Il provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia non riguarda le fideiussioni specifiche
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la l. n. 287 del 1990, art. 2, co. 2, lett. a), e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava su parte attrice l’onere di provare l’effettiva sussistenza di un accordo o intesa anticoncorrenziale a cui abbia aderito la banca e, pertanto, la dimostrazione dell’uniformità nella predisposizione delle previsioni contrattuali oggetto di censura da parte degli istituti di credito nel tempo e nel luogo della fideiussione contestata. Compete all’attore che deduca un’intesa restrittiva provare il carattere uniforme della clausola che si assuma essere oggetto dell’intesa stessa.
Ai fini della pronuncia sulla nullità delle clausole della fideiussione, risulta necessaria la prova dell’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale tra un ampio “cartello” di istituti di credito nel momento della stipulazione dei contratti di garanzia di cui si predica la nullità parziale.
Con provvedimento n. 55 del 02/05/2005, avente ad oggetto il denunziato contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI e l’articolo 2 della L. n. 287 del 1990, la Banca d’Italia – nella sua qualità pro tempore di autorità di vigilanza sulla concorrenza e sul mercato finanziario (oggi deferita all’AGCM) – ha espresso un giudizio negativo in relazione allo schema contrattuale uniforme predisposto dall’associazione bancaria italiana ABI e da alcune associazioni di consumatori avente ad oggetto uno schema di fideiussione omnibus a garanzia delle operazioni bancarie. L’oggetto dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale nel provvedimento della Banca d’Italia del 2005 è costituito dalle condizioni generali della fideiussione c.d. omnibus, ossia di quella particolare garanzia personale di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, assunti dal debitore principale entro un limite massimo predeterminato ai sensi dell’art. 1938 c.c.
Il provvedimento della Banca d’Italia evidenzia che la fideiussione omnibus presenta una funzione specifica e diversa da quella della fideiussione civile, volta a garantire una particolare tutela alle specificità del credito bancario in considerazione della rilevanza dell’attività di concessione di finanziamenti in via professionale e sistematica agli operatori.
In assenza di provvedimenti di natura sanzionatoria emessi dall’Autorità di vigilanza competente che abbia accertato l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, l’onere probatorio relativo alla contestazione di intesa in relazione all’art. 2 L. 287/90 nel settore delle fideiussioni specifiche non può che ricadere sulla parte che ha formulato detta contestazione, secondo le regole proprie del giudizio civile.
Distinzione tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia (garantievertrag)
Una mera clausola di pagamento a prima richiesta non ha rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come contratto autonomo di garanzia o come fideiussione, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita. Per poter configurare un negozio come contratto autonomo di garanzia, è necessario che dal contratto emerga la volontà dei contraenti di rendere autonoma la garanzia, imponendo al garante non solo di pagare immediatamente, ma anche di non sollevare in modo assoluto – anche in un secondo momento – eccezioni. Sebbene l’inserimento dell’inciso “a semplice richiesta” possa, in astratto, essere un indice della volontà delle parti di elidere il nesso di accessorietà tipico della fideiussione, al fine di operare una più corretta qualificazione giuridica dell’impegno assunto dal garante è necessario esaminare l’intero contesto delle pattuizioni contrattuali. In tal senso, quindi assumono rilevanza le ulteriori clausole previste nella fideiussione.
È incompatibile con un contratto autonomo una garanzia che non predetermini in maniera precisa l’oggetto della prestazione del garante, ma lo individui in relazione al debito del debitore principale (limitatamente all’importo massimo garantito), che può variare nel tempo: l’autonomia dell’obbligazione di garanzia rispetto all’obbligazione del garantito, che vale ad escludere la sua accessorietà e la possibilità di proporre le eccezioni del debitore principale, richiede la sussistenza di un contratto (anziché un atto unilaterale di prestazione di garanzia) e la predeterminazione della somma di denaro che il garante in via autonoma si obbliga a corrispondere, in via sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore. Tale contenuto, che risponde al requisito di determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto (art. 1346 c.c.), richiesto a pena di nullità (art. 1418, co. 2, c.c.), non si rinviene esattamente nella fideiussione omnibus che indica solo l’importo massimo garantito e che comporta, da parte del garante, l’impossibilità di conoscere preventivamente la prestazione che si obbliga ad effettuare a semplice richiesta. Una garanzia personale che indica un importo massimo garantito – e la prestazione alla quale sarà tenuto il garante non ha alcun carattere di autonomia rispetto all’obbligazione principale, dalla quale dipende il quantum garantito – può qualificarsi solo come fideiussione per obbligazioni future.
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3 della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Dunque, le polizze fideiussorie sono nulle limitatamente alle clausole riproduttive dello schema ABI in violazione della normativa antitrust, non estendendosi all’intero contratto di garanzia che conserva la propria validità e causa concreta.
In ordine al profilo probatorio deve ritenersi che, in tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della l. n. 287/90, e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento della Banca di Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, co. 11, della L. n. 262 del 2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate. Invece, in assenza di alcun provvedimento di natura sanzionatoria emesso dall’Autorità di vigilanza competente (ora l’AGCM), che abbia accertato l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale in violazione dell’art. 2, co. 2, lettera a) della L. n.287/1990, relativa alla formulazione uniforme dei contratti di fideiussione a valere come prova c.d. privilegiata, l’onere probatorio relativo all’esistenza di una intesa illecita, all’epoca della stipula dei contratti di fideiussione, grava interamente sulla parte che chiede l’accertamento della nullità della fideiussione, per asserita violazione della normativa antitrust.
