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15 Aprile 2024

Il divieto di assistenza finanziaria e l’applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle cooperative

L’art. 2358 c.c. sancisce il divieto, per la società per azioni, direttamente o indirettamente, di accordare prestiti o di prestare garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni: si tratta di un divieto di carattere generale, che può essere derogato solo rispettando le condizioni dettate dalla medesima norma. La violazione di tale obbligo è sanzionata dalla nullità. La ratio della norma è quella di vietare la c.d. assistenza finanziaria, sia nella forma del prestito che in quella della prestazione di garanzie, a favore di chiunque voglia acquistare o sottoscrivere le azioni della società medesima, nella volontà di vietare operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società, a tutela dell’interesse dei soci contro rimborsi preferenziali di conferimenti ad alcuni di essi, e dell’interesse della società a contrastare l’uso da parte degli amministratori delle quote comprate, anche e soprattutto in sede assembleare.

L’importanza degli interessi tutelati, alla cui protezione la norma sul divieto di assistenza finanziaria è strumentale, porta a concludere che l’art. 2358 c.c. sia una norma di carattere imperativo. Invero, l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1, c.c., è più amia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto. Da ciò consegue che l’art. 2358 cc, nella misura in cui vieta la stipulazione di determinate operazioni di assistenza finanziaria a tutela del preminente interesse alla tutela dell’integrità ed effettività del patrimonio netto nonché di quello dei creditori, può considerarsi come norma imperativa, e che tale carattere sia rimasto anche dopo le modifiche che, nel 2008, hanno introdotto alcune deroghe al divieto, dovendo ritenersi che, quando il collocamento di azioni avvenga, contro il divieto, nel mancato rispetto delle modalità e limiti previsti dalla legge, la sanzione sia quella della nullità, in quanto solo il rispetto di tali requisiti e limiti permette di superare il divieto.

L’art. 2358 c.c. è applicabile anche alle società cooperative, poiché gli interessi tutelati dalla disposizione risultano pregnanti anche nella disciplina delle società cooperative; segnatamente, lo scopo mutualistico non esclude che possano ritenersi vietate operazioni tali da mettere a rischio l’equilibrio del capitale sociale, la cui tutela è peraltro salvaguardata da norme specifiche, in materia di cooperative, che impongono la formazione di riserve, quali l’artt. 2454 quater e l’art. 32, co. 1, TUB per le banche popolari.

Affinché ricorra il collegamento negoziale, sono necessari sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti, pur manifestato in forma non espressa, di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli atti in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale.

Analogamente all’art. 83 TUB, anche l’art. 51 l.fall. richiamato in materia di liquidazione coatta amministrativa dall’art. 201 della medesima legge, sancisce il divieto di iniziare o proseguire, sui beni compresi nel fallimento, alcuna azione esecutiva o cautelare, laddove invece il disposto dell’art. 52 l.fall. disciplina il peculiare procedimento di accertamento di diritti patrimoniali nei confronti della massa, e stabilisce che ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V,  ovvero le norme che disciplinano l’accertamento del passivo. La ratio di tali norme è quella di devolvere al giudice della procedura l’accertamento delle poste di credito vantate nei confronti della procedura, nel rispetto della par condicio creditorum. Conseguentemente, tutte le domande che contengono una pretesa contro la massa, suscettibile quindi di tradursi in una diminuzione dell’attivo, mediante condanna della procedura al versamento di una somma di denaro o alla restituzione di beni, non possono essere proposte avanti al giudice ordinario e devono essere dichiarate improcedibili, anche qualora esse siano finalizzate ad ottenere l’accertamento di un diritto al fine di far valere il titolo, successivamente, in sede fallimentare, ovvero nell’ambito della procedura coatta.

Sulla base dell’art. 83 TUB, in deroga all’art. 56 l.fall., si ammette la compensazione solo nel caso in cui una delle parti abbia fatto valere i propri effetti prima dell’aperura della liquidazione coatta amministrativa. La ratio delle summenzionate norme è quella di consentire al creditore di vedere estinta la relativa obbligazione invocando un controcredito nei confronti della procedura, così da evitare di essere condannato a pagare interamente un debito per poi vedere la riscossione del controcredito sottoposta alle regole della falicidia fallimentare. Tuttavia, trattandosi di norme che derogano in maniera significativa alle norme generali, la disciplina della compensazione deve reputarsi del tutto eccezionale e di stretta interpretazione ed applicazione. Pertanto, la deroga alla disciplina generale è giustificata solo e nella misura in cui il debitore in bonis sia attinto dalla domanda di condanna della procedura, al fine di evitare di essere costretto a pagare integralmente un proprio debito nei confronti del fallimento, rischiando invece di trovare soddisfazione del proprio controcredito in moneta fallimentare. Ad ogni modo, la compensazione non può essere utilizzata come rimedio preventivo, che non sia diretto a paralizzare la pretesa di pagamento del soggetto fallito o in stato di liquidazione coatta, poiché ammettere tale soluzione significherebbe consentire al creditore del fallimento di eludere la disciplina generale della par condicio creditorum.

