Modello di amministrazione disgiuntiva di srl e convocazione dell’assemblea di bilancio
La censura circa l’estromissione del coamministratore dalla predisposizione del bilancio e l’illegittima convocazione dell’assemblea di s.r.l. devono essere vagliate tenendo conto dei principi che possono essere tratti dal sistema, per cui, da un lato, va evidenziato che con la riforma societaria vi è il generale principio per cui le delibere possono essere invalidate solo per difetti che incidono sostanzialmente ed effettivamente sugli interessi potenzialmente suscettibili di lesione, dall’altro lato si deve verificare il modello gestorio adottato dalla società e l’ambito specifico in cui il potere si esplica.
Abuso di maggioranza e invalidità della delibera di approvazione del bilancio
L’abuso di maggioranza integra una violazione della clausola generale di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale, che trova fondamento negli artt. 1175 e 1375 c.c., sull’assunto che le delibere assembleari costituiscano fondamentali momenti esecutivi del contratto di società. Tali norme impongono che i soci informino il proprio operato ai suddetti principi imponendo un impegno di cooperazione in base al quale ciascun socio deve tenere condotte idonee a soddisfare le legittime aspettative degli altri membri della compagine societaria.
Tale fattispecie rappresenta l’unica ipotesi in cui il giudice esercita non un controllo di mera legittimità, ma un vero e proprio sindacato nel merito della delibera societaria: infatti, non si configura formalmente una violazione di legge, ma una strumentalizzazione del principio di maggioranza a danno degli interessi della minoranza.
L’abuso di maggioranza è idoneo a determinare l’invalidità della delibera assembleare laddove quest’ultima non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società, perché tesa al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico a quello sociale oppure perché espressione di un’attività fraudolenta dei soci di maggioranza, preordinata a ledere i diritti di partecipazione e i diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.
Il discrimen tra la legittima soggezione della minoranza al principio maggioritario e l’abuso di detto principio, tale da rendere arbitrario e ingiustificato il voto apparentemente vincolante, è la ricorrenza di un superiore interesse sociale, che rende giustificato il pregiudizio sopportato dalla minoranza.
Grava sul socio impugnante l’onere di provare che alla base della decisione della maggioranza non vi fosse alcun interesse sociale e che alcun vantaggio per la società potesse derivarne.
Il socio ha diritto ad agire per l’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio solo quando egli possa essere in concreto indotto in errore dall’inesatta informazione fornita sulla consistenza patrimoniale e sull’efficienza economica della società, ovvero quando per l’alterazione o incompletezza dell’esposizione dei dati derivi o possa derivare un pregiudizio di ordine patrimoniale. La delibera di approvazione del bilancio è nulla allorché le violazioni civilistiche commesse comportino una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche ogni qual volta dal bilancio e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni previste dalla legge per ciascuna delle singole poste iscritte.
Nell’impugnazione di una delibera di approvazione del bilancio, il socio deve assumere di aver subito un pregiudizio a causa del difetto di chiarezza, veridicità e correttezza di una o più poste contabili ed è onerato della indicazione di quali siano esattamente le poste iscritte in violazione dei principi legali vigenti, spettando poi al giudice, nel giudizio sulla fondatezza della domanda, logicamente successivo al vaglio del preliminare interesse della parte all’impugnazione, esaminare le singole poste e verificarne la conformità ai precetti legali.
L’azione sociale mira a far valere la responsabilità degli amministratori per le violazioni dei loro doveri, che abbiano cagionato un pregiudizio patrimoniale alla società. Essa ha natura contrattuale, originando dall’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo ovvero dall’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza e di intervento preventivo e successivo; obblighi tutti che vengono a gravare sugli amministratori in forza del mandato loro conferito e del rapporto che, per effetto della preposizione gestoria e del susseguente inserimento nell’organizzazione sociale, si instaura con la società.
