Elementi identificativi della figura dell’amministratore di fatto e responsabilità risarcitoria
L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur formalmente privo della qualifica di amministratore, non essendo stato nominato dall’assemblea, ne esercita sostanzialmente le funzioni decisorie, impartendo istruzioni agli amministratori di diritto e condizionando le scelte aziendali. L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.
La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria.
Allo svolgimento di fatto di funzioni gestorie corrisponde il principio di responsabilità per danni eventualmente cagionati; all’amministratore di fatto si applica la medesima disciplina ex artt. 2392-2395, e 2476, c.c. in punto di responsabilità dell’amministratore di diritto per i danni arrecati nell’esercizio delle sue funzioni alla società, ai soci o ai terzi.
Dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146, co. 2, l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma, quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali, implicandone una modifica della legittimazione attiva, ma non dei presupposti. Sicché, dipendendo da rapporti che si trovano già nel patrimonio dell’impresa al momento dell’apertura della procedura concorsuale a suo carico, e che si pongono con questa in relazione di mera occasionalità, non riguarda la formazione dello stato passivo e non è attratta alla competenza funzionale del tribunale fallimentare ex art. 24 l.fall., restando soggetta a quella del tribunale delle imprese, ex art. 3, co. 2, del d.lgs. n. 168 del 2003, propria di tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, da chiunque promosse.
Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., anche se esercitate cumulativamente ai sensi dell’art. 146 l.fall., debbono considerarsi distinte, perché basate su presupposti differenti e soggette a diverso regime giuridico, con particolare riferimento al calcolo dei termini per la prescrizione. Infatti, le due azioni di responsabilità si prescrivono nel termine di cinque anni ex art. 2949 c.c.; tuttavia, la decorrenza del termine varia a seconda del profilo di responsabilità azionato dal curatore. Se il curatore agisce per far valere la responsabilità dei componenti degli organi sociali nei confronti della società ai sensi dell’art. 2393 c.c., il termine decorre da quando è cessata la carica prima del fallimento o da quando il fallimento è stato dichiarato, se il soggetto passivo dell’azione di responsabilità sia in carica in quel momento, in forza della causa di sospensione di cui all’art. 2941, n. 7, c.c. Se il curatore esercita invece l’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., il termine di prescrizione decorra dalla conoscibilità esteriore dell’incapienza patrimoniale e quindi dell’insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti, in forza del dato normativo letterale secondo cui l’insufficienza patrimoniale deve comunque “risultare”, il che può avvenire prima, dopo o al momento del fallimento.
In considerazione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all’amministratore che sollevi la relativa eccezione fornire la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.
La prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c., proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci per mala gestio, decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, o dalla cessazione dalla carica, bensì dal momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti e, per meglio dire, dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza di tale insufficienza. Tale incapacità, consistente nella eccedenza delle passività sulle attività, non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale (che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo) né allo stato di insolvenza, trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo che può essere sia anteriore che posteriore alla dichiarazione di fallimento.
Esclusione del socio di cooperativa edilizia e competenza del Tribunale delle Imprese
La sezione specializzata in materia di imprese è competente anche in ordine alle domande di accertamento dell’occupazione sine titolo e di condanna al rilascio degli immobili, se connesse alla domanda principale relativa all’accertamento della legittimità della delibera di esclusione del socio di cooperativa edilizia. Invero, ai sensi dell’art. 3, co. 3, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, in l. 24 marzo 2012, n. 27, alla sezione specializzata in materia di impresa territorialmente competente è attribuita la competenza anche sulle cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con le cause e i procedimenti previsti dai primi due commi della stessa norma. Tale espressione fa riferimento alle cause e ai procedimenti che presentano un vincolo di connessione oggettiva propria con le cause e i procedimenti previsti dai primi due commi della norma sopra citata, con esclusione quindi della connessione impropria.
Responsabilità per aggravamento del dissesto e quantificazione del danno
La qualifica di amministratore di fatto può essere desunta dalla compresenza di indici sintomatici quali la conservazione del potere di firma ad operare sui conti correnti sociali, la conservazione della disponibilità delle auto di proprietà della società e il compimento, da parte di quest’ultima, di operazioni straordinarie aventi come effetto, anche indiretto, quello di recare esclusivo vantaggio a soggetti che formalmente non rivestono la carica di amministratori della società.
Nel contesto dell’esercizio di un’azione di responsabilità avanzata nei confronti di più amministratori, il tempestivo atto interruttivo della prescrizione rivolto a uno solo di questi è idoneo a interrompere il decorso del termine di prescrizione anche nei confronti degli altri amministratori, in virtù della natura solidale di tale obbligazione.
In presenza di una causa di scioglimento della società e di contestuale violazione dell’obbligo, gravante sugli amministratori, di attenersi a una gestione meramente conservativa dell’integrità patrimoniale, la mancanza della contabilità sociale , o la sua tenuta in modo sommario e non intellegibile, giustifica di per sé la condanna degli amministratori al risarcimento del danno in sede di azione di responsabilità promossa dalla società. In tale ipotesi gli amministratori agiscono in violazione di specifici obblighi di legge, idonei a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale e ad invertire l’onere della prova, normalmente gravante sul curatore, circa l’esistenza del rapporto di causalità tra condotta illecita degli amministratori e conseguente pregiudizio economico.