Il perimetro della cessione d’azienda del d.l. 99/2017 per la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a.

In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con i d.lgs. nn. 180 e 81 del 2015, le conseguenze delle crisi bancarie vanno sopportate in primis da azionisti e obbligazionisti e non possono essere fatte gravare su terzi, tra i quali è ricompreso il cessionario, e ogni eventuale credito nascente dalla vendita delle azioni deve essere trattato all’interno della procedura concorsuale.

La disciplina del d.l. 99 del 2017 è incompatibile con l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. nella parte in cui delimita l’esatto perimetro dell’insieme aggregato di beni, diritti, rapporti giuridici, attività, passività oggetto di cessione, dal quale risultano esclusi i crediti deteriorati, il contenzioso azionario e il contenzioso successivo per fatti pregressi. L’art. 2560 c.c. è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, mentre nell’ambito delle procedure concorsuali vale la regola opposta. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.

La disciplina speciale di cui all’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, include tra i fatti o atti anche la nullità del contratto di finanziamento antecedente alla cessione. Rientra nell’alveo dell’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017 anche l’ulteriore causa di nullità del mutuo per asserita indeterminatezza del tasso di interesse applicato, dovuta all’adozione di un piano di ammortamento alla francese a rate costanti.

Il perimetro della cessione d’azienda del d.l. 99/2017 per la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e di Veneto Banca s.p.a.

In forza del principio del burden sharing, contemplato dalla Direttiva 2014/59/UE, c.d. BRRD (Bank Resolution and Recovery Directive), attuata con i d.lgs. nn. 180 e 81 del 2015, le conseguenze delle crisi bancarie vanno sopportate in primis da azionisti e obbligazionisti e non possono essere fatte gravare su terzi, tra i quali è ricompreso il cessionario, e ogni eventuale credito nascente dalla vendita delle azioni deve essere trattato all’interno della procedura concorsuale.

La disciplina del d.l. 99 del 2017 è incompatibile con l’applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. nella parte in cui delimita l’esatto perimetro dell’insieme aggregato di beni, diritti, rapporti giuridici, attività, passività oggetto di cessione, dal quale risultano esclusi i crediti deteriorati, il contenzioso azionario e il contenzioso successivo per fatti pregressi. L’art. 2560 c.c. è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, mentre nell’ambito delle procedure concorsuali vale la regola opposta. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.

La disciplina speciale di cui all’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, include tra i fatti o atti anche la nullità del contratto di finanziamento antecedente alla cessione. Rientra nell’alveo dell’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017 anche l’ulteriore causa di nullità delle clausole del mutuo di pattuizione degli interessi per usurarietà.

Allorché si prospetti un credito nei confronti della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. o della Veneto Banca s.p.a. discendente dall’esecuzione di un contratto nullo e, dunque, non da un’attività giuridica bensì da un’attività materiale, consistente in una attribuzione patrimoniale priva di alcun titolo, lo stesso risulta essere escluso dalla cessione disciplinata dall’art. 3, co. 1, lett. c), d.l. 99/2017, in quanto tra origine da un fatto occorso prima della cessione, da cui è scaturita una controversia in epoca successiva a tale cessione.

21 Settembre 2023

Improcedibilità ex art. 83 TUB e ambito applicativo dell’art. 2358 c.c.