Intese vietate dalla normativa antitrust: estensione della nullità delle singole clausole all’intero negozio fideiussorio
L’estensione all’intero contratto di fideiussione della nullità che colpisce la singola parte o la singola clausola ha portata eccezionale ed è a carico di chi ha interesse a far cadere del tutto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, restando precluso al giudice di rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto. Tale prova consiste nella dimostrazione che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
Il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, che ha accertato la presenza di clausole idonee a restringere la concorrenza in seno allo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), vale quale prova privilegiata dell’illecito antitrust soltanto con riferimento alle fideiussioni prestate nel periodo di tempo oggetto di esame della Banca medesima. Al fine di accertare l’esistenza a monte di un’intesa vietata, grava sulla parte attrice l’onere dell’allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie d’illecito concorrenziale di cui all’art. 2 della legge n.287/90.
Onere probatorio ai fini dell’accertamento dell’esistenza del conflitto di interessi e dell’illecito di concorrenza sleale
L’esistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il suo amministratore, ai fini dell’annullabilità del contratto, non può essere fatta discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore di contrapposte parti contrattuali, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società ed il suo amministratore. [ LEGGI TUTTO ]
Intese anticoncorrenziali e tutela del consumatore che stipula il contratto a valle
Il provvedimento n. 55 del 2/5/2005 emesso dalla Banca d’Italia in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate. Il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario. Inoltre, va allocato in capo all’attore l’onere della prova dell’adesione, da parte della banca convenuta, alla ipotizzata intesa restrittiva anticoncorrenziale, inclusa la circostanza che la fideiussione omnibus rilasciata sia conforme al modello contrattuale, che si assume lesivo della normativa antitrust e che la libertà di scelta del fideiussore sia stata effettivamente lesa.
La l. 287/1990 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia un interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura, o alla diminuzione, di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte a un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza e, dall’altro, che il cosiddetto contratto a valle costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce un danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione a monte, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno, di cui all’art. 33 della l. 287/1990.
La nullità per violazione della disciplina antitrust è espressamente prevista per le intese illecite tra imprenditori, non anche per i contratti stipulati a valle, rispetto ai quali, qualora costituiscano lo sbocco delle intese illecite e ne rappresentino l’esecuzione, l’ordinamento giuridico riconosce soltanto la tutela risarcitoria a favore del contraente danneggiato.
La nullità dell’intesa a monte non si comunica al contratto collegato a valle. Infatti, per affermare la nullità derivata di un contratto a valle rispetto a quella dichiarata del contratto a monte tra soggetti diversi, salva la prova della illiceità e contrarietà a norma imperativa della convenzione, è necessario dimostrare un nesso di dipendenza delle fideiussioni con la deliberazione dell’ABI ovvero un collegamento negoziale nel suo significato tecnico. Tuttavia, la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata non appare sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica. Inoltre, i contratti conclusi in aderenza alla prassi di seguire gli schemi ABI neppure possono qualificarsi come illeciti ex se, atteso che sebbene l’art. 2 della legge 287/1990 vieti le suddette intese sancendone la nullità ad ogni effetto, nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali tra le imprese parti dell’intesa anticoncorrenziale e altri contraenti. Non è sufficiente la semplice violazione della norma imperativa dell’art. 2 della legge 287/1990, ma occorre che per effetto di tale violazione si determini una situazione di oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la regola negoziale contenuta nei contratti a valle dell’intesa. È dunque necessario che la proibizione contenuta nella norma, che fa divieto alle imprese di conformare la propria condotta e le proprie scelte strategiche secondo standard comportamentali illeciti, investa anche il precetto che le parti si sono date e in base al quale intendono disciplinare i propri rapporti a valle.
Danno cagionato da intese vietate dalle norme antitrust: legittimazione attiva, onere della prova e rilevabilità d’ufficio della nullità parziale
Chiunque, sia impresa o consumatore, ha il diritto di chiedere il risarcimento del danno sofferto per violazione dell’art. 101 o 102 TFUE, quando esiste un nesso di causalità tra tale danno e un’intesa o una pratica vietata dalle norme dell’UE sulla concorrenza.
Valore probatorio delle sanzioni antitrust nel giudizio civile
Nell’ambito del giudizio civile instauratosi successivamente all’irrogazione di una sanzione da parte dell’AGCM per violazione della disciplina a tutela delle concorrenza (fattispecie di abuso di posizione dominante) la delibera assunta dall’AGCM, nonché le decisioni di conferma o riforma dei giudici amministrativi, costituiscono, in relazione all’autorevolezza dell’organo da cui promanano e agli strumenti e modalità di indagine poste in atto dalla medesima Autorità, una prova particolarmente qualificata. Tale efficacia probatoria deve intendersi limitata all’accertamento della posizione rivestita sul mercato dalla società indagata, alla qualifica di tale posizione come dominante, alla sussistenza del comportamento accertato e alla sua qualificazione come abuso di posizione dominante, senza dunque estendersi altresì anche all’accertamento di tutti gli ulteriori elementi necessari alla liquidazione del risarcimento dei danni a favore delle vittime (sussistenza dei danni, nesso di causalità, quantificazione del risarcimento, analisi delle diverse componenti del danno ecc.).
Prova privilegiata in un procedimento di accertamento di pratica antitrust da parte di una banca
L’onere della prova di un illecito antitrust grava sulla parte che ne assume l’esistenza secondo le regole ordinarie del processo civile, ad eccezione dei casi in cui esso sia stato già oggetto di positivo accertamento da parte dell’autorità amministrativa deputata alla vigilanza sul mercato, potendo in tale caso la parte interessata avvalersi di [ LEGGI TUTTO ]