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Concorrenza sleale per denigrazione: necessaria l’idoneità della notizia diffusa a determinare discredito per il concorrente

La concorrenza sleale per denigrazione, se pure non postula la falsità dei fatti affermati, richiede che la divulgazione di circostanze o di notizie vere sia idonea a procurare discredito negli stretti limiti in cui siano contestualmente formulate vere e proprie invettive ed offese gratuite nei confronti del concorrente, che traggano cioè, nella diffusione delle notizie veritiere, mero spunto o pretesto. Al contrario, la reazione dell’imprenditore che si assume danneggiato dalla condotta sleale di un concorrente è legittima, e non causa un danno risarcibile, quando risponde ai parametri della continenza generale e della proporzionalità rispetto all’offesa ricevuta.

Il danno non patrimoniale deve essere provato ex art. 2600 c.c., non essendo in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione.

Concorrenza sleale per denigrazione: necessaria la divulgazione della notizia a più persone

Tra gli elementi costitutivi della condotta anticoncorrenziale ex art. 2598 n. 2 c.c. rientra quello della diffusività del messaggio denigratorio, e cioè un’effettiva divulgazione della notizia idonea a determinare il discredito ad una pluralità di persone, non essendo configurabile l’illecito nell’ipotesi di esternazioni occasionalmente rivolte a singoli interlocutori nell’ambito di separati e limitati colloqui.