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19 Settembre 2022

Responsabilità degli amministratori e business judgment rule

L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Il thema probandum si articola dunque nell’accertamento di tre elementi: (i) l’inadempimento di uno o più degli obblighi specifici previsti dalla legge o dallo statuto e/o dell’obbligo generale di diligenza previsto dall’art. 2392 c.c. (incombente anche sugli amministratori di s.r.l.), (ii) il danno subito dalla società e (iii) il nesso causale, mentre il danno risarcibile sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante, dunque commisurato in concreto al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, positivo o omissivo, non fosse stato posto in essere.

Nell’ambito di detto accertamento resta invece preclusa l’indagine relativa al c.d. merito gestorio non potendosi valutare la discrezionalità dei singoli atti di gestione sotto il profilo della mera opportunità o convenienza. La gestione della società, infatti, in quanto attività d’impresa, comporta fisiologicamente un alto margine di rischio e richiede il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo all’organo amministrativo in relazione alla scelta delle operazioni da intraprendere. Ne consegue che, se fosse possibile compiere una valutazione sull’opportunità e convenienza delle scelte di gestione, si legittimerebbe un’indebita ingerenza dell’autorità negli affari sociali, in pregiudizio all’autonomia gestionale dell’organo amministrativo e con probabile paralisi del normale svolgimento dell’attività d’impresa. Ciò che forma oggetto di sindacato da parte del giudice, dunque, non può essere l’atto in sé considerato e il risultato che abbia eventualmente prodotto, bensì, esclusivamente, le modalità di esercizio del potere discrezionale che deve riconoscersi agli amministratori. Se, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto, d’altro canto, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Non tutti i comportamenti inadempienti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti inadempimenti.

6 Settembre 2022

Onere probatorio e prova privilegiata nell’azione di nullità di fideiussione omnibus

Con riferimento alla situazione antecedente all’entrata in vigore dell’art. 7 d.lgs. n. 3 del 2017, nei giudizi promossi ai sensi dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990 le conclusioni assunte dall’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, nonché le decisioni del giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riformato quelle decisioni, costituiscono una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, anche se ciò non esclude la possibilità che le parti offrano prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie. Si tratta infatti di documentazione che, raccogliendo gli esiti di un’esaustiva istruttoria avente carattere definitivo, assume valore intrinseco di fonte probatoria privilegiata dell’illecito antitrust.

Al fine di valutare la validità ed efficacia delle clausole impugnate contenute in un contratto di fideiussione, il punto dirimente non attiene tanto alla diffusione di un modulo ABI da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto alla coincidenza delle condizioni contrattuali col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva. L’illiceità derivata dalle intese anticoncorrenziali a monte deve essere affermata se il contenuto delle stesse sia effettivamente trasposto nelle singole clausole dei contratti a valle, dovendosi pur sempre evitare il sillogismo secondo cui l’accertamento dell’intesa illecita comporterebbe in via automatica la nullità dei negozi conclusi tra le imprese aderenti al cartello e i singoli soggetti ad esso estranei.

Con il provvedimento n. 55 del 2005 la Banca d’Italia ha appurato che gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’art. 2, co. 2, lett. a), l. 287/90, evidenziando in particolare come le verifiche compiute nel corso dell’istruttoria avessero mostrato, con riferimento alle clausole esaminate, la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati  dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI e come tale uniformità discendesse da una consolidata prassi bancaria preesistente rispetto allo schema dell’ABI (non ancora diffuso presso le associate), che potrebbe però essere perpetuata dall’effettiva introduzione di quest’ultimo.

In caso di controversia con caratteristiche stand alone – e cioè non direttamente fondata su fatti accertati in sede amministrativa di accertamento della violazione antitrustl’onere probatorio volto a dare fondamento alla contestazione di intesa in relazione al disposto dell’art. 2 l. 287/90 ricade sulla parte che ha formulato la contestazione.

1 Settembre 2022

Inadempimento reciproco in un contratto di coproduzione cinematografica

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento, deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione.

Nel caso in cui le parti abbiano dedotto inadempimenti reciproci in contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento, il giudice di merito non può limitarsi ad esaminare il comportamento di una sola delle parti, ma è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in ordine al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti – tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto – si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.

