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12 Novembre 2023

Principi in tema di rapporti tra coobbligati

Costituisce ius receptum che le domande possono essere sinanco mutate – nei limiti descritti nella ben nota giurisprudenza di legittimità formatasi in materia – fino alla memoria depositata ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., ma anche che, purché non ne muti la sostanza comunicativa (editio actionis: allegazione di petitum e causa petendi), esse possono ben essere lessicalmente riformulate anche in sede di precisazione delle conclusioni, salve limitazioni e riduzioni sempre ammesse in attuazione del principio dispositivo.

Il credito risarcitorio è un diritto soggettivo relativo, che può predicarsi esistente solo verso un debitore determinato (o più debitori determinati). Tradotta tale situazione sul piano processuale, ne deriva che chi si dica terzo rispetto al rapporti di credito / debito che afferma esistenti solo tra altri non può far accertare l’esistenza del credito soltanto nei confronti dell’altro diverso presunto debitore senza la partecipazione dei titolari del diritto di credito, perché gli sarebbe consentito di agire esercitando un diritto altrui o incidendo su di esso senza la partecipazione al processo del suo titolare, in violazione dell’art. 81 c.p.c. In particolare provocherebbe, da terzo e senza la partecipazione del creditore, l’accertamento su chi è l’unico debitore di questi. Rispetto a questo accertamento, che si concreta nell’esercizio processuale di un diritto altrui, l’attore è privo di legittimazione attiva, talché il processo può svolgersi solo con la necessaria partecipazione del creditore. Se poi si ritenesse che quella sentenza non sarebbe opponibile al creditore per la sua mancata partecipazione al giudizio, allora l’attore sarebbe privo di interesse ad ottenerla. Invero quell’attore, quando condannato a pagare il creditore in separato processo, non potrebbe poi rivolgersi al (presunto) “terzo unico responsabile” né in via di regresso contro il condebitore solidale – poiché, in tal caso, i due alternativi debitori non si trovano in rapporto di solidarietà (art. 2055 c.c.) -, né a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., poiché la sentenza che lo individua come debitore costituisce giusta causa del suo pagamento al creditore.

La domanda di accertamento del diritto del condebitore di approfittare della transazione stipulata con il creditore da altro condebitore deve essere proposta nei confronti del creditore. Il condebitore è privo di interesse a far accertare, verso il condebitore che ha stipulato la transazione, il suo diritto di approfittarne. Invero questo diritto non incide per nulla nella sfera giuridica del condebitore che ha transatto ed invece solo nella sfera del creditore, determinando la liberazione del debitore che non ha transatto. Ma l’accertamento verso il condebitore sarebbe inopponibile al creditore, dunque inutile.

La quota interna di responsabilità di un terzo chiamato può essere stabilita nel simultaneus processus perché, in quella sede, viene accertata anche la responsabilità (o no) dei convenuti/debitori verso l’attore/creditore, sicché è concesso, anche per motivi di economia processuale, accertare anche se ed in quale misura un soggetto pur non convenuto ma partecipante al processo a seguito di chiamata di terzo risponda ed in che misura del debito di cui si discute, accertandosi in questo modo la solidarietà del terzo chiamato nel debito. Nel processo autonomo, tuttavia, è ovviamente necessario che sussista un titolo in forza del quale il debitore/attore agisce verso il preteso debitore/convenuto. La domanda non può essere limitata al mero accertamento delle rispettive quote di responsabilità, accertamento rispetto al quale il debitore/attore non ha interesse, sia perché deve comunque l’intero al creditore, sia perché non sussiste un suo diritto che sia oggetto di turbativa da parte del debitore/convenuto.

Per agire in regresso contro altro debitore, il condebitore solidale deve avere pagato l’intero dovuto al creditore, o, quanto meno, una somma superiore a quella commisurata alla sua quota interna di responsabilità.

27 Febbraio 2023

Effetti sul giudizio della morte della parte convenuta dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni

La dichiarazione della morte della parte costituita a mezzo di difensore va ritenuta tempestiva e, quindi, suscettiva di provocare l’interruzione ipso iure della causa, dovendosi interpretare la regola dettata sul punto dal combinato disposto degli artt. 300, co. 5, e 190 c.p.c. nel senso che la chiusura della discussione davanti al collegio va equiparata al momento in cui, dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni, viene a scadere il termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Diversamente dall’ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell’attore (caso, questo, nel quale la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario), nell’eventualità della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo.

