tempo indefinito, dunque, non esautora il potere dell’assemblea, la quale ben può procedere a revocarlo, finanche in assenza di giusta causa e/o di preavviso, senza che, per ciò solo, la delibera di revoca possa considerarsi viziata.
La facoltà di revoca dell’assemblea dev’essere contemperata con la legittima aspettativa dell’amministratore di proseguire nell’incarico: al rapporto tra la società e l’amministratore nominato a tempo indeterminato trova applicazione l’art. 1725, co. 2 c.c., che attribuisce al soggetto revocato il diritto al risarcimento del danno se la revoca non è stata comunicata con congruo preavviso, salvo che ricorra una giusta causa.
La congruità del preavviso dev’essere valutata sulla base del tempo ragionevolmente necessario a consentire al revocato di trovare un incarico equivalente.
In ordine alla sussistenza della giusta causa di revoca – che è onere della società provare – assumono rilievo tutte le circostanze sopravvenute, che non si risolvano in un mero dissenso verso l’operato dell’amministratore ma siano idonee a influire negativamente sul rapporto fiduciario alla base della nomina, facendo venir meno l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e sulle capacità del soggetto revocato.
Le ragioni che integrano la giusta causa di revoca devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare, senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori.
La revoca in assenza di congruo preavviso e di giusta causa comporta l’obbligo per la società di corrispondere all’amministratore revocato l’indennità di mancato preavviso – quale conseguenza di un atto lecito dannoso – che dev’essere parametrata ai compensi che il soggetto revocato dall’incarico avrebbe percepito nel periodo di preavviso.
Insussistenza del diritto di recesso ad nutum del socio di una s.r.l. costituita a tempo determinato, pur lontano nel tempo
Il socio di s.r.l. ha diritto di recedere ad nutum solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo, in quanto deve essere valorizzato il dato testuale della disciplina del recesso ex art. 2473 c.c. e poiché prevale, sull’interesse del socio al disinvestimento, l’interesse della società a proseguire la gestione del progetto imprenditoriale e dei terzi alla stabilità dell’organizzazione e all’integrità della garanzia patrimoniale, offerta esclusivamente dal patrimonio sociale.
L’oggetto della delibera, coincidente con il contenuto concreto della manifestazione di volontà espressa dall’assemblea, è illecito o impossibile quando il contenuto risulti contrario a norme di legge poste a tutela di interessi trascendenti quelli del singolo socio, o la cui violazione determini una deviazione dallo scopo economico-pratico del contratto di società.
L’art. 2383, co. 3, c.c., dettato in tema di s.p.a. ma applicabile in via analogica anche alle s.r.l., prevede che gli amministratori siano sempre revocabili dall’assemblea, salvo diritto al risarcimento dei danni nel caso in cui la revoca dovesse avvenire in assenza di giusta causa. Di conseguenza, detta giusta causa non costituisce una condizione di validità e di efficacia della deliberata revoca, ma solo una causa di esclusione del risarcimento del danno sofferto dall’amministratore ingiustamente ed arbitrariamente revocato. Il danno risarcibile/indennizzabile viene generalmente parametrato, in via equitativa, all’emolumento che l’amministratore avrebbe conseguito dallo svolgimento della prestazione gestoria nell’arco di sei mesi, quale lasso di tempo ragionevolmente idoneo a consentire all’amministratore revocato di trovare nuovi incarichi o analoghe prestazioni e compensi.
Le ragioni che integrano la c.d. giusta causa devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie.
Diritto di intervento e di voto relativamente a quote di s.r.l. sequestrate
Con il sequestro delle quote il diritto di intervento e di voto in assemblea spetta al custode (artt. 2471 bis e 2352 c.c.); pertanto, il custode/amministratore delle quote totalitarie ha piena legittimazione non solo a convocare l’assemblea, ma anche a prendervi parte e ivi esprimere la volontà dell’assemblea in carica in luogo del socio.
La regola dell’incidenza della giusta causa di revoca solo sul piano risarcitorio e della correlata piena libertà dell’assemblea di revocare gli amministratori in ogni momento, prevista dall’art. 2383, co. 3, c.c. in tema di s.p.a., è applicabile in via analogica alla s.r.l.