Qualora l’assenza o la irregolare tenuta delle scritture contabili renda difficile per il curatore quantificare il danno conseguente agli inadempimenti degli amministratori che hanno contribuito ad aggravare il dissesto, il curatore può chiedere al giudice una liquidazione in via equitativa che tenga conto della differenza tra passivo accertato e attivo realizzato nella procedura.
Accertata l’ingiustificata mancanza di determinati beni la cui esistenza è provata in epoca anteriore al fallimento, si presume che il fallito li abbia dolosamente distratti. Tale presunzione è rafforzata dalla mancanza di una corretta tenuta delle registrazioni contabili che rende impossibile la ricostruzione del movimento degli affari del fallito.
Conseguenze giuridiche dell’esclusione del socio di cooperativa a proprietà indivisa
Tra le conseguenze giuridiche previste per legge nei casi di esclusione del socio di una società cooperativa a proprietà indivisa rientra l’obbligo per il socio escluso di corrispondere, a titolo di risarcimento del danno, un’indennità per l’occupazione sine titulo dell’immobile concessogli in godimento dalla società a decorrere dalla delibera di esclusione e fino al rilascio dell’immobile stesso, oltre agli interessi legali e alle spese che la società ha sostenuto per la delibera di esclusione. In via analogica, a tale fattispecie si applica la disciplina prevista dal codice civile in materia di locazione, ai sensi della quale il conduttore in mora è tenuto a corrispondere al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna dell’immobile, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno.
L’onere della prova relativa all’avvenuto pagamento del canone di godimento dell’alloggio assegnato al socio di società cooperativa a proprietà indivisa, calandosi nel contesto di un’azione risarcitoria, incombe sul socio stesso, potendo la società creditrice limitarsi a provare l’esistenza del titolo e ad allegare la circostanza del preteso inadempimento.
Le controversie afferenti ai rapporti societari intercorrenti tra un socio e una società cooperativa rientrano nella competenza della sezione specializzata in materia di imprese.
La prova privilegiata nell’abuso di posizione dominante
Ai fini del risarcimento del danno per violazione delle disposizioni sul diritto della concorrenza, l’art. 7 d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3 dev’essere interpretato nel senso che la decisione definitiva con cui l’autorità garante della concorrenza e del mercato accerta una violazione antitrust costituisce prova privilegiata, nei confronti dell’autore della condotta, della sussistenza del comportamento contestato, salvo che, in sede risarcitoria, sia possibile offrire prove di segno contrario. L’effetto derivante dalla natura di prova privilegiata è, però, circoscritto alla natura della violazione e alla sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non anche al nesso di causalità e all’esistenza e quantificazione del danno, da indagarsi specificamente in sede risarcitoria, dinanzi al giudice civile, secondo gli ordinari criteri di imputazione dell’onere della prova.
Pur tenendo conto della possibile asimmetria informativa esistente tra le parti nell’accesso alla prova, va mantenuto fermo l’onere dell’attore, che agisce per il risarcimento del danno da violazione antitrust, di indicare, in modo sufficientemente plausibile, i seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza e a ledere il suo diritto di godere del beneficio della competizione commerciale, con la precisazione che si deve trattare di elementi di cui egli possa essere in possesso o ai quali possa comunque accedere nella sua ordinaria attività e senza particolari difficoltà. Spetta, invece, al giudice l’onere di valorizzare gli strumenti di indagine e conoscenza che le norme processuali già prevedono, interpretando estensivamente le condizioni stabilite dal codice di procedura civile in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni e consulenza tecnica d’ufficio, al fine di esercitare, anche officiosamente, quei poteri d’indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata. Sussiste, però, un onere per la parte attrice di dare conto di tutti gli elementi di cui possa essere in possesso o ai quali possa comunque accedere nella sua ordinaria attività e senza particolari difficoltà.
Il metodo di accertamento di tipo statistico della violazione antitrust, basato sulla frequenza dell’evento indagato all’interno di un campione rappresentativo, può essere utilizzato dall’autorità amministrativa ai fini dell’adozione del provvedimento sanzionatorio, ma non è, invece, ammesso nell’ambito del processo civile, al fine di inferire l’esistenza del fatto ignoto. La mera successione temporale di eventi, sulla base delle quali sono costruite le rilevazioni statistiche, non è, infatti, idonea a dare conto della corretta ricostruzione delle catene causali che portano alla valutazione di singoli eventi. Un apporto cognitivo di tale natura potrebbe, invero, rivestire al più un mero carattere indiziario o rafforzativo e confermativo di altri elementi di prova, dal complesso dei quali poter accertare il fatto da provare.
Sequestro conservativo nei confronti dell’amministratore di s.r.l.
La natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore sociale implica, in tema di onere della prova, che la società alleghi l’inadempimento degli obblighi gestori in capo all’amministratore, primo tra tutti l’obbligo di conservazione del patrimonio sociale, nonché alleghi e provi il danno e il nesso causale rispetto all’inadempimento, danno che, in caso di atti distrattivi, consisterà nella perdita patrimoniale cagionata dalla relativa sottrazione imputabile all’organo amministrativo. L’amministratore convenuto dovrà, invece, allegare e provare di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio della società e, quindi, che gli atti di disposizione patrimoniale compiuti siano stati adottati nell’interesse della società, oppure di non aver potuto adempiere a detti obblighi conservativi per fatto non imputabile.
Il requisito del periculum in mora per la concessione di un sequestro conservativo richiede la prova di un fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito. Requisito desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio. Il periculum in mora può essere riconosciuto esistente innanzitutto quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore stesso in rapporto all’entità del credito.
Azione di responsabilità del curatore nei confronti dell’ex amministratore
In applicazione dei principi generali sull’onere di allegazione e della prova in tema di responsabilità civile contrattuale, il curatore che agisce verso l’ex amministratore per il risarcimento del danno deve fornire la prova della fonte del suo diritto (la carica di amministratore svolta dal convenuto) e allegare l’inadempimento ai doveri imposti all’amministratore di società dalla legge e dallo statuto, mentre sull’amministratore convenuto incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. Il curatore deve altresì allegare e dimostrare, quali elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, il danno e il nesso di causalità con l’inadempimento dell’amministratore, ma non è tenuto a provare l’imputabilità dell’inadempimento all’amministratore sul quale grava l’onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile ex art 1218 c.c. Tali oneri gravano sul curatore che agisce anche per far valere la responsabilità dell’amministratore verso i creditori sociali, azione cui si attribuisce natura di responsabilità extracontrattuale, dovendo in aggiunta farsi carico non solo di allegare, ma altresì di provare il comportamento dell’amministratore convenuto in violazione del dovere del neminem laedere. In generale, l’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa, o concausa, efficiente del danno, sicché l’allegazione del creditore non può attenere a un inadempimento, qualunque esso sia, ma a un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno.
I doveri imposti dalla legge, dall’atto costitutivo e dallo statuto agli amministratori di società sono assai variegati. In parte risultano puntualmente specificati e s’identificano in ben determinati comportamenti quali, ad esempio, la predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, la tenuta delle scritture contabili, la predisposizione dei bilanci e i prescritti adempimenti fiscali e previdenziali, il divieto di concorrenza, e via elencando. Per il resto, si tratta di doveri il cui preciso contenuto non è sempre facile da specificare a priori, in quanto essi derivano dall’essere l’amministratore preposto all’impresa societaria e dal suo conseguente obbligo di compiere con la necessaria diligenza tutto ciò che occorre per la corretta gestione di essa. Ne discende che anche le conseguenze dannose – per la società e per i suoi creditori – che possano eventualmente scaturire dalla violazione dei suddetti doveri, dovendo essere in rapporto di causalità con quelle violazioni, non sono suscettibili di una considerazione unitaria, ma appaiono destinate a variare a seconda di quale sia stato l’obbligo di volta in volta violato dall’amministratore. In tanto, allora, ha senso parlare dell’individuazione del danno, del nesso di causalità che deve sussistere tra il danno medesimo e la condotta illegittima ascritta all’amministratore, della liquidazione del quantum debeatur e degli oneri di prova che gravano in proposito sulle parti del processo, in quanto si sia prima ben chiarito quale è il comportamento che si imputa all’amministratore di aver tenuto e quale violazione, tra i molteplici doveri gravanti sul medesimo amministratore, quel comportamento ha integrato.
La distinzione tra contratto autonomo di garanzia e fideiussione
Il contratto autonomo di garanzia (c.d. garantievertrag), espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui, attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante. Inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto a un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un “vicario” del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
Il contratto autonomo di garanzia si caratterizza rispetto alla fideiussione per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, derivante dall’esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all’art. 1945 c.c., dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest’ultimo, là dove l’accessorietà della garanzia fideiussoria postula, invece, che il garante ha l’onere di preavvisare il debitore principale della richiesta di pagamento del creditore, ai sensi dell’art. 1952, co. 2, c.c., all’evidente scopo di porre il debitore in condizione di opporsi al pagamento, qualora esistano eccezioni da far valere nei confronti del creditore. Peraltro, se l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale, tuttavia, in presenza di elementi che conducano comunque a una qualificazione del negozio in termini di garanzia autonoma, l’assenza di formule come quella anzidetta non è elemento decisivo in senso contrario.
L’onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale grava sulla parte che ne assume l’esistenza secondo le regole ordinarie del processo civile, ad eccezione dei casi in cui esso sia stato già oggetto di positivo accertamento da parte dell’autorità amministrativa deputata alla vigilanza sul mercato, potendo in tale caso la parte interessata avvalersi di tale prova privilegiata.
Gli effetti della ricognizione del debito
La ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, determinando, ex art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della causa debendi, da cui deriva una semplice relevatio ab onere probandi, che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, che si presume fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, è invalido, si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento.