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5 Agosto 2021

Soccombenza virtuale e spese processuali in caso di sostituzione di delibera nulla in pendenza di lite

La sostituzione di una delibera nulla in corso di procedimento, definito con declaratoria di cessazione della materia del contendere, non determina la compensazione delle spese di lite. Per il principio di soccombenza virtuale, infatti, la parte soccombente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.

Invalidità della delibera di aumento di capitale per violazione del diritto di opzione

La delibera con la quale, a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, si decida l’azzeramento e il contemporaneo aumento del capitale sociale, consentendone la sottoscrizione immediata e per intero a uno solo dei soci, presente all’assemblea, in tanto è valida in quanto venga contestualmente assegnato ai soci che ne abbiano diritto (soci assenti all’assemblea o soci presenti ma impossibilitati ad una sottoscrizione immediata) il termine di trenta giorni, pari al periodo minimo previsto dall’art. 2481 bis, co. 2, c.c., per l’esercizio del diritto di opzione, fungente da condizione risolutiva dell’acquisto delle partecipazioni sottoscritte dal socio in misura eccedente a quella di propria spettanza. Altrimenti, la delibera sociale così assunta si porrebbe in netto contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 2481 bis, co. 2, c.c. nella parte in cui prevede che la decisione di aumento di capitale debba assegnare un termine di almeno trenta giorni ai soci per esercitare il diritto di sottoscrizione, posto che l’esercizio postumo del diritto di opzione opera come condizione risolutiva e rimuove pro quota e retroattivamente gli effetti dell’originaria sottoscrizione immediata e per intero del socio presente.

Se è vero che la qualità di socio deve sussistere, pena la carenza di interesse, dall’inizio dell’impugnazione fino alla decisione della causa, è anche vero che, qualora dalla decisione dipenda la permanenza dell’attore nella società, l’interesse ad agire sussiste in ogni caso, proprio perché dalla decisione dipende la qualità di socio.

9 Luglio 2021

La nullità di singole clausole contrattuali si estende all’intero contratto di fideiussione solo ove sia data prova dell’inscindibile correlazione con il resto del contratto

In tema di invalidità delle clausole mutuate dal modello ABI 2003, seguendo un rilevante orientamento di legittimità (Cass. Civ. n. 29810/2017 e n. 4175/2020), il Giudice è legittimato a valutare autonomamente la nullità ex art. 1418, co. 1, c.c., in relazione all’art. 2 Legge Antitrust, del contratto a valle dell’intesa anticoncorrenziale stipulato anteriormente al provvedimento di censura dell’autorità amministrativa indipendente tenendo in ogni caso in considerazione quanto da questa – successivamente –
accertato in punto di violazione della Legge Antitrust. Ciò, sempre che l’intesa sia stata materialmente posta in essere prima della conclusione del contratto indiziato di nullità.

Inoltre, la nullità parziale della clausola pedissequa ad altra clausola di cui all’intesa ABI non importa la nullità dell’intero contratto di fideiussione in quanto non è stata fornita specifica allegazione del valore della clausola invalida all’interno del regolamento negoziale (cfr. Cass. Civ. n. 24044/2019, Tribunale di Milano n. 7093/2020, Corte appello Venezia, n. 1063/2021).

Collocamento di azioni nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. in tema di assistenza finanziaria

L’art. 2358 c.c., che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società.

Deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1, c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere in essa anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto. Ne consegue che, ove un collocamento di azioni avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile sarà quella della nullità.

L’interesse preminente tutelato dal legislatore con l’art. 2358 c.c. è quello della società e dei creditori all’integrità del capitale sociale, interesse rilevante anche per le società cooperative per azioni.

Quanto alle banche costituite in forma cooperativa si rileva che la disciplina che limita le operazioni che possono mettere a rischio il capitale non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Così non può dirsi incompatibile con la natura delle società cooperative la necessità di delibera assembleare autorizzativa ex art. 2358 c.c., posto che se è esclusivo compito degli amministratori l’ammissione di nuovi soci, non è possibile escludere di per ciò stesso la necessità di delibera assembleare per autorizzare gli amministratori a collocare azioni mediante l’operazione di assistenza finanziaria.

L’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. 105/1948 – che prevedeva la possibilità per la società di accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per legge era demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potevano in ogni caso eccedere il 40 % delle riserve legali – e il disposto dell’art. 150 bis t.u.b. – che indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari e non novera tra queste quella di cui all’art. 2358 c.c. – autorizzano a ritenere che sussista anche per le banche popolari il divieto di finanziare l’acquisto di proprie azioni secondo il paradigma dell’art. 2358 c.c.

