Inadempimento delle obbligazioni nascenti da un contratto di cessione di quote
La prescrizione applicabile alle obbligazioni avente ad oggetto il pagamento di una prestazione negoziale è quella ordinaria decennale. Il dies a quo, dal quale decorre il termine decennale ex art. 2946 c.c., deve essere individuato nella data dalla quale il credito può essere fatto valere secondo i principi racchiusi nell’art. 2935 c.c.
La (eventuale) natura di ricognizione di debito del verbale assembleare
Il riconoscimento di debito non ha natura negoziale, ma costituisce un atto giuridico in senso stretto di carattere non recettizio, che non richiede una specifica intenzione cognitiva, occorrendo solo che rechi, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli il carattere della volontarietà, potendosi altresì concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore.
Non ha natura ricognitiva del debito di un socio nei confronti della società, in quanto eccessivamente generica, la frase utilizzata nel verbale assembleare che non indichi né la persona del debitore, né la puntuale indicazione della posta creditoria, né la sua quantificazione, né il titolo del credito stesso. Del pari priva di rilevanza, ai fini ricognitivi del debito, è l’indicazione del debito nella proposta di concordato preventivo presentata dal liquidatore della società, ancorché poi fatta propria anche dai commissari giudiziari nella relazione ex art. 172 l. fall. Invero, anche tale ricostruzione promana dalla stessa società creditrice, senza che il socio debitore abbia espresso alcun riconoscimento dell’esistenza del debito.
Competenza e rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa
Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all’ufficio giudiziario. Rientra, invece, nell’ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l’ufficio giudiziario diverso da quello ove la prima sia istituita.
Principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale
Secondo quanto previsto dall’art. 1375 c.c. il contratto sociale deve essere eseguito in buona fede e, pertanto, tutte le determinazioni e decisioni dei soci devono essere valutate nell’ottica della tendenziale migliore attuazione del contratto sociale, dovendosi, perciò, considerare antigiuridico anche un atto che in concreto si presenti come espressione dell’inosservanza dell’obbligo di fedeltà allo scopo sociale e/o del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale.
Ai fini dell’accertamento della condotta del socio contraria ai principi di cui all’art. 1375 c.c. è necessario provare in concreto il pregiudizio patrimoniale effettivamente patito dalla società e la correlazione eziologica tra la condotta inadempiente del socio ed il danno patrimoniale sociale che viene ritenuto imputabile a tale condotta.
Il disposto dell’art. 2697 c.c. si applica anche al giudizio di cognizione che si apre in conseguenza dell’opposizione ex art. 645 ss. c.p.c. e, pertanto, anche in seno a tale procedimento, il creditore è tenuto a provare i fatti costitutivi della pretesa – cioè l’esistenza ed il contenuto della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza – mentre il debitore ha l’onere di eccepire e dimostrare il fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento, ovvero ogni altra circostanza dedotta al fine di contestare il titolo posto a base della pretesa avversa o gli eventi modificativi del credito azionato in sede monitoria.
Dal disposto dell’art. 2697 c.c. si desume il principio della presunzione della persistenza del credito, in forza del quale, ove il creditore dia la prova della fonte negoziale o legale della propria pretesa, la persistenza del credito si presume ed è, perciò, onere del debitore provare di aver provveduto alla relativa estinzione o dimostrare gli altri atti o fatti allegati come eventi modificativi o estintivi del credito vantato da parte avversa.
La domanda di ripetizione delle somme da corrispondersi in forza della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto deve ritenersi implicitamente contenuta nell’istanza di revoca del decreto stesso, senza necessità di esplicita richiesta della parte, atteso che l’azione di restituzione non si inquadra nella condictio indebiti, sia perché si ricollega ad una specifica ed autonoma esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale antecedente, sia perché in tal caso (come in quello di ripetizione di somme pagate in esecuzione di una sentenza di appello, o di una sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, riformata in appello) il comportamento dell’accipiens non si presta a valutazioni di buona fede o mala fede, ai sensi dell’art. 2033 c.c., non potendo venire in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà di suoi effetti.
Improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo
In caso di notifica dell’opposizione a decreto ingiuntivo effettuata oltre i termini perentori di cui all’art. 641 c.p.c. e in assenza dei presupposti per l’opposizione tardiva prevista dall’art. 650 c.p.c., la dichiarazione di improcedibilità dell’opposizione travolge la domanda riconvenzionale dell’opponente, assorbendone tutte le ulteriori valutazioni in merito alle altre eccezioni e domande svolte.
Non può essere fatta valere in sede di opposizione a decreto ingiuntivo la nullità del lodo arbitrale per difetto di competenza dell’arbitro qualora tale difetto non sia stato fatto valere in sede di giudizio di impugnazione del lodo.
Non può trovare accoglimento l’eccezione di nullità di lodo arbitrale, sollevata in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da parte del socio di società cooperativa, nel caso in cui quest’ultimo non abbia fatto valere tale eccezione in sede di giudizio di impugnazione del lodo arbitrale.