Cessazione della qualità di socio e liquidazione delle partecipazioni sociali detenute da enti pubblici

Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in materia di accertamento dell’avvenuta cessazione ex lege della qualità di socio di una società partecipata in capo ad un ente locale ai sensi dell’art. 24, co. 1, d.lgs. 175/2016, c.d. “Testo Unico delle Società Partecipate” (noto anche come “TUSPP” o “Decreto Madia”), a norma del quale gli enti locali dovevano effettuare, entro il 30 settembre 2017, una ricognizione delle partecipazioni societarie detenute, individuando con provvedimento motivato quelle che dovevano essere oggetto di alienazione, in quanto non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali delle amministrazioni o non rivolte alla produzione di un servizio di interesse generale; alienazione che sarebbe dovuta avvenire entro il 30 settembre 2018, data oltre la quale il socio pubblico non avrebbe più potuto esercitare i propri diritti sociali e la sua partecipazione avrebbe dovuto essere liquidata secondo il procedimento di cui agli artt. 2437, co. 2, e 2437 quater c.c. Infatti, l’esercizio dei diritti sociali all’interno di una società partecipata, costituita in forma di società per azioni, è assoggettato alla disciplina di cui al titolo V, Capo V del Libro Quinto del Codice Civile, indipendentemente dalla natura pubblica o privata dei diversi soci e pertanto spetta al giudice ordinario e non al giudice amministrativo il sindacato sulle facoltà e sui poteri che competono all’Ente pubblico nella sua qualità di socio, trattandosi di manifestazioni privatistiche del socio pubblico.

Ai sensi dell’art. 24, co. 5, TUSPP, in caso di mancata alienazione delle partecipazioni entro il termine del 30 settembre 2018 o in caso di mancata adozione del provvedimento ricognitivo, la cessazione del rapporto societario tra l’ente e la società partecipata si produce ipso iure, senza necessità di alcun altro intervento; di conseguenza, il mero decorso del termine produce l’insorgenza in capo all’ente pubblico del diritto soggettivo alla liquidazione del valore delle azioni. Per queste ragioni, gli altri soci della società partecipata hanno pieno diritto di vedere accertata la perdita dei diritti sociali, nonché la cessazione della partecipazione e l’interesse a vedersi offerte in opzione le loro azioni ai sensi dell’art. 2437 quater c.c.

In una controversia avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuta cessazione della qualità di socio di una società di capitali non c’è litisconsorzio necessario di tutti i soci in quanto l’ingresso o l’uscita dei soci non dà luogo, a differenza di quanto previsto dalla disciplina delle società di persone, a modificazione del contratto sociale.

L’art. 24 TUSPP costituisce norma intesa a sanzionare unicamente gli enti locali che siano rimasti inerti e, pertanto, non è in alcun modo sostenibile l’equiparazione tra gli enti locali che non hanno adottato l’atto ricognitivo entro il termine del 30 settembre 2017 e gli enti locali che invece tale atto abbiano adottato e che tuttavia sia stato annullato a seguito di impugnazione avanti al giudice amministrativo. Infatti, le sanzioni previste dall’art. 24 TUSPP (dismissione forzosa della partecipazione e liquidazione della quota) non possono che essere riconnesse al ricorrere di determinati atti o fatti fissati dalla legge, non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica. Tali sanzioni non sono pertanto applicabili all’ente locale che, a seguito dell’annullamento della delibera ricognitiva, abbia tuttavia adottato una nuova delibera, anche se successiva alla data del 30 settembre 2017, finalizzata al mantenimento della propria partecipazione nella società partecipata.

In tema di riparto tra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria e, in particolare, di sindacato del giudice ordinario sugli atti amministrativi, devono essere rispettati i seguenti principi: in primo luogo, il potere di disapplicazione attribuito al giudice ordinario può essere esercitato solo nei giudizi tra privati e non anche nei giudizi in cui sia parte l’ente che abbia adottato quell’atto amministrativo; in secondo luogo, spetta al giudice amministrativo pronunciarsi circa la legittimità delle delibere; inoltre, la valutazione della legittimità del provvedimento amministrativo è ammissibile da parte del giudice ordinario se avvenga in via incidentale e l’atto amministrativo costituisca mero antecedente e non causa della lesione del diritto del privato.

La domanda, promossa da un socio di una società di capitali, volta alla declaratoria di illegittimità del recesso di un altro socio della medesima società è inammissibile per difetto di legittimazione attiva. Il singolo socio è infatti estraneo al rapporto sociale intercorrente tra un altro socio e la società e, pertanto, questi non può sostituirsi alla società al fine di veder accertata l’abusività del recesso.

