Inapplicabilità degli artt. 2558 c.c. e 58 t.u.b. alla Veneto Banca s.p.a. in l.c.a.
Con riferimento alla liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca s.p.a., l’applicabilità degli artt. 2558 c.c. e 58 t.u.b. è esclusa dalla disciplina contenuta nel d.l. n. 99 del 2017, che si pone in chiaro rapporto di specialità rispetto alle norme sulle liquidazioni coatte amministrative degli istituti di credito ed a quelle sulla cessione di aziende bancarie contenute nel d. lgs. n. 385 del 1993.
Sul divieto di promuovere azioni nei confronti delle banche in l.c.a. ex art. 83, co. 3, t.u.b.
Qualsiasi credito nei confronti di un’impresa posta in liquidazione coatta amministrativa deve essere fatto valere in sede concorsuale, nell’ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, mentre il giudice ordinario può conoscerne solo in un momento successivo, sulle opposizioni o impugnazioni dello stato passivo formato in detta sede, così determinandosi una situazione di improponibilità o, se proposta, di improseguibilità della domanda, che concerne sia le domande di condanna che quelle di mero accertamento del credito.
Tale principio ha numerose implicazioni processuali: in primo luogo, l’inammissibilità colpisce anche la domanda volta a far valere in via indiretta un credito nei confronti della procedura; la regola si applica, pertanto, anche alle azioni volte a conseguire effetti costitutivi o di accertamento che siano comunque idonee ad alterare il principio della par condicio creditorum. Inoltre, l’effetto compensativo che può derivare dalla proposizione di una domanda di declaratoria di nullità o da una pronuncia di annullamento o di risoluzione del contratto determina l’attrazione della controversia al “foro fallimentare”, fatta salva l’ipotesi in cui la pretesa formi oggetto di eccezione riconvenzionale al solo fine di paralizzare la domanda dei commissari. Infine, l’attrazione delle controversie al tribunale concorsuale in misura così ampia assicura, almeno in linea tendenziale, la parità di trattamento tra i creditori della procedura.
Impugnazione di delibere assembleari e sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa
Nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, il sopravvenuto fallimento di quest’ultima, comporta il venir meno dell’interesse ad agire per ottenere una pronuncia di annullamento dell’atto impugnato, quando l’istante non deduca argomenti e dimostri il suo perdurante interesse, avuto riguardo alle utilità attese dopo la chiusura della procedura fallimentare.
Una volta sopravvenuta la dichiarazione di liquidazione coatta della società, la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità spetta in via esclusiva al commissario liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione, venendo in essa assorbita quella già di spettanza dei soci.
Competenza sulle controversie in materia di accertamento dei crediti concorsuali verso una società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa
La domanda risarcitoria proposta nei confronti di una società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa è inammissibile ai sensi degli artt. 52 e 93 l.fall. – applicabili alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, con i previsti adattamenti, in virtù del richiamo contenuto all’art. 201 l.fall. –, che riservano la trattazione delle controversie in materia di accertamento dei crediti concorsuali al procedimento di verificazione dello stato passivo nell’ambito della procedura concorsuale, precludendone la cognizione al giudice ordinario (nel caso di specie una società consortile aveva proposto dinnanzi alle Sezioni specializzate del Tribunale un’azione risarcitoria nei confronti di una società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa).
Sulla natura dell’azione di responsabilità nella liquidazione coatta amministrativa
L’azione del commissario liquidatore ex art. 206 co. 1° L.F., non diversamente da quella proposta dal curatore fallimentare ex art. 146 co. 2° L.F., è un diritto processuale ancipite, che ricomprende – in unica azione autonoma e inscindibile – sia l’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c. che quella di cui sono titolari i creditori sociali ex art. 2394 c.c. “quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti” (co. 2°) a causa dell’inosservanza da parte degli amministratori “degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” (co. 1°).
Diritto di voto della s.g.r. in l.c.a.
Anche quando la s.g.r. è posta in l.c.a. ed ha subito la revoca dell’autorizzazione alla gestione collettiva del risparmio, ogni diritto inerente ai beni dei fondi gestiti non può che essere esercitato dalla s.g.r. stessa (che ne è titolare formale, sostanziale e processuale, e poi tenuta a riversare al fondo gli effetti sostanziali della gestione a guisa di un mandatario). Secondo l’art. 57, co. 3-bis t.u.f., la liquidazione va condotta dal gestore posto in liquidazione, nella persona dei suoi commissari, e i partecipanti hanno diritto a vedersi liquidare il residuo netto di liquidazione. Tale disciplina implica necessariamente la conservazione in capo al gestore dei suoi poteri e dei suoi diritti “formali e sostanziali e processuali” sui beni del fondo, anche se da esercitare nell’ottica liquidatoria.
Il provvedimento ex art. 78 c.p.c. di nomina di un curatore speciale del fondo comune di investimento non estende il suo effetto fino al punto di assegnare al fondo (affinché li potesse esercitare il curatore speciale) poteri e diritti che per legge il fondo non avrebbe comunque potuto esercitare, e in particolare poteri e diritti non appartenenti al fondo, ma alla s.g.r. che lo gestisce. Il provvedimento ex art. 78 non è atto a conferire poteri, ma solo provvede alla nomina di un rappresentante, che eserciti i poteri stabiliti dalla legge all’ente rappresentato. In questo senso il provvedimento non è esistente nella parte in cui esso assegna al fondo l’esercizio dei diritti di un soggetto diverso [nel caso di specie, una delibera di s.r.l. partecipata interamente dal fondo era stata approvata con il voto del curatore speciale e non della s.g.r.].