L’improcedibilità ex art 83 TUB delle domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria riguarda tutte le domande che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione, che incidono sull’accertamento del passivo, anche qualora dette domande siano costitutive o di accertamento, ma vengano invocate quali presupposto del credito risarcitorio o restitutorio da far valere verso la procedura, non potendosi in tali casi derogare all’accertamento del credito e dei suoi presupposti secondo le regole del concorso. Al contrario, nonostante il riferimento all’improcedibilità di “alcuna azione” di cui al medesimo art. 83 TUB, rimangono escluse dalle regole dell’accertamento concorsuale e della formazione dello stato passivo quelle domande che sono volte a conseguire un quid ulteriore e diverso, che non è nei poteri e nella competenza della procedura fallimentare o dell’impresa in liquidazione coatta amministrativa di riconoscere alla parte, quali le domande finalizzate a provocare la liberazione della parte dagli obblighi contrattuali (non ancora adempiuti) verso l’impresa in Lca, posto che la relativa declaratoria non può certo essere ottenuta nell’ambito della procedura e non è prodromica a richieste restitutorie. Invero, l’ampia formulazione dell’art. 83 TUB nel riferirsi all’improcedibilità di “alcuna azione” nei confronti dell’istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa non può essere interpretata in modo da escludere qualsivoglia tutela giurisdizionale in relazione a dette controversie che non possono essere trattate nel procedimento di accertamento dello stato passivo.

La disciplina di cui all’art. 2358 c.c. si applica anche alle società cooperative per azioni e alla fattispecie delle obbligazioni convertibili. Affinché la violazione di detta norma produca una nullità negoziale del rapporto tra banca e cliente tale da investire anche il contratto di finanziamento non basta che vi sia stato un utilizzo da parte del cliente di un finanziamento per l’acquisto azionario, o che il cliente operi con conto affidato, ma necessita che vi sia un collegamento tra negozi tale da realizzare, attraverso uno specifico collegamento tra erogazione di specifica finanza e l’acquisto, il perseguimento di uno specifico comune interesse, ovvero quello di acquisto finanziato dalla banca delle azioni proprie, con ciò integrandosi il negozio in violazione della norma imperativa.

L.c.a. di società cooperativa e opposizione a decreto ingiuntivo

Nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento (o liquidazione coatta amministrativa) intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito o posto in liquidazione coatta amministrativa, il creditore opposto deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo, attesa la inopponibilità, al fallimento, di un decreto non ancora definitivo e, pertanto, privo della indispensabile natura di “sentenza impugnabile”, esplicitamente richiesta dall’art. 95, comma terzo, legge fallimentare, norma di carattere eccezionale, insuscettibile di qualsivoglia applicazione analogica. Ne discende in tal caso che, essendo il decreto ingiuntivo inefficace e inopponibile alla massa, la domanda deve essere riproposta al giudice fallimentare, la cui competenza inderogabile prevale sul criterio della competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione. Conseguentemente, la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della procedura concorsuale, diventa improcedibile e tale improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, derivando da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della par condicio creditorum.

In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, con domanda riconvenzionale, proposta da un soggetto successivamente fallito nel corso del giudizio, il quale sia stato dichiarato interrotto per poi essere riassunto dal fallimento, deve essere dichiarata improcedibile l’opposizione mentre il giudice adito rimane competente a conoscere della domanda riconvenzionale proposta dal fallito e riassunta dal fallimento.

Fallimento del debitore opponente nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

Nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento o liquidazione coatta amministrativa intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito o posto in liquidazione coatta amministrativa, il creditore opposto deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo, attesa la inopponibilità al fallimento di un decreto non ancora definitivo e, pertanto, privo della indispensabile natura di sentenza impugnabile, esplicitamente richiesta dall’art. 95, co. 3, l.fall., norma di carattere eccezionale, insuscettibile di qualsivoglia applicazione analogica.

In tal caso, la domanda deve essere riproposta al giudice fallimentare, la cui competenza inderogabile prevale sul criterio della competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione e la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della procedura concorsuale, diventa improcedibile e tale improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, derivando da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della par condicio creditorum.

Nel caso di domanda riconvenzionale proposta in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da un soggetto successivamente fallito nel corso del giudizio (interrotto e successivamente riassunto dal fallimento), deve essere dichiarata improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo, mentre il giudice adito rimane competente a conoscere della domanda riconvenzionale proposta dal fallito e riassunta dal fallimento.

10 Febbraio 2023

Applicazione del termine di prescrizione penale ex art. 2947, co. 3, c.c.

L’applicazione del termine di prescrizione penale di cui all’articolo 2947, co. 3, c.c. deriva dall’espressa attribuzione ai convenuti di fatti integranti illeciti penali. Con riferimento alla prescrizione dell’azione ex articolo 206 l.f. nei confronti di sindaci e amministratori di società cooperativa posta in l.c.a., il termine di prescrizione penale è applicabile nella misura in cui si riesca ad imputare agli amministratori l’attribuzione di fatti integranti illecito penale. Se il fatto è considerato dalla legge come reato ed è stabilita un termine prescrizionale più lungo, questo si applica anche all’azione civile.