23 Giugno 2021

Responsabilità dell’amministratore di S.r.l. per dispersione dei crediti sociali

L’amministratore di S.r.l. che omette di consegnare al curatore documenti validi per il recupero dei crediti sociali deve essere ritenuto responsabile, nei confronti della società e dei creditori sociali, della dispersione di detti crediti. Infatti, tale condotta rende di fatto irrecuperabili i crediti sociali e può portare ad un’azione di responsabilità ex art. 146 L. Fall. da parte del curatore fallimentare nei confronti dell’amministratore.

In particolare, il Tribunale, prendendo in esame un contratto di fornitura concluso verbalmente con una Pubblica Amministrazione, rileva che la negligente conclusione di un contratto viziato da un macroscopico motivo di nullità determina l’insorgere di un credito di difficile recupero.

22 Giugno 2021

Art. 2358 c.c.: sanzione della nullità e applicabilità alle banche costituite in forma di società cooperative per azioni

L’art. 2358 c.c., che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società. Detto ciò e considerato il divieto di assistenza finanziaria imposto da norma imperativa, deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1 c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto. Consegue che, ove il collocamento di azioni avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile sarà quella della nullità.

La disciplina dell’art. 2358 c.c. non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Quanto alla applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle banche costituite in forma cooperativa, si osserva che con l’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, giusta art. 161, è stato abrogato il D.Lgs. n. 105/1948 che, al suo art. 9, prevedeva la possibilità per la società di accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per Legge era demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potevano in ogni caso eccedere il 40% delle riserve legali. Inoltre, il Testo Unico Bancario, introdotto con il D.Lgs. n. 310/2004, al proprio art. 150-bis, indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari, prevedendosi in tal senso gli artt. 2346 co. 6, 2349 co. 2, 2513, 2514 co. 2, nonché gli artt. 2512, 2514 e 2530 co. 1, norme del codice civile antecedenti e successive all’art. 2358 c.c. che così il legislatore non ha ritenuto di escludere dal novero di applicabilità. In altre parole, l’abrogazione del citato art. 9 D.Lgs. n. 105/1948 ed il disposto dell’art. 150-bis T.U.B. autorizzano a ritenere che sussista anche per le banche popolari il divieto di finanziare l’acquisto di proprie azioni secondo il paradigma dell’art. 2358 c.c.

19 Aprile 2021

Il caso Mediaset-Vivendi: condotta volta ad impedire l’avveramento di una condizione sospensiva, cui è subordinata l’esecuzione di un contratto, e conseguenze risarcitorie

In presenza di un contratto di trasferimento di partecipazioni societarie, la cui esecuzione sia subordinata alla condizione sospensiva del rilascio da parte delle Autorità preposte delle autorizzazioni necessarie all’attuazione dell’operazione secondo le disposizioni normative nazionali e sovranazionali, specialmente di carattere antitrust, costituisce inadempimento contrattuale la condotta della parte che consapevolmente non attui le obbligazioni assunte per favorire il rilascio, da parte della Commissione Europea, della dichiarazione di compatibilità dell’accordo col mercato comune. Il mancato avveramento di tale condizione sospensiva per effetto di siffatte condotte obbliga la parte inadempiente al risarcimento del danno. [ LEGGI TUTTO ]

Codice RG 47205 2016
7 Aprile 2021

Non costituisce contributory infringment ex art. 66 c.p.i. il concorso paritario ed originario nella realizzazione del macchinario in asserita contraffazione

L’art. 66, comma 2 bis, del c.p.i., punisce chi fornisce ad un terzo non autorizzato i mezzi per realizzare l’invenzione brevettata nella consapevolezza di tale uso illecito dei suddetti mezzi: tale norma, quindi, pare colpire l’attività di chi, nell’esercizio della sua ordinaria attività imprenditoriale, fornisca una componente del prodotto finale al realizzatore – appunto – del suddetto prodotto finale, ipotesi tuttavia insussistente nella fattispecie ove vi sono due soggetti che si pongono sin dall’inizio sullo stesso piano della catena produttiva finalizzata a realizzare il prodotto finale, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze professionali, ed insieme lo hanno commercializzato presentandosi come partecipi di un progetto commerciale comune.

10 Febbraio 2021

Natura imperativa dell’art. 2474 cc e accollo del debito in relazione alla cessione di quote di S.r.l..