29 Aprile 2021

Sulla responsabilità del liquidatore nella vendita del compendio aziendale

In tema di società a responsabilità limitata, la legittimazione all’esercizio dell’azione (sociale) di responsabilità attribuita ai singoli soci, a prescindere dalla quota di partecipazione al capitale sociale posseduta, non si sostituisce, ma si affianca alla legittimazione processuale ordinaria della società quale titolare del relativo diritto risarcitorio e non viene meno con la nomina e con la costituzione in giudizio del curatore speciale della società stessa. Una volta che sia intervenuta la nomina di un curatore speciale, sussiste litisconsorzio necessario tra il singolo socio che ha promosso azione di responsabilità sociale e la società stessa, configurandosi, in tal modo, una concorrente legittimazione attiva in capo al socio.

La responsabilità verso la società degli amministratori, liquidatori o soci che hanno autorizzato o deciso il compimento di un atto dannoso, ha, come noto, natura contrattuale e, quindi, sull’attore incombe l’onere di allegare la condotta asseritamente illecita ed il danno eziologicamente ad essa collegato, gravando, invece, sul convenuto un onere di dimostrare il proprio esatto adempimento ovvero la non imputabilità dell’evento dannoso alla sua condotta.

In tema di responsabilità degli amministratori di società e, in particolare, di responsabilità derivante non da atti distrattivi bensì da decisioni e/o iniziative assunte nell’esercizio dell’attività di impresa, eventualmente rivelatesi non proficue per il sodalizio, va comunque ribadita la regola (c.d. business judgment rule), dell’insindacabilità, nel merito, delle scelte gestionali da essi operate. Al riguardo, va pure precisato che il divieto per il giudice di valutare le scelte gestionali connotate da discrezionalità vale esclusivamente ove queste siano state effettuate con la dovuta diligenza nell’apprezzamento dei loro presupposti, delle regole di scienza ed esperienza applicate e dei loro possibili risultati. Infatti, la regola del c.d. business judgment rule trova un limite nel corollario della necessaria ragionevolezza dell’agire dell’amministratore nonché nella valutazione della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione contestata. Pertanto, è consentito al giudice soltanto di sanzionare le scelte negligenti, o addirittura insensate, manifestamente irrazionali, macroscopicamente ed evidentemente dannose ex ante.

In assenza di offerte, occasioni e condizioni migliori, lo scarto tra il prezzo di vendita pattuito dal liquidatore e il valore economico della azienda quantificato in giudizio dal CTU non può costituire, di per sé, danno per la società, in particolar modo qualora il liquidatore, in adempimento dei doveri istituzionali inerenti la sua funzione di estinzione dei debiti societari e di ripartizione tra i soci del residuo attivo, proceda alla dismissione del patrimonio aziendale attraverso un’operazione incentrata sull’accettazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (se non addirittura, l’unica praticabile) a lui pervenuta al termine di una procedura di scelta condotta secondo criteri di sufficiente trasparenza e correttezza, aperta alla più ampia partecipazione in concreto esigibile.

18 Gennaio 2021

Chiarimenti in tema di litisconsorzio necessario, diritti di partecipazione ex art. 2437 c.c., distribuzione degli utili e abuso di maggioranza

Ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario solo allorquando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di tutti i soggetti che ne siano partecipi, sicché la decisione richiesta sarebbe altrimenti inidonea a spiegare i propri effetti e, cioè, inutiliter data, il che dev’essere oggetto di verifica in base alle domande giudiziali proposte, cosicché non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando il convenuto non propone domanda riconvenzionale avente ad oggetto la pretesa situazione plurisoggettiva.

 

In tema di recesso dalla società di capitali, l’espressione “diritti di partecipazione” di cui all’art.2437, 1°c., l. g), c.c., deve rimanere nell’ambito di un’interpretazione restrittiva della norma tesa a non incrementare a dismisura le cause che legittimano l’uscita dalla società, cosicché essa comprende, tra i diritti patrimoniali che derivano dalla partecipazione, quelli afferenti alla percentuale dell’utile da distribuire in base allo Statuto e attinenti alla modifica di una clausola statutaria direttamente riguardante la distribuzione dell’utile di esercizio che influenzi in negativo i diritti patrimoniali dei soci prevedendo l’abbattimento della percentuale ammissibile di distribuzione, in considerazione dello specifico aumento della percentuale da destinare a riserva.

