Principi sostanziali e processuali in materia di responsabilità di amministratori e sindaci
Il potere-dovere di controllo dei sindaci non è limitato alla sola verifica del rispetto della legge e dello statuto, ma si estende alla valutazione dei principi di corretta amministrazione, compresa la verifica che il procedimento decisionale che ha determinato l’organo amministrativo nella scelta di gestione sia completo e corredato di tutte le informazioni del caso concernenti i potenziali rischi nel contesto della situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società. Inoltre, il dovere di vigilanza e controllo dei sindaci, pur non potendo travalicare sulla opportunità e la convenienza delle scelte gestionali, il cui apprezzamento è riservato agli amministratori, si estende alla legittimità sostanziale dell’attività sociale.
I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 ss. c.c. sono configurati con particolare ampiezza, estendendosi a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali; né riguardano solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo loro conferito il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni, quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Compito essenziale è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c.: dovere del collegio sindacale è di controllare in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto.
Affinché si configuri la violazione del dovere di vigilanza da parte dell’organo di controllo, non è necessaria l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, eventualmente anche mediante la denuncia al tribunale di cui all’art. 2409 c.c.
Il vincolo solidale ex art. 2055 c.c. tra sindaci e amministratori trova il proprio presupposto nell’unicità dell’evento dannoso, ancorché determinato dall’azione/omissione di più soggetti e indipendentemente dalla colpa (intesa come apporto causale) di ciascun partecipe, la quale rileva unicamente nei rapporti interni per l’eventuale regresso. Infatti, il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di regresso) e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell’illecito al danneggiato.
Per dimostrare l’esistenza di una supersocietà di fatto che abbia eterodiretto altre società, abusando del proprio potere direzionale e di controllo, non è sufficiente la prova della sussistenza di un operare concertato e finalizzato, né della circostanza che i componenti di una stessa famiglia si siano alternati nei ruoli gestori in più società, connotazioni di per sé non anomale in un contesto di gruppo societario di fatto.
È improduttiva di effetti giuridici, perché tardiva, la costituzione in giudizio del convenuto che, a seguito di interruzione del processo e successiva riassunzione, si sia costituito con il deposito della comparsa conclusionale: con la rimessione della causa al collegio ex art. 190 c.p.c. solo le parti già ritualmente costituite possono interloquire con gli scritti conclusivi e non sono ammissibili ulteriori attività processuali; ne consegue che, espletate le attività ex art. 190 c.p.c., la parte contumace non può più costituirsi in giudizio e l’eventuale costituzione nei termini assegnati per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche va dichiarata inammissibile, con conseguente preclusione dell’esame dell’atto eventualmente depositato.
L’inerzia degli organi sociali non impedisce il recesso del socio di società cooperativa
In tema di società cooperative, il recesso convenzionale, contemplato dagli artt. 2518 e 2526 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 8 del D.L.vo 17 gennaio 2006, n. 6), in quanto previsto dall’atto costitutivo, costituisce manifestazione della volontà negoziale, la quale può legittimamente disciplinarlo attraverso clausole che ne determinino il contenuto, ammettendo l’esercizio di tale facoltà in situazioni specifiche, ovvero limitandolo o subordinandolo alla sussistenza di determinati presupposti o condizioni, in particolare all’autorizzazione o all’approvazione del consiglio d’amministrazione o dell’assemblea dei soci. La necessità dell’autorizzazione non comporta la trasformazione della fattispecie in un accordo, nell’ambito del quale la determinazione della società venga ad assumere la funzione di accettazione della proposta del socio, configurandosi pur sempre il recesso come un negozio unilaterale, corrispondente al diritto potestativo di uscire dalla società o di rinunciare a conservare lo stato derivante dal rapporto giuridico nel quale il socio è inserito, e rispetto alla deliberazione del consiglio di amministrazione o dell’assemblea opera come condizione di efficacia. Per tali principi e tenuto conto della natura recettizia del recesso, l’inerzia della cooperativa circa l’adozione di alcuno dei provvedimenti previsti dalla norma sopra richiamata non è ostativa all’intervenuta risoluzione del rapporto associativo.