10 Agosto 2022

L’onere della prova in relazione alla legittimità dell’esclusione del socio di società cooperativa

Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato. Tale redistribuzione dell’onere della prova sui fatti costitutivi della fattispecie non porta alla svalutazione della rilevanza dei motivi posti dal socio a sostegno della propria opposizione, quasi che questa si risolva in una mera sollecitazione al controllo giurisdizionale dell’esclusione indipendentemente dagli argomenti addotti dall’interessato per contestarne la legittimità. L’onere della prova è pur sempre circoscritto a quel che forma oggetto della controversia, i cui confini non possono che essere desunti dal contenuto dell’atto introduttivo del giudizio: senza che il giudice possa, ex officio, ricercare ulteriori ragioni di illegittimità della delibera di esclusione, onerando la società di provarne la conformità a legge e statuto oltre i motivi allegati dal socio.

Non v’è dubbio che compete al giudice di merito la valutazione in concreto dalla riconducibilità dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione. Ed è del pari indubbio che, nel fare ciò, quando la previsione statutaria si riferisca a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, senza enunciare una casistica specifica, quel giudice deve tener conto della rilevanza dalla lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della società, potendosi ragionevolmente ritenere che la regola negoziale contenuta nello statuto sottintenda un elementare criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento addebitato al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo. Sarebbe del resto contrario al fondamentale principio di buona fede l’ammettere che un pregiudizio di scarsa rilevanza, in applicazione di una previsione statutaria di carattere generico, possa provocare una reazione a tal punto radicale. Ma, se tutto questo è vero, ugualmente vero è che il giudice di merito deve dare conto con adeguata e logica motivazione della valutazione in proposito operata, a che tale valutazione egli è tenuto a compiere non perdendo di vista il già richiamato principio di buona fede, cui ovviamente non soltanto il comportamento della cooperativa, ma anche quello del socio, dev’esser improntato. Né deve il giudicante trascurare, in un simile contesto, la rilevanza centrale che ha l’elemento personale nella società cooperativa, essendo questa fondata su un principio solidaristico che necessariamente postula, in misura ancora maggiore di quanto accade in società di altro tipo, il reciproco affidamento dei soci, il venir meno del quale costituisce il sostrato logico necessario di qualsiasi anche più specifica previsione statutaria di comportamenti implicanti l’esclusione.

Offerta in prelazione delle quote quale condizione preliminare alla pronuncia ex art. 2932 c.c.

La previa offerta in prelazione a favore dei soci richiesta dallo statuto in caso di cessione di quote e il mancato esercizio del diritto di prelazione è condizione preliminare ai fini della richiesta di una pronuncia ex art. 2932 c.c. che produca gli effetti del contratto definitivo di vendita di quote societarie non concluso.

Spetta alla parte convenuta e non all’attore dover fornire la prova positiva dell’eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte dei soci in base alle regole generali in tema di ripartizione dell’onere della prova e del principio di vicinanza della stessa.

Eccezione di postergazione del finanziamento soci opposta dalla società espromittente

La clausola, contenuta in un contratto di cessione di quote, per cui la società acquirente si impegna a rimborsare al venditore, entro una certa data, il suo finanziamento alla società ceduta, non può essere dichiarata nulla per difetto del requisito di determinatezza. Se, difatti, l’oggetto dell’obbligazione si identifica nelle prestazioni che le parti sono vincolate ad eseguire, e questo si ritiene determinato laddove sia chiaro alle parti ciò a cui si obbligano, allora deve asserirsi che la clausola dia forma ad un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di dare una somma di denaro, determinata in quanto comprensibile alle parti, oltre che eseguibile mediante un procedimento di mera attuazione (senza, cioè, necessità di alcuna integrazione).