 

La decisione dell’assemblea sulla distribuzione degli utili può riguardare solo l’an ed il quantum, non le modalità di ripartizione e la relativa tipologia che devono essere stabilite ex ante dallo Statuto sociale (o, nel silenzio di questo, secondo proporzionalità), perché altrimenti si lederebbe un diritto individuale del socio.

 

Sussiste abuso di maggioranza, in pratica, di fronte alla consapevole e fraudolenta attività del socio di maggioranza volta al perseguimento dell’unico fine di trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti che si concreta, quindi, nell’inosservanza del dovere di correttezza e buona fede di cui agli art.1175 e 1375 c.c., rendendo annullabile la delibera adottata. Si tratta, quindi, di deliberazioni formalmente consentite dalla norma, ma invalide per violazione di clausole generali (appunto, i principi di correttezza e buona fede) che, come tali, risultano residuali rispetto a fattispecie tipiche.

2 Dicembre 2019

Irrilevanza della prova dell’esistenza di creditori antecedenti all’atto di mala gestio

Il creditore è libero di agire in giudizio contro qualunque debitore solidale, senza necessità di evocare in giudizio tutti o determinati debitori: ciò vale anche rispetto all’azione di responsabilità per abuso di direzione e coordinamento, non sussistendo litisconsorzio necessario tra essa e i suoi amministratori nell’ipotesi di responsabilità solidale di cui all’art. 2497, secondo comma, c.c.

Risulta irrilevante, ai fini dell’esercizio dell’azione ex art. 2394 c.c., la prova dell’esistenza di creditori antecedenti all’atto di mala gestio, rilevando il solo carattere pregiudizievole dell’atto sul patrimonio sociale nel suo complesso, idonea a pregiudicare i creditori, siano essi anteriori o posteriori all’atto contestato.

25 Luglio 2019

Sull’impugnazione del lodo irrituale

L’annullamento del lodo emanato all’esito di un arbitrato irrituale deve essere domandato in via espressa e principale, non potendo le doglianze formulate nella prospettiva di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo su di esso fondato provocare una decisione demolitoria del lodo medesimo.

Con l’introduzione dell’art. 808 ter c.p.c., il legislatore ha inteso formalizzare i possibili motivi di impugnazione del lodo irrituale, cristallizzandoli in un elenco tassativo e sottraendoli, quindi, all’individuazione ermeneutica della dottrina e della giurisprudenza. I motivi di impugnazione del lodo debbono, quindi, intendersi tassativamente indicati nella citata disposizione. Di conseguenza, non possono essere oggetto d’impugnazione né l’eventuale violazione del termine per il deposito del lodo, né le eventuali errate valutazioni nel merito da parte dell’arbitro.

Nel giudizio arbitrale inerente all’accertamento della responsabilità dell’amministratore per il danno subito dal socio non sussiste litisconsorzio necessario della società.

20 Maggio 2019

Legittimato passivo e litisconsorte necessario nei giudizi di impugnazione di delibere assunte da organi societari

Nei giudizi che hanno a oggetto l’impugnazione di delibere assunte da organi societari unico legittimato passivo (e litisconsorte necessario) è la società i cui organi hanno adottato le decisioni contestate in base al principio di immedesimazione organica, e non invece i singoli soggetti (consiglieri, soci, sindaci) partecipanti all’organo; da cui discende ulteriormente che nei giudizi di impugnazione delle decisioni del c.d.a. non sussiste litisconsorzio necessario con riguardo ai singoli amministratori.

19 Aprile 2019

Presupposti del litisconsorzio necessario e rinomanza del marchio. Interesse ad agire per la decadenza di un marchio nazionale e caratteri dell’uso idoneo ad evitare la decadenza

Il litisconsorzio necessario ricorre, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, solo quando la situazione giuridica azionata è strutturalmente comune a una pluralità di soggetti, e la decisione non può conseguire il proprio scopo se non è resa nei confronti di tutti questi. Al fine di determinare il ricorrere di un’ipotesi di litisconsorzio necessario [ LEGGI TUTTO ]

27 Dicembre 2018

Revoca dell’amministratore di S.r.l.: posizione processuale della società e nomina del curatore speciale

Per ragioni di coerenza logica, il principio secondo cui la società a responsabilità limitata è litisconsorte necessaria nei giudizi di responsabilità degli amministratori è da applicarsi anche ai giudizi cautelari di revoca degli amministratori medesimi.

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