Rinuncia al compenso dell’amministratore per causa esterna e revoca per giusta causa
Il carattere oneroso per la società della funzione di amministratore è stabilito dall’art. 2389 c.c., essendo tuttavia possibile la rinuncia, competendo alla assemblea la relativa deliberazione, con facoltà di liquidazione giudiziaria in difetto. La rinuncia stessa si presenta formalmente quale una remissione del debito (art. 1236 c.c.), ovvero come negozio unilaterale cui la legge, alla condizione della sussistenza effettiva del rapporto obbligatorio, della piena volontarietà della remissione e della inequivoca comunicazione, fa discendere l’estinzione dell’obbligazione rimessa a prescindere da una causa specifica, con ciò derogando, settorialmente, al principio di causalità, come possibile unicamente, in ambito patrimoniale, per i negozi unilaterali tipici (art 1987 c.c.). Il carattere astratto della rimessione non è tuttavia un carattere necessario, ma solo una potenzialità di legge e nulla esclude che, invece, la remissione sia dotata di causa esterna e che si configuri come momento attuativo di un diverso negozio, in primis di un contratto. In tal caso, l’effetto della remissione resta collegato al contesto negoziale in cui la stessa si colloca. In ogni caso, tra le condizioni di una valida remissione vi è anche la piena consapevolezza del quadro di fatto relativo ai rapporti tra le parti nel momento in cui la dichiarazione viene fatta. Inoltre, è espressamente ammessa la rinunzia condizionata al credito, essendo evidente che la causa esterna della rinuncia possa essere riguardata, quantomeno, come condizione implicita della stessa.
In materia di giusta causa di revoca ante tempus degli amministratori di società di capitali, stante la competenza dell’organo assembleare, è stato stabilito un principio di fissità della contestazione, ricavabile per via indiretta. I motivi di revoca sarebbero in teoria liberamente apprezzabili anche a posteriori e, in effetti, la contestazione non esige termini. Tuttavia, posto che il decisone è l’assemblea, i motivi rilevanti restano fissati in quelli che l’assemblea stessa ha effettivamente preso in considerazione. In generale, non è ammessa come giusta causa la mera modifica strutturale dell’organo per ragioni organizzativa. Il tutto evidentemente al fine di non consentire aggiramenti facilissimi di altri limiti, e comunque addossando all’azienda il rischio economico della revisione delle sue deliberazioni in ordine alla composizione del vertice. In ordine alle ragioni soggettive, è ammessa un’ampia libertà da parte della società nella valutazione degli elementi in grado di far cessare il rapporto fiduciario, essendo richiesta la sola condizione di un contenuto oggettivo minimo, il quale consenta una sia pur essenziale valutazione obiettiva di scorrettezza (una valutazione diversa, e anche minore, dell’inadempimento). Il tutto al fine di distinguere l’ipotesi da quella del nutum prevista solo da disposizioni speciali. Infine, la mera contrapposizione di interessi e la reciproca difesa di diritti non è mai considerata giusta causa di revoca, per l’ovvia necessità di non compromettere diritti ammettendo la possibilità di una reazione abnorme alla loro difesa.
La giusta causa di revoca dell’amministratore di s.p.a.
La giusta causa di revoca dalla carica di amministratore è integrata da circostanze sopravvenute, provocate o meno dall’amministratore, obiettivamente valutabili come idonee a minare la fiducia inizialmente riposta dalla società e dai soci sulle sue attitudini e capacità gestionali. La giusta causa si riferisce ad una categoria di circostanze più ampia dei fatti integranti l’inadempimento ai doveri della carica o le irregolarità di gestione, che si dilata a comprendere anche eventi sopravvenuti alla nomina, estranei alla sfera dell’amministratore ed avulsi dalla sua condotta, purché obiettivamente valutabili come idonei a mettere in dubbio la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore e, quindi, a minare l’originario rapporto fiduciario.
Le circostanze rilevanti ai fini della sussistenza della giusta causa sono solo quelle specificamente enunciate nella deliberazione di revoca dell’assemblea senza alcuna possibilità di integrazione nel corso del processo, ove dovranno anche essere provate dalla società nella loro effettiva esistenza, quali elementi costitutivi del suo diritto a recedere senza conseguenze risarcitorie o indennitarie.
La clausola statutaria di esclusione del diritto dell’amministratore al risarcimento del danno nell’ipotesi di revoca dalla carica senza giusta causa, previsto dall’art. 2383 co. 3, c.c., costituisce una sorta di regolamento preventivo e generale del rapporto contrattuale che sorge tra la società e l’amministratore al momento dell’accettazione della carica, valida ed efficace anche nei confronti del terzo designato, in quanto diretta ad incidere su un diritto disponibile a cui l’interessato può rinunciare attraverso l’accettazione dell’incarico, che necessariamente comporta l’adesione alla previsione statutaria che lo riguarda. Nulla vieta, tuttavia, alla società di adottare una regolamentazione diversa e specifica del rapporto in occasione della nomina di un determinato soggetto – riconoscendo all’amministratore, soggetto al potere della società di recidere il rapporto anche senza alcuna motivazione, il diritto a percepire un indennizzo predeterminato che funga, come una sorta di multa penitenziale, da corrispettivo per l’esercizio da parte della società della legittima facoltà di recesso senza limiti dal rapporto fiduciario –, attraverso la conclusione di accordo speciale che deroghi o modifichi la previsione statutaria generale.