Di conseguenza, in termini di riparto dell’onere della prova, grava sulla parte che agisce l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (che costituiscono obbligazioni di mezzi e non di risultato), i pregiudizi concretamente sofferti dalla società e il nesso eziologico tra l’inadempimento e il danno prospettato. Per converso, incombe sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso ovvero di fornire la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi posti a suo carico.
Sui singoli soci che si assumono direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori incombe l’onere di provare la condotta illecita, anche sotto il profilo della colpevolezza, il danno e il nesso causale.
Compromettibilità dell’impugnazione delle delibera di approvazione del bilancio e criteri di valutazione delle partecipazioni
È opinione consolidata in giurisprudenza, a dispetto della dottrina, quella per cui le impugnative di bilancio non siano suscettibili di essere ricomprese tra le controversie compromettibili in arbitrato, così come ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità per cui “le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita e, quindi, nulla, la delibera di approvazione. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci ad essere informati dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente. Ne consegue che, non essendo venuta meno l’indisponibilità dei diritti protetti dalle suddette disposizioni a seguito della riforma di cui al D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – che agli artt. 2434-bis e 2379 c.c. ha previsto termini di decadenza per l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio e, in via generale, per l’impugnazione delle delibere nulle – non è compromettibile in arbitri la controversia relativa alla validità della delibera di impugnazione del bilancio” (così Cass. 12583/2018).
Nel rispetto dei principi contabili, in tema di valutazione di partecipazioni, il metodo del costo storico deve essere preferito qualora la partecipata venga considerata una società con la quale non esiste altro legame se non quello di possedere un titolo per ottenere una remunerazione periodica, mentre quello del patrimonio netto dovrà essere scelto qualora la partecipazione permetta all’investitore di influire sul processo decisionale e quindi sulla politica di gestione della partecipata. In ogni caso, qualunque sia il criterio prescelto, nel rispetto dei principi di prudenza e chiarezza, è obbligatorio procedere alla svalutazione della partecipazione in caso di perdite durevoli di valore, con la differenza che, adottando il criterio del patrimonio netto, è consentito valutare le partecipazioni detenute, se l’andamento aziendale delle partecipate lo consente.
Deve escludersi che dall’invalidità della delibera di approvazione del bilancio ne discenda anche l’invalidità derivata delle delibere di nomina del Consiglio di Amministrazione e di nomina del revisore legale dei conti perché non vi è alcun collegamento diretto tra la prima delibera e queste due successive che mantengono quindi la loro validità ed efficacia.
La competenza del tribunale prevale su quella arbitrale anche se l’impugnazione ha ad oggetto solo vizi formali
In caso di impugnazione di una delibera assembleare avente ad oggetto l’approvazione del bilancio di esercizio, quandanche introdotta per vizi procedurali, la clausola compromissoria presente nello statuto sociale non può trovare applicazione là dove unitamente agli stessi vizi formali vengano introdotti altri motivi di impugnazione, di natura sostanziale, aventi ad oggetto diritti indisponibili, tali da provocare la necessità di una trattazione congiunta ex art 2378 c.c, sul tenore della giurisprudenza di legittimità per la quale “Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili” (Cass. 20674/2016 e Cass 14465/2019).
La competenza del Tribunale prevale in ogni caso su quella arbitrale quandanche l’impugnazione si fondi solo su vizi formali e prescinda dal merito del documento contabile e del rispetto dei principi di cui all’art 2423 e segg c.c., dal momento che l’art 2378 comma 5 c.c., norma speciale anche rispetto all’art 819 ter c.p.c., stabilisce che tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza.