La clausola produce effetti da inquadrarsi nel genus delle modificazioni del lato passivo del rapporto obbligatorio e, specificatamente, nella fattispecie dell’espromissione, descritta dall’art. 1272 c.c. L’espromissione prende forma in un contratto fra il creditore espromissario ed un terzo espromittente, per il tramite del quale quest’ultimo spontaneamente si impegna, nei confronti del primo, a pagare un preesistente debito dell’obbligato originario espromesso, dovendo escludersi che siano giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l’intervento dell’espromittente. L’espromissione si differenzia dall’accollo, disciplinato dall’art. 1273 c.c.,  per la totale estraneità all’operazione negoziale del debitore originario espromesso. Nello schema dell’espromissione, il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario, potendo opporre al creditore  le eccezioni (c.d. comuni) che a quest’ultimo avrebbe potuto opporre il debitore originario, con esclusione delle eccezioni c.d. personali e di quelle che derivano da fatti successivi all’espromissione (art. 1272, comma 3, c.c.).

L’eccezione di postergazione pare rientrare tra quelle c.d. personali, essendo basata su atti e fatti strettamente dipendenti dalla natura di persona giuridica del soggetto finanziato, dalla sua situazione patrimoniale al tempo dei conferimenti posti in essere in suo favore, dal particolare rapporto giuridico di natura societaria esistente tra autore e destinatario del finanziamento. Non potendosi dunque ricomprendere l’eccezione in questione tra quelle c.d. comuni, ne discende che esclusivamente la società che ha contratto il finanziamento soci potrebbe astrattamente opporre al creditore la natura postergata del credito; tale facoltà non è invece riconoscibile in capo alla società espromittente.

Alla stessa conclusione si perviene avendo riguardo anche alla ratio sottesa all’istituto della postergazione, che è quella di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa, priva di adeguati mezzi propri, sia posto a carico dei creditori esterni alla società. Per il tramite dell’art. 2467 c.c., laddove ricorrano le condizioni dettagliate dal comma 2, si persegue l’intento di preferire, in sede di soddisfacimento del credito, i creditori sociali ai soci finanziatori, derivandone che i secondi possono essere rimborsati esclusivamente dopo il completo soddisfacimento dei primi. Al contrario, in relazione all’adempimento, da parte di un terzo, dell’obbligazione di rimborso del finanziamento eseguito dal socio, non si pone alcuna esigenza di salvaguardia del patrimonio della società beneficiaria – di fatto estranea al suddetto rapporto obbligatorio – a fini di tutela dei creditori sociali di quest’ultima, cosicché l’applicazione al caso di specie della disposizione di cui all’art. 2467 c.c. non presenta alcuna effettiva ragion d’essere.

4 Agosto 2022

Non è necessario esperire il procedimento di mediazione per i contenziosi aventi ad oggetto fideiussioni stipulate dalla banca

La fideiussione non costituisce un contratto bancario strictu sensu, essendo invece un contratto di garanzia previsto e disciplinato dal codice civile, con la conseguenza che le controversie che alla medesima afferiscono sono escluse dall’ambito di obbligatorietà della mediazione ex art. 5, co. 1 bis, d.lgs. 28/2010, stante l’autonomia e l’estraneità del contratto di garanzia rispetto quello principale, garantito, cui inerisce. Inoltre, l’accertamento cui è chiamato il tribunale nelle controversie in materia antitrust, ossia la verifica dell’intesa illecita “a monte” da cui deriverebbe la nullità dei contratti “a valle”, per il sol fatto che contingentemente quello a valle sia un contratto bancario, finanziario o assicurativo, non determina la connotazione della controversia come relativa ad un contratto bancario, finanziario o assicurativo, rivolgendosi l’accertamento richiesto al contratto “a valle” non in sé considerato, ma in quanto strumento di ricezione dei contenuti dell’intesa illecita.

In punto di domanda risarcitoria, formulata ex art. 2043 c.c., per violazione della normativa antitrust, oltre che dei principi di correttezza, trasparenza, buona fede e solidarietà, trattandosi di ordinaria azione aquiliana, spetta all’attore allegare e provare, in ossequio ai principi generali in materia di riparto dell’onere della prova, il danno causalmente riconducile all’illecito lamentato ex artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.

Le fideiussioni specifiche riproducenti lo schema ABI relativo alla fideiussione omnibus non sono nulle.