26 Gennaio 2023

Domanda proposta nei confronti dell’impresa sottoposta a l.c.a.

Nelle procedure concorsuali opera il principio secondo il quale tutti i crediti vantati nei confronti dell’imprenditore insolvente devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso, sicché la domanda formulata da chi si afferma creditore in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della liquidazione coatta amministrativa, diviene improcedibile e tale improcedibilità sussiste anche se la procedura concorsuale sia stata aperta, dopo una pronuncia di condanna nei confronti dell’impresa insolvente, nel corso del giudizio in Cassazione.

30 Novembre 2022

Divieto di assistenza finanziaria e applicabilità alle banche popolari

L’improponibilità delle domande verso la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa bancaria riguarda tutte le domande che sono funzionali all’accertamento di un credito verso l’impresa in liquidazione, anche ove dette domande siano di mero accertamento di detto credito e non di condanna, ovvero anche ove dette domande siano costitutive o di accertamento e vengano invocate quali presupposto dell’insorgenza di un credito risarcitorio o restitutorio da far valere verso la procedura, non potendosi derogare all’accertamento del credito e dei suoi presupposti secondo le regole del concorso. Tra le domande non funzionali all’accertamento dei crediti rientrano quelle volte ad accertare l’insussistenza di crediti vantati dall’impresa in bonis e proprie della procedura ove sarà ben possibile agire secondo le regole ordinarie, anche ove l’insussistenza del credito dipenda dalla nullità o inefficacia del contratto, sempre che dette pretese siano funzionali all’accertamento negativo del credito vantato dalla procedura medesima.

Sussiste collegamento negoziale tra la concessione di affidamenti e un programma negoziale di acquisti di azioni e obbligazioni emesse dalla banca quando vi è contiguità temporale e corrispondenza degli importi affidati per elasticità di cassa progressivamente estesi e dei corrispondenti acquisti azionari ed obbligazionari, in virtù dei finanziamenti concessi dalla stessa finanziante, tenuto conto che il saldo del conto corrente affidato, al momento degli addebiti non permetteva all’attrice, se non adeguatamente finanziata, di eseguire gli acquisiti in questione. Il risultato perseguito nel caso di acquisto di obbligazioni convertibili finanziato della banca medesima non è tanto quello formale di ottenere un aumento di capitale mediante la conversione delle obbligazioni, ma quello concreto di predisporre uno strumento (emissione di obbligazioni convertibili in azioni proprie) che è idoneo ad eludere la disciplina cogente dettata per assicurare l’effettività degli aumenti di capitale ed i limiti previsti in detta disciplina per preservare detta effettività. Consegue che la sottoscrizione da parte degli attori di obbligazioni convertibili in azioni mediante assistenza finanziaria, deve reputarsi negozio in frode alla legge con conseguente nullità dei negozi collegati. Consegue che i contratti collegati nell’operazione vietata, debbono considerarsi nulli per violazione della norma imperativa di cui all’articolo 2358 del codice civile.

Ove il collocamento di azioni avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 cc e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile sarà quella della nullità anche se posta in essere da una banca popolare in quanto con l’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, giusta art. 161, è stato abrogato il D.Lgs. n. 105/1948 che, al suo art. 9, prevedeva la possibilità per la società di accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per legge era demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potevano in ogni caso eccedere il 40 % delle riserve legali. Inoltre, il nuovo testo unico bancario, introdotto con il D.Lgs. n. 310/2004, al proprio art. 150 bis, indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari e tra queste non è inclusa la norma di cui all’art. 2358 del codice civile.

 

30 Novembre 2022

Prova della violazione del divieto di assistenza finanziaria, superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b.

In tema di mutuo fondiario, il superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b. non costituisce motivo di nullità dell’intero contratto, bensì determina l’inapplicabilità della disciplina speciale di carattere sostanziale e processuale ivi stabilita. Ne consegue che la violazione di tale limite non inficia l’assetto negoziale complessivo, il quale viene preservato con la sola disattivazione dei privilegi che il puntuale rispetto di quel limite, funzionale ad un corretto ed equilibrato funzionamento del mercato del credito, avrebbe potuto comportare in favore del finanziatore

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.

Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa dev’essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice può conoscerne in sede ordinaria solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità, o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito, sicché la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria diventa improcedibile in virtù di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum.