Marchio di forma “di fatto”: occorre anche provare che la forma abbia acquisito un sufficiente grado d’individualità e distintività del prodotto
In tema di “marchio di fatto” “di forma”, ai sensi dell’art. 12 c.p.i., esso è configurabile e, quindi, tutelabile quando presenti tutti i requisiti richiesti per i marchi registrati, ivi compreso quello della novità. La genesi di un marchio di fatto non si ricollega, automaticamente ed esclusivamente, al suo uso, pur protratto ed esclusivo, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito “notorietà”, ossia abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. A tal fine, occorre, dunque, accertare che il segno abbia acquisito, in forza della sua utilizzazione, la funzione di strumento di comunicazione, distintivo della provenienza del prodotto e del servizio, e, quindi, delle caratteristiche, anche qualitative, dello stesso.
Con specifico riferimento al marchio di forma di fatto, non è sufficiente fornire la prova che il prodotto è stato posto sul mercato, sia pure in quantità rilevanti, ma occorre anche provare che la forma tridimensionale abbia acquisito un sufficiente grado d’individualità e distintività, tanto da richiamare al consumatore la sua origine e da comportare un rischio di confusione ove da altri imitata.
L’imitazione servile dei prodotti può configurarsi solo in relazione ad elementi estetici ovvero formali del prodotto di carattere non meramente funzionale.
Ai fini della sussistenza della concorrenza sleale c.d. parassitaria, occorre il positivo riscontro di una continua e ripetuta imitazione delle iniziative e/o dei prodotti del concorrente, nonché un’analisi concreta della situazione presente sul mercato, volta a verificare se gli stessi siano effettivamente dotati di connotati individualizzanti
Imitazione servile e appropriazione di pregi altrui
In materia di violazione di segni distintivi non registrati e concorrenza sleale, la presenza di due marchi diversi, ben visibili, inconfondibili e che non lasciano dubbi sulla diversa identità dei produttori, è sufficiente a differenziare il prodotto e ad escludere l’imitazione servile ex art. 2598, co. 1, n. 1 c.c..
Ai fini dell’accertamento dell’imitazione servile, la comparazione tra prodotti dev’essere compiuta non attraverso un esame analitico dei singoli elementi caratterizzanti, ma mediante una valutazione sintetica dei medesimi nel loro complesso, ponendosi dal punto di vista del consumatore, con la conseguenza che quanto minore è l’importanza merceologica del prodotto, tanto più la scelta può essere determinata da percezioni immediate e sollecitazioni sensoriali.
L’imitazione servile va distinta dalla condotta di appropriazione dei pregi altrui, contemplata all’art. 2598, co. 1, n. 2, c.c., la quale è integrata dal vanto operato da un imprenditore circa le caratteristiche della propria impresa, non realmente possedute bensì indebitamente mutuate da quelle di un altro imprenditore, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.