2 Agosto 2022

Onere della prova degli effetti anticoncorrenziali di clausole standardizzate inserite in fideiussioni specifiche

E’ infondata la domanda attorea richiedente la declaratoria della nullità dell’intero contratto di fideiussione specifica, e dunque non omnibus, per violazione dell’art. 2, co. 2, lett. a) e co. 3, l. n. 287/90 deducendo quale prova privilegiata a sostegno della natura anticoncorrenziale delle clausole il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia, in quanto il detto provvedimento si riferisce al contrasto con la suddetta disposizione delle condizioni generali di contratto predisposte dall’ABI nel 2002 e applicate in modo uniforme per le fideiussioni omnibus a garanzia di operazioni bancarie.

Diversamente ai fini della prova degli effetti anticoncorrenziali di clausole standardizzate inserite in contratti di fideiussione specifica non è sufficiente l’allegazione dei moduli contenenti le clausole censurate ma la parte è gravata dall’onere della prova dell’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale e del relativo effetto distorsivo sul mercato, quali indefettibili presupposti della richiesta di nullità della fideiussione.

25 Luglio 2022

Esclusione del socio moroso di società cooperativa edilizia

La società cooperativa edilizia che agisca per l’accertamento della legittimità dell’esclusione del socio moroso, con conseguente decadenza dall’assegnazione dell’alloggio sociale, è tenuta a provare solo l’esistenza del titolo, ossia della fonte negoziale o legale del credito fatto valere, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento del socio; sarà quest’ultimo a dover fornire la prova dell’avvenuto adempimento.

19 Luglio 2022

Responsabilità degli amministratori e business judgment rule

Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore, nello svolgimento delle mansioni al medesimo affidate, non può investire le scelte di gestione ovvero le relative modalità di attuazione, ancorché esse presentino profili di rilevante alea economica, bensì anzitutto la diligenza mostrata dall’amministratore nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, potendo pertanto avere ad oggetto, ad esempio, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni normalmente richieste per operazioni della stessa natura e tipologia e nelle medesime circostanze (regola c.d. “procedurale”; art. 2381, co. 6, c.c.).

La natura dell’obbligazione che incombe sugli amministratori per legge e per statuto – in relazione alla quale è commisurato, in chiave di adempimento, l’obbligo di agire con diligenza – è un’obbligazione di mezzi e non di risultato – attuare l’oggetto sociale nell’interesse della società, non meccanicamente identificabile con quello del socio maggioritario – e che è così configurata (non solo ma) anche perché conforme al principio fondante secondo cui del rischio d’impresa rispondono solo i soci e non gli amministratori. Se di quel rischio non si può far carico agli amministratori, allora ben si comprende il fondamento dell’altro aspetto della regola della c.d. business judgement rule, ossia che gli amministratori rispondono soltanto per scelte del tutto arbitrarie, manifestamente irrazionali (regola c.d. “sostanziale”).

Ne consegue che l’adempimento della “regola procedurale” non ha effetti totalmente scriminanti – ben potendo l’amministratore proceduralmente diligente compiere poi scelte del tutto arbitrarie – e, per converso, il suo inadempimento non essendo di per sé foriero di responsabilità, quando, pur disinformato, l’amministratore non abbia compiuto una scelta gestoria irrazionale o arbitraria.

Il rapporto tra regola sostanziale e regola procedurale può dunque combinarsi, in relazione alla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori, in questo modo: (i) l’onere di provare la correttezza procedurale incombe sugli amministratori chiamati in responsabilità, pur trattandosi di un “onere temperato” in relazione all’onere di allegazione specifica che grava sull’attore; l’adempimento della regola procedurale comporta una presunzione iuris tantum di correttezza sostanziale della decisione assunta dagli amministratori; tuttavia, non è consentito, a livello interpretativo, di parlare di presunzione iuris et de iure, dunque invalicabile, sia perché in fase decisionale  in fase esecutiva ben possono scaturire decisioni ed esecuzioni assolutamente irrazionali o arbitratrie, sia perchè si costruirebbe, in via interpretativa, un inesistente limite positivo alla responsabilità degli amministratori ex art. 2392 c.c.; (ii) se invece quella prova è stata raggiunta ma l’attore (la società che agisce in responsabilità) intende provare comunque l’irrazionalità o arbitrarietà della scelta, l’onere di allegazione e prova incomberanno integralmente su di lui; (iii) se manca l’allegazione o la prova della correttezza procedurale, la prova della non irrazionalità dell’operazione dovrà essere data dall’amministratore convenuto.