Presupposti della concessione abusiva di credito
La concessione abusiva di credito sussiste allorquando il finanziatore conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in stato d’insolvenza o comunque di crisi conclamata. Con riguardo ai profili civili risarcitori, dalle condotte di abusivo ricorso e di abusiva concessione del credito possono derivare danni alla società amministrata o finanziata: in particolare, il danno tipicamente ricollegato a tali condotte è, sul piano economico, la diminuita consistenza del patrimonio sociale e, sul piano contabile, l’aggravamento delle perdite favorite dalla continuazione dell’attività d’impresa. Ai fini della configurabilità della responsabilità del soggetto finanziatore, il curatore ha l’onere di dedurre e provare: (i) la condotta violativa delle regole che disciplinano l’attività bancaria, caratterizzata da dolo o colpa, intesa come imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c.p.; (ii) il danno-evento, dato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita; (iii) il danno-conseguenza, rappresentato dall’aumento del dissesto; (iv) il rapporto di causalità fra tali danni e la condotta tenuta.
Nel caso di pagamenti preferenziali, il danno cagionato si configura come un danno da mancata falcidia del credito pagato per intero ovvero da maggiore falcidia dei crediti ammessi; esso è dunque pari alla differenza tra quanto il creditore ha acquisito a titolo di pagamento e quanto avrebbe acquisito in moneta fallimentare, tale essendo l’ammontare della somma che, in mancanza di pagamento, sarebbe stata ripartita, secondo le relative regole, tra tutti gli altri creditori.
In tema di azione revocatoria, la conoscenza in capo all’altra parte dello stato di insolvenza di cui all’art. 67, co. 2, l. fall. (i.e., il requisito soggettivo) deve essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo la concreta situazione psicologica della parte nel momento dell’atto impugnato e non pure la semplice conoscibilità oggettiva e astratta delle condizioni economiche della controparte. La relativa prova è a carico della procedura che agisce, la quale può assolvere a tale onere anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti ex artt. 2727 e 2729 c.c., posto che la legge non pone limiti in merito.
Lo stato d’insolvenza consiste in una situazione di impotenza economica che si realizza allorquando l’imprenditore non è più in grado di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, in quanto sono venute meno le necessarie condizioni di liquidità e di credito. La sussistenza dello stato d’insolvenza non è esclusa dalla circostanza che l’attivo superi il passivo e dall’assenza di conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. L’insolvenza si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Ai fini dell’accertamento dell’avvenuta percezione da parte dell’accipiens dei sintomi conoscibili dello stato di insolvenza deve tenersi conto delle qualità e delle specifiche conoscenze tecniche del creditore, delle sue qualità personali e professionali, nonché delle condizioni in cui si è trovato concretamente a operare, così da far ritenere che egli, facendo uso della normale prudenza e avvedutezza, non potesse non percepire i sintomi rivelatori della situazione di decozione del debitore. La misura della diligenza richiesta va parametrata alla categoria di appartenenza del terzo e all’onere di informazione tipico del settore di operatività.
L’esenzione dalla revocatoria prevista all’art. 67, co. 3, lett. b, l. fall. prescinde dalla natura solutoria o ripristinatoria della rimessa e quindi dal fatto che la stessa afferisca a un conto scoperto o solo passivo, ma impone al giudice del merito di accertare la revocabilità della rimessa stessa avuto riguardo, oltre che alla consistenza, alla durevolezza di essa. Tale accertamento non può essere surrogato dalla semplice quantificazione della differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle pretese della banca nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse alla data in cui si è aperto il concorso. Occorre accertare, caso per caso, che il versamento sia stato riassorbito da successive operazioni di addebito con un riutilizzo della somma rispondente alle finalità cui assolve il servizio di cassa che il conto corrente bancario è idoneo a svolgere per sua stessa natura. Il duplice riferimento alla durevolezza e alla consistenza può anche essere inteso come riferimento a una riduzione dell’esposizione che permanga durevole, cioè che sia di importo e di durata tale da attestare come il rientro non sia fisiologico alla vita di un conto attivo per la vita della società, cioè caratterizzato da continue movimentazioni, ma sia divenuto di fatto funzionale a soddisfare il credito della banca che si riduca stabilmente con rientri consistenti anche se non necessariamente definitivi, non potendo, invece, operare la previsione nella differente ipotesi, ad esempio, di un conto corrente congelato.
Finanziamenti soci e pagamenti preferenziali effettuati in condizione di crisi
La fattispecie del finanziamento di natura postergata ai sensi dell’art. 2467 c.c. necessita dei seguenti presupposti: sotto il profilo soggettivo, che il finanziamento sia effettuato dai soci, i quali si presume siano a conoscenza dello stato di squilibrio patrimoniale della società; sotto il profilo oggettivo, che i finanziamenti siano concessi in un momento in cui, attesa la situazione di squilibrio patrimoniale e finanziaria, sarebbe ragionevole un conferimento.
La ratio di tale istituto consiste infatti nell’esigenza di tutelare la massa dei creditori dalla condotta dei soci, i quali, non conferendo capitale ma operando finanziamenti, traslano in tale guisa il rischio di impresa sugli altri creditori, proseguendo così l’attività sociale in danno di questi ultimi e producendo, pertanto, una alterazione dei loro interessi nei confronti della società.
È necessario, inoltre, che al momento della richiesta del rimborso persista lo squilibrio finanziario e/o patrimoniale da parte del socio finanziatore, rispetto al quale gli amministratori sono tenuti ad eccepire la condizione di inesigibilità del credito derivante dalla postergazione, in presenza di altri creditori insoddisfatti. Pertanto, la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento, ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi. Il credito postergato è, infatti, inesigibile, e pertanto insuscettibile di rimborso al socio, fintanto che non siano prima soddisfatti i creditori sociali. La postergazione opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma.
Va altresì precisato che: il credito qualificato come postergato conserva tale caratteristica anche se ceduto, secondo le regole generali (art. 1263 c.c.); il rimedio esaminato si estende anche ai finanziamenti atipici; infine, sotto il profilo probatorio, è onere della parte che rileva il carattere postergato dei finanziamenti dimostrare la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 2467 c.c.
Il danno da indebito pagamento del credito postergato si identifica con la differenza tra quanto il creditore ha ricevuto e quanto lo stesso, adottando un giudizio controfattuale, avrebbe ricevuto se si fosse rispettata la graduazione dei crediti. Il pagamento preferenziale effettuato in una situazione di dissesto costituisce un pregiudizio non solo per il singolo creditore ma anche per l’intero patrimonio sociale che, a seguito del pagamento illegittimo, risulta ridotto in misura superiore rispetto a quanto sarebbe accaduto se il pagamento fosse stato effettuato. Il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori. Infatti, la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare. Del resto, anche dal punto di vista strettamente contabile, il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.
Quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione, quindi in violazione della par condicio creditorum, costituisce un fatto generativo di responsabilità degli amministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservative dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi.