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L’amministratore non esecutivo di s.p.a. non può effettuare atti di ispezione e controllo

Il diritto del socio di s.p.a. di accedere alla documentazione sociale è specificamente regolato dall’art. 2422 c.c. ed è circoscritto agli estratti dei libri di cui ai nn. 1 e 3 dell’art. 2421 c.c., ossia il libro dei soci e delle adunanze e deliberazioni delle assemblee sociali; detto diritto è incondizionato. Diverso e non estensibile alla s.p.a. è il regime di ispezione e controllo del socio non amministratore di s.r.l. regolato dall’art. 2476, co. 2, c.c., che vige per la diversa tipologia societaria delle s.r.l., caratterizzate da una minor separazione dei poteri del socio da quelli gestori e da un diverso sistema di controlli.

I doveri informativi e di acquisizione documentale dell’amministratore non esecutivo di s.p.a. non possono essere modulati sul generalizzato potere di ispezione e controllo previsto per i soci non amministratori di s.r.l. dall’art 2476 c.c., dovendo per contro essere perimetrati sulla base delle norme e dei principi propri del sottosistema delle s.p.a. e della sua governance. Ai fini dell’agire informato, ciascun amministratore può richiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società, che ritenga opportuno approfondire, mentre non è evincibile un diritto del singolo consigliere di effettuare individualmente e indiscriminatamente atti di ispezione e controllo direttamente presso la struttura aziendale.

17 Maggio 2022

Trasformazione in s.p.a. di UBI e limitazione del rimborso delle azioni del socio receduto

In ossequio all’art. 28, co. 2 ter, t.u.b., la Banca d’Italia ha adottato nella Circolare n. 285 del 2013 (come successivamente modificata) le disposizioni di attuazione della riforma di cui al c.d. decreto di riforma delle banche popolari (d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 convertito in l. 24 marzo 2015, n. 33), che ha imposto l’obbligo di trasformazione a tutte le banche popolari di maggiori dimensioni. Con tali disposizioni, la Banca d’Italia ha previsto che: (i) le banche, costituite in forma di società cooperativa, muniscano i propri statuti sociali di un’apposita clausola, la quale attribuisca all’organo avente funzione di gestione, sentito l’organo con funzione di controllo, la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio receduto; (ii) la decisione sull’estensione del rinvio o sulla misura della limitazione vada assunta con criterio prudenziale tenuto conto della situazione della banca, valutando in particolare, da una parte, la complessiva situazione finanziaria, di liquidità e di solvibilità della banca o del gruppo bancario e, dall’altra, l’importo del capitale primario di classe e del capitale totale, unitamente ai requisiti specifici di fondi propri e al requisito combinato di riserva di capitale; (iii) il rimborso effettivo sia comunque subordinato all’autorizzazione dell’autorità competente, ai sensi di quanto previsto dall’art. 77 del Regolamento UE 575/2013 e dal Regolamento Delegato UE 241/2014. Alla luce della normativa richiamata, la banca popolare, al momento della trasformazione in s.p.a., ha la facoltà di limitare il diritto di rimborso delle azioni recedute – attraverso il rinvio, anche in toto e sine die, del pagamento del controvalore attribuito alle azioni, oppure attraverso la sua limitazione quantitativa, totale o parziale – qualora, a seguito della valutazione dei parametri indicati dall’autorità di vigilanza, risulti funzionale al mantenimento della stabilità patrimoniale e finanziaria dell’istituto bancario.

L’organo amministrativo è chiamato a tale valutazione disponendo di un margine di discrezionalità tecnica, giacché i citati criteri che debbono orientare ex lege la sua scelta sono costituiti non solo da indici numerici fissi, ma anche da criteri mobili, volutamente elastici, costituiti dalla complessiva situazione finanziaria, di liquidità, di disponibilità della banca o del gruppo bancario. Inoltre, i criteri previsti ex lege non hanno portata esaustiva, potendo infatti la banca ricorrere ad ulteriori canoni di valutazione per orientare le proprie scelte. Ciò si deduce dal tenore dell’art. 10, par. 3, del Regolamento Delegato n. 241/2014, ove è previsto che l’entità della limitazione al rimborso debba essere determinata tenendo conto “in particolare, ma non esclusivamente” dei criteri poi indicati, nonché della norma interna che, attraverso la locuzione “in particolare”, richiama un’elencazione meramente esemplificativa dei canoni soggetti al vaglio dell’organo amministrativo. In tale prospettiva, è corretto valutare l’incidenza del costo del recesso sull’equilibrio patrimoniale della banca e dell’intero gruppo di appartenenza anche in una visione prospettica oltreché attuale, attribuendo rilievo a margini prudenziali supplementari rispetto ai requisiti minimi di patrimonializzazione. La scelta di adottare un tale più ampio margine prudenziale, anche in ossequio al principio di buona fede nello svolgimento del rapporto sociale, va ad ogni modo congruamente motivata esplicitando le ragioni, nonché gli indici patrimoniali e di bilancio che hanno portato ad una tale determinazione. Trovano, così, tutela sia l’interesse del singolo azionista a vedere remunerato il proprio investimento, sia l’interesse dell’istituto di credito alla propria stabilità patrimoniale e finanziaria, sia gli interessi generali di cui è espressione, quali la tutela del risparmio e del mercato.

Il sindacato dell’autorità giudiziaria ha natura estrinseca in quanto non può spingersi a valutare, nel merito, le singole scelte discrezionali che hanno portato la banca a limitare il diritto di rimborso, dovendosi, invece, limitare a vagliare se tali scelte siano motivate, rispondenti ai criteri di legge, non irragionevoli. Il vaglio rimesso al giudice ordinario deve consentire, quindi, di verificare che i limiti di rimborso decisi nell’esercizio di tale facoltà non eccedano quanto necessario, tenuto conto della situazione prudenziale di dette banche, al fine di garantire che gli strumenti di capitale da essi emessi siano considerati strumenti del capitale primario di classe 1, alla luce, in particolare, degli elementi di cui all’art. 10, par. 3, del regolamento delegato n. 241/2014, circostanza che spetta al giudice verificare.

La disciplina generale del diritto di recesso nelle società di capitali riconosce al socio che abbia manifestato la volontà di recesso il pieno diritto di contestare il valore di liquidazione della partecipazione proposto dagli amministratori, ai sensi dell’art. 2437 ter, co. 6, c.c., senza alcuna necessità della preventiva impugnazione per l’annullamento della delibera che lo ha stabilito.

Le regole di comportamento che presidiano la funzione amministrativa, tra le quali quelle di cui agli artt. 2381, co. 6, e 2392, co. 1, c.c. raggiungono un’intensità massima in presenza di beni e/o interessi pubblicistici, come nel caso di amministratori di banche quotate sul mercato azionario. Tra gli obblighi degli amministratori, assumono particolare rilievo quelli di rendere puntuale e completa informativa ai soci sull’andamento dello stato patrimoniale e finanziario della società, cui, simmetricamente, corrisponde il diritto soggettivo del socio o del creditore di essere informato. Tale posizione soggettiva attiva si declina – nell’ipotesi di exit – nel diritto di conoscere il valore di liquidazione delle azioni ex art. 2437 ter, co. 5, c.c., come determinato dagli amministratori. L’obbligo di adeguata informazione è, inoltre, specificato nella Circolare n. 285/2013 di Banca D’Italia, che imponeva alla banca e al suo management di rendere nota ai soci ogni informazione utile al fine di consentire loro un esercizio il più possibile consapevole del diritto di recesso.