Nel caso in cui una o più parti abbiano impugnato una delibera di approvazione del bilancio, a cui hanno fatto precedere altre impugnazioni relative agli anni precedenti, l’interesse ad agire degli impugnanti non ne risulta caducato, perdurando l’interesse dei soci ad impugnare, per i medesimi vizi, tutte le delibere di approvazione dei bilanci successive a quella per prima impugnata, e ciò pur considerando l’esistenza nel sistema dell’obbligo degli amministratori ex artt. 2434 bis co 3 c.c. e 2377 co 7 c.c. di rivedere, in conformità al decisum definitivo sull’impugnazione del primo bilancio, non solo il bilancio dell’esercizio in corso, ma anche i bilanci intermedi. Infatti, il socio legittimato ad impugnare il bilancio è portatore di un diritto verso la società a ricevere con il documento contabile informazioni veritiere e corrette e questo diritto è tutelato con la facoltà del socio, attribuita a determinate condizioni, di insorgere contro le delibere che ritiene illegittime; si tratta di una tutela endosocietaria reale affatto diversa da quella che il socio stesso può indirettamente conseguire in forza dell’intervento dell’organo amministrativo tenuto ad adeguarsi all’esito della prima impugnazione. Peraltro, va considerato che il giudizio di impugnazione, se si conclude in senso positivo per il socio impugnante, comporta la caducazione endosocietaria della delibera invalida con efficacia verso tutti i soci ex art 2377 co 7 c.c. e la certezza di questo risultato non è offerta al socio dall’obbligazione dell’amministratore di rettificare i bilanci successivi a quello approvato con la delibera annullata.
L’art. 2429, comma 3, applicabile alle S.r.l. in forza del rinvio dell’art. 2478 bis c.c., stabilisce che “il bilancio, con le copie integrali dell’ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio delle società collegate, deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, durante i quindici giorni che precedono l’assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione”. In proposito, costituisce giurisprudenza consolidata quella per cui “l’obbligo di deposito del fascicolo di bilancio presso la sede sociale, nei quindici giorni precedenti l’assemblea per la sua approvazione ai sensi dell’art. 2429 co. 3 c.c., è un obbligo – distinto da quello di convocazione dell’assemblea – previsto a pena di annullabilità della delibera assembleare di approvazione del bilancio, a prescindere dalla sua riproduzione nello statuto. La società – nei limiti del proprio apprezzabile ‘sacrificio organizzativo’- deve adempiervi mettendo i soci in condizione di esercitare effettivamente e senza pregiudizio il proprio diritto alla informativa bilancistica preassembleare. Tale diritto può essere compresso soltanto ove tutti i soci espressamente vi acconsentano con l’approvazione di una specifica norma statutaria” (così Tribunale di Milano, sentenza 31 marzo 2021). Ne consegue che quello in commento sia evidentemente un adempimento necessario affinché i soci possano assumere una decisione consapevole in sede di assemblea sul progetto di bilancio predisposto dagli amministratori, la cui prova di aver adempiuto a tale prescrizione, nel giudizio di impugnazione, grava sulla società; in mancanza del rispetto della disposizione normativa ovvero in assenza dell’assolvimento del relativo onere della prova, non può che conseguire l’annullamento della delibera eventualmente impugnata.
Sostituzione della delibera assembleare impugnata: profili processuali
La produzione in giudizio della delibera assembleare sostitutiva della delibera impugnata è ammissibile ancorché tale circostanza sia stata dedotta, da parte della società convenuta, nella fase decisoria (nella specie, in comparsa conclusione), trattandosi di un’evenienza espressamente prevista dall’art. 2377, co. 8 c.c., di cui il Tribunale deve prendere atto quale evento ostativo ad una pronuncia di annullamento.
Nel giudizio di invalidità della prima delibera non può trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni sollevate dall’attore in relazione all’invalidità della delibera sostitutiva, posto che l’invalidità delle delibere assembleari può essere fatta valere solo in via di azione, dovendo pertanto il giudice limitarsi a verificare l’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera.
La sostituzione della delibera comporta la chiusura del giudizio con una pronuncia non già di cessazione della materia del contendere, bensì di sopravvenuta carenza di interesse ad agire dell’attore: la sostituzione, infatti, determina il venir meno dell’utilità dell’impugnazione, dal momento che la delibera impugnata è già stata privata di effetti dalla sua sostituzione endo-societaria, così che all’accoglimento della domanda non conseguirebbe alcun effetto utile per l’attore.