Cessione di debiti e controversie nella l.c.a. delle banche venete
L’art. 3 d.l. 99/2017 (concernente la l.c.a. di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e Veneto Banca s.p.a.) vieta la cessione dei debiti nei confronti dei propri azionisti derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni, e delle controversie derivanti da vendite distorte (“malcollocamento”) di azioni relative a passati aumenti di capitale. La norma va letta alla luce del principio bancario della condivisione degli oneri (secondo il quale alcune categorie di soggetti sono tenute in via principale a sostenere la crisi, e fra di essi, in ogni caso, gli azionisti) e dunque estensivamente non possono coloro che siano azionisti, anche se si dolgono di avere subito operazioni di malcollocamento di azioni, avere come controparte sostanziale, oltre che processuale, altri che la liquidatela, alla quale i rapporti afferenti la vendita di azioni (e anche la “cattiva vendita”) debbono rimanere. Diversamente si riconoscerebbe all’azionista la possibilità di fare valere doglianze verso soggetti diversi dalla liquidatela, e segnatamente l’acquirente che beneficia di aiuti di Stato. Tale principio vale per tutti i rapporti che siano collegati alla vendita, inclusi i finanziamenti finalizzati al collocamento.
Fra le esclusioni dalla cessione campeggiano i contenziosi civili e i conseguenti effetti negativi, relativi a controversie con azionisti, e comunque le passività (nel senso ampio anche di “minor attivo”) costituite da debiti, responsabilità e passività derivanti o comunque connessi con le operazioni di commercializzazione di azioni delle Banche. L’esclusione dalla cessione non può tuttavia limitarsi alle “passività” ma, alla luce dei principi comunitari, deve estendersi ad ogni aspetto, anche attivo, riconducibile al collocamento azionario.
La liquidazione coatta provoca la perdita della capacità processuale degli organi societari e l’improcedibilità delle domande giudiziarie di condanna e accertamento del credito svolte in sede ordinaria
La sottoposizione di una società a liquidazione coatta amministrativa determina, per un verso, la perdita della capacità processuale dei suoi organi societari e, per altro verso, la temporanea improcedibilità, fino alla conclusione della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo davanti agli organi della procedura ai sensi degli artt. 201 e ss. L.F., della domanda, sia di condanna che quella di mero accertamento del credito, azionata in sede ordinaria prima dell’inizio della procedura concorsuale da chi si afferma essere creditore della società. Tale improcedibilità, rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di Cassazione, è conseguente all’applicazione di norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum e all’operare del principio secondo il quale tutti i crediti vantati nei confronti dell’imprenditore insolvente devono essere accertati secondo le norme che ne disciplinano il concorso.
Liquidazione coatta amministrativa e cessione d’azienda (Veneto Banca – Intesa Sanpaolo): inapplicabilità dell’art. 2560 c.c.
Il contratto di cessione tra Veneto Banca s.p.a. e Intesa San Paolo S.p.a., opponibile anche ai terzi in conformità alla previsione dell’art. 3 del d.l. n. 99 del 2017, esclude dal perimetro della cessione, tra l’altro, il contenzioso instaurato successivamente alla cessione per fatti pregressi.
La legittimazione passiva di Intesa San Paolo per tali contenziosi non può neppure derivarsi dall’applicazione dell’art. 2560 c.c., essendo quest’ultima norma infatti incompatibile con la disciplina del d.l. 25 giugno 2017, n. 99, nella parte in cui delimita – agli artt. 2, co. 1, lett. c) e 3, co. 1 – l’esatto perimetro dei beni, diritti, rapporti giuridici, attività e passività oggetto di cessione. L’art. 2560 c.c., infatti, è dettato solo per l’ipotesi di cessione volontaria di azienda, valendo nell’ambito delle procedure concorsuali la regola opposta. La limitazione della responsabilità del cessionario ai soli debiti oggetto della cessione ivi prevista è conforme ai principi in tema di vendite coattive nelle procedure concorsuali. La ratio sottostante alla previsione dell’esclusione della responsabilità del cessionario per i debiti del cedente (c.d. effetto purgativo delle vendite) riposa nell’intento di incentivare la vendita di aziende o di rami di aziende di società fallite, che sarebbe invece pregiudicato a fronte del possibile rischio per l’acquirente di dover rispondere di debiti verosimilmente superiori all’attivo.
Azione di responsabilità esercitata dal fallimento: questioni in tema di nullità della citazione e di prescrizione
L’esigenza di adeguata determinazione dell’oggetto del giudizio, indispensabile garanzia dell’effettività del contraddittorio e del diritto di difesa, è soddisfatta con l’identificazione dei fatti che concorrono a costituire gli elementi costitutivi della responsabilità al fine di consentire alla controparte di approntare tempestivi e completi mezzi difensivi: la nullità della citazione sussiste solo se tali fatti sono del tutto omessi o incerti, inadeguati a tratteggiare l’azione e se l’incertezza investe l’intero contenuto dell’atto. [ LEGGI TUTTO ]