Il divieto di cui all’art. 2474, che vieta in primo luogo l’acquisto e la sottoscrizione delle proprie quote, si estende anche all’ipotesi di accollo del debito relativo al pagamento del corrispettivo stabilito nella cessione, poiché anche tale ipotesi pregiudica gli interessi protetti dalla norma. Ne consegue la nullità della pattuizione in contrasto con tale divieto, anche se intervenuta a sei anni di distanza dalla cessione delle quote.

3 Febbraio 2021

Elementi costitutivi dei requisiti positivi del brevetto per invenzione

I requisiti positivi del brevetto per invenzione vengono definiti ordinariamente come la industrialità, novità ed originalità. La prima, di difficile definizione, secondo la disciplina positiva contenuta all’art. 49 c.p.i. richiede che l’oggetto della invenzione possa essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola: tutti i trovati che rispondono ai requisiti previsti dalla legge, quindi, sono brevettabili indipendentemente dal loro campo di applicazione, industriale, agricolo, professionale.

La novità invece consiste nella differenza formale tra l’invenzione di cui si domanda il riconoscimento e lo stato della tecnica rilevante. Secondo l’art. 46 c.p.i. un’invenzione è nuova “se non è compresa nello stato della tecnica”. Ai fini della disciplina dettata dal Codice della proprietà industriale, per stato della tecnica deve intendersi tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all’estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo. Si tratta dell’insieme di tutte le informazioni, in qualsiasi modo acquisibili, che formano la sapienza tecnologica accessibile al pubblico nel mondo intero del settore al quale l’invenzione appartiene nel momento in cui è depositata la domanda di brevetto (cfr. Tribunale Bologna, Sez. spec. propr. industr. ed intell., 18/04/2013). Il giudizio di novità è assoluto: l’invenzione non è brevettabile se divulgata in qualunque tempo e modo vuoi ad opera di terzi che dell’inventore medesimo: per questo ogni precedente uso dell’invenzione ed anche la avvenuta divulgazione della medesima ad opera dell’inventore preclude l’ottenimento del brevetto.

Per anteriorità si considerano le conoscenze anche non brevettate (italiane o estere) esistenti alla data di deposito della domanda di brevetto. La predivulgazione consiste invece nella accessibilità al pubblico della medesima invenzione, che si attua in presenza della comunicazione, volontaria o involontaria, dell’invenzione da parte dell’inventore o di terzi. L’art. 47 c.p.i. prevede due deroghe alla disciplina appena descritta, ipotesi quindi in cui la divulgazione non distrugge la novità: la cd divulgazione abusiva, se si è verificata nei sei mesi che precedono la data di deposito della domanda di brevetto e risulta direttamente o indirettamente da un abuso evidente ai danni del richiedente o del suo dante causa; la divulgazione avvenuta in esposizioni ufficiali o ufficialmente riconosciute ai sensi della Convenzione concernente le esposizioni internazionali firmata a Parigi il 22 novembre 1928 e successive modifiche. Nel caso in cui possa farsi valere una priorità, lo stato della tecnica rilevante ai sensi degli artt. 46 e 48 c.p.i. deve valutarsi con riferimento alla data alla quale risale la priorità.

L’originalità (detta anche altezza inventiva) costituisce un secondo filtro per l’accesso alla tutela brevettuale ed ha la funzione di consentire tale accesso solo ai risultati più meritevoli. Secondo l’art. 48 c.p.i. “un’invenzione è considerata come implicante un’attività inventiva, se per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica”. Occorre, dunque, verificare il gradiente di originalità dell’invenzione facendo riferimento alle conoscenze di un tecnico medio del ramo cui il trovato afferisce; un’invenzione è considerata originale quando un tecnico medio del settore cui l’invenzione si riferisce avrebbe potuto realizzare la medesima avvalendosi delle conoscenze in suo possesso e delle sue capacità. L’attività inventiva segna la linea di confine fra ciò che appartiene al divenire normale di ciascun settore, che potrebbe essere realizzato da qualunque operatore e che, quindi, non merita protezione, e ciò che invece è frutto di un’idea che supera le normali prospettive di evoluzione del settore, che non è alla portata dei tanti che in esse operano e che, quindi, merita la tutela esclusiva (Trib. Roma 12.9.2001). Il requisito dell’attività inventiva è pertanto definibile come una novità intrinseca che completa il requisito di cui all’art. 45 c.p.i. (il quale richiede che il trovato sia solo estrinsecamente nuovo).