Nel giudizio di impugnazione di una delibera di approvazione del bilancio per violazione degli obblighi di cui all’art. 2429 c.c., il rifiuto opposto dal socio di ricevere via e-mail la documentazione che avrebbe dovuto essere depositata presso la sede sociale costituisce condotta contraria all’obbligo di buona fede oggettiva ex art. 1375 c.c.: in caso di sostituzione della delibera impugnata, tale condotta consente di superare la presunzione di fondatezza dell’impugnazione, che sta alla base della previsione dell’art. 2377, co. 8 c.c. sulla ripartizione delle spese di lite e ne giustifica l’integrale compensazione.
Inesistenza della qualità di socio e mancanza di interesse ad agire nell’impugnazione delle delibere assembleari
L’accertamento dell’inesistenza della qualità di socio in capo ad un soggetto, per effetto dell’intervenuta declaratoria di nullità del titolo di acquisto delle sue partecipazioni sociali, determina la mancanza di suo interesse ad agire nell’impugnazione delle delibere assembleari, qualora non vi sia altro interesse se non quello derivante dall’appartenenza alla compagine sociale, di cui è parte terza. [ LEGGI TUTTO ]
Impugnazione della delibera assembleare di approvazione del bilancio: imposte anticipate e operazioni con parti correlate
Violazione degli obblighi informativi ex art. 2476, comma 2, cod. civ., e delibera di approvazione del bilancio di esercizio
L’inadempimento da parte di una società a responsabilità limitata dell’obbligo di consentire ai soci che non partecipano all’amministrazione di avere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali o i documenti relativi all’amministrazione non costituisce di per sé una causa di invalidità della delibera di approvazione del bilancio di esercizio.
Il diritto di informativa ex art. 2476, comma 2, cod. civ., e il diritto di ispezione contabile sono tra loro connessi e complementari. Invero, le informazioni ottenute dal socio possono rivelarsi funzionali a individuare vizi di legittimità del bilancio da far valere nell’ambito di una eventuale impugnativa. Tuttavia, il presupposto logico per il confronto tra le informazioni rappresentate dalla società nel bilancio di esercizio e le informazioni ottenute dal socio è, per l’appunto, il possesso da parte di quest’ultimo delle informazioni richieste ex art. 2476, comma 2, cod. civ. Pertanto, in assenza di tali informazioni – anche in ragione dell’illegittimo ostacolo da parte degli amministratori – nulla è possibile affermare in ordine a ipotetici vizi del bilancio della società.
Carenze informative nella nota integrativa e invalidità del bilancio
Ai sensi dell’art. 2427, n. 22-bis, c.c., l’informativa concernente le operazioni con parti correlate è dovuta nella nota integrativa del bilancio solo se tali operazioni siano “rilevanti” e “non concluse a condizioni di mercato”. In caso di impugnativa del bilancio per mancata indicazione nella nota integrativa di tali operazioni, spetta al socio impugnante fornire concreti elementi dai quali possa desumersi la ricorrenza delle condizioni richieste dalla legge.
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Impugnazione del bilancio finale di liquidazione
Il reclamo ex art. 2492 c.c. attribuisce al singolo socio la facoltà di censurare il bilancio finale di liquidazione sia sotto il profilo formale, sia sotto il profilo sostanziale. Tuttavia, sebbene la giurisprudenza di legittimità ritenga illecito il bilancio di una società che violi i precetti di chiarezza e precisione di cui all’art. 2423, comma 2, c.c. non soltanto quando la violazione determini la divaricazione tra il risultato effettivo di esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste scritte, la contestazione al bilancio deve essere specifica ed avere ad oggetto le singole poste che si assumono viziate, non potendo risolversi in una generica impugnazione.