Opposizione a decreto ingiuntivo e mancato rimborso del finanziamento soci
Eccezione di postergazione del finanziamento soci opposta dalla società espromittente
La clausola, contenuta in un contratto di cessione di quote, per cui la società acquirente si impegna a rimborsare al venditore, entro una certa data, il suo finanziamento alla società ceduta, non può essere dichiarata nulla per difetto del requisito di determinatezza. Se, difatti, l’oggetto dell’obbligazione si identifica nelle prestazioni che le parti sono vincolate ad eseguire, e questo si ritiene determinato laddove sia chiaro alle parti ciò a cui si obbligano, allora deve asserirsi che la clausola dia forma ad un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di dare una somma di denaro, determinata in quanto comprensibile alle parti, oltre che eseguibile mediante un procedimento di mera attuazione (senza, cioè, necessità di alcuna integrazione).
La clausola produce effetti da inquadrarsi nel genus delle modificazioni del lato passivo del rapporto obbligatorio e, specificatamente, nella fattispecie dell’espromissione, descritta dall’art. 1272 c.c. L’espromissione prende forma in un contratto fra il creditore espromissario ed un terzo espromittente, per il tramite del quale quest’ultimo spontaneamente si impegna, nei confronti del primo, a pagare un preesistente debito dell’obbligato originario espromesso, dovendo escludersi che siano giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l’intervento dell’espromittente. L’espromissione si differenzia dall’accollo, disciplinato dall’art. 1273 c.c., per la totale estraneità all’operazione negoziale del debitore originario espromesso. Nello schema dell’espromissione, il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario, potendo opporre al creditore le eccezioni (c.d. comuni) che a quest’ultimo avrebbe potuto opporre il debitore originario, con esclusione delle eccezioni c.d. personali e di quelle che derivano da fatti successivi all’espromissione (art. 1272, comma 3, c.c.).
L’eccezione di postergazione pare rientrare tra quelle c.d. personali, essendo basata su atti e fatti strettamente dipendenti dalla natura di persona giuridica del soggetto finanziato, dalla sua situazione patrimoniale al tempo dei conferimenti posti in essere in suo favore, dal particolare rapporto giuridico di natura societaria esistente tra autore e destinatario del finanziamento. Non potendosi dunque ricomprendere l’eccezione in questione tra quelle c.d. comuni, ne discende che esclusivamente la società che ha contratto il finanziamento soci potrebbe astrattamente opporre al creditore la natura postergata del credito; tale facoltà non è invece riconoscibile in capo alla società espromittente.
Alla stessa conclusione si perviene avendo riguardo anche alla ratio sottesa all’istituto della postergazione, che è quella di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa, priva di adeguati mezzi propri, sia posto a carico dei creditori esterni alla società. Per il tramite dell’art. 2467 c.c., laddove ricorrano le condizioni dettagliate dal comma 2, si persegue l’intento di preferire, in sede di soddisfacimento del credito, i creditori sociali ai soci finanziatori, derivandone che i secondi possono essere rimborsati esclusivamente dopo il completo soddisfacimento dei primi. Al contrario, in relazione all’adempimento, da parte di un terzo, dell’obbligazione di rimborso del finanziamento eseguito dal socio, non si pone alcuna esigenza di salvaguardia del patrimonio della società beneficiaria – di fatto estranea al suddetto rapporto obbligatorio – a fini di tutela dei creditori sociali di quest’ultima, cosicché l’applicazione al caso di specie della disposizione di cui all’art. 2467 c.c. non presenta alcuna effettiva ragion d’essere.
Incompetenza territoriale ed estinzione per compensazione del credito ingiunto dalla società
Legittimità del potere ispettivo dei consorzi sul corretto adempimento degli obblighi consortili
E’ priva di fondamento l’opposizione a D.I. che abbia quale motivo di opposizione la mancanza di una norma di legge che attribuisca ai consorzi il potere ispettivo, in quanto basti considerare che l’art. 2605 c.c. espressamente prevede che i consorziati debbano consentire i controlli e le ispezioni da parte degli organi previsti dal contratto al fine di accertare l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte. Così, la partecipazione a consorzi costituti ai sensi dell’art. 224 D.lgs. n. 152/2006, vincola i consorziati all’osservanza delle specifiche previsioni dello statuto approvato dalle autorità ministeriali competenti, e costituisce una violazione dello statuto e legittima causa di irrogazione di una sanzione prevista dallo stesso la mancata collaborazione e messa a disposizione al consorzio delle informazioni necessarie alla verifica dell’esatto e tempestivo adempimento degli obblighi consortili. La violazione della norma statutaria non è esclusa per la mera manifestazione della disponibilità a consegnare la documentazione indicata dal consorzio, in quanto è evidentemente differente dall’attività di ispezione mediante l’accesso ai locali sociali della consorziata.