Presupposti per la concessione del sequestro conservativo di beni degli amministratori di una s.r.l. fallita
Ai sensi dell’art. 671 c.p.c., il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. Per la concessione dell’invocato provvedimento cautelare è richiesta la coesistenza dei due requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, intesi, il primo, come dimostrazione della verosimile esistenza del credito per cui si agisce, essendo infatti sufficiente, in base ad un giudizio necessariamente sommario e prognostico, la probabile fondatezza della pretesa creditoria e, il secondo, come timore di perdere la garanzia costituita dal patrimonio del debitore.
Il requisito del periculum in mora non deve consistere nel mero timore soggettivo del creditore di perdere le garanzie del proprio credito, ma deve concretarsi in una situazione di pericolo reale e oggettivo, evincibile sia da elementi oggettivi (concernenti la sopravvenuta inadeguatezza – qualitativa o quantitativa – del patrimonio del debitore rispetto al presunto credito da tutelare), sia da elementi soggettivi (desumibili dal comportamento del debitore che renda verosimile l’eventualità di un depauperamento del suo patrimonio). Quindi, a differenza dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., nella disciplina sul sequestro conservativo il legislatore non richiede la sussistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile, ma esclusivamente la concreta possibilità che il patrimonio del debitore risulti inadeguato al soddisfacimento del credito.
Per effetto del fallimento di una società di capitali, le fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori e i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità di questi verso la società, quanto a quelli della responsabilità verso i creditori sociali. Ebbene, l’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale. La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.
Sono da considerarsi astrattamente efficienti a produrre un danno che si assuma corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita ed accertato nell’ambito della procedura concorsuale quegli inadempimenti “qualificati” dell’amministratore di società, allegati quale ragione della domanda risarcitoria, che integrano violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio a cagione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza In considerazione della mancata consegna delle scritture contabili il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare: tale criterio può essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Buona fede e correttezza nell’esercizio del diritto di consultazione del socio di s.r.l.
L’art. 2476 c.c. riconosce ai soci il diritto di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. Segnatamente, in analogia con quanto previsto dall’art. 2261 c.c. in tema di controllo sulla gestione di società di persone da parte dei soci che non partecipano alla relativa amministrazione, anche nelle società a responsabilità limitata il diritto alla consultazione dei libri e documenti sociali è riconosciuto a qualunque socio non amministratore, indipendentemente dalla consistenza della partecipazione di cui lo stesso sia titolare. In particolare, il diritto di cui si discute – strumentale all’esercizio del potere di controllo accordato al socio – attiene alla consultazione di tutti i documenti afferenti all’amministrazione della società, dal momento della relativa costituzione, e comprende, quale necessario corollario, anche la facoltà di estrarre copia dei documenti esaminati (naturalmente a spese del socio interessato).
Il diritto di controllo del socio non amministratore, non a caso disciplinato nell’ambito dell’art. 2476 c.c., soddisfa l’esigenza di acquisizione di informazioni utili in merito alle modalità di effettivo svolgimento della funzione gestoria da parte degli amministratori ed è funzionale, altresì, all’esperimento dell’azione sociale di responsabilità promuovibile in via surrogatoria da ciascun socio, nonché dell’azione di revoca dell’organo gestorio.
Il diritto di consultazione ex art. 2476, co. 2, c.c. spettante al socio non amministratore di s.r.l., in quanto strumentale all’esercizio del fondamentale potere di controllo, non tollera limitazioni di sorta, se non quelle connesse alla generale operatività del principio di buona fede e correttezza.
In omaggio al principio di buona fede e correttezza sono da considerare illegittimi i comportamenti che risultino rivolti a fini diversi da quelli strettamente informativi. Il socio è infatti tenuto ad astenersi da una ingerenza nell’attività degli amministratori per finalità di turbativa dell’operato di questi ultimi con la richiesta di informazioni di cui il socio non ha effettivamente bisogno al solo scopo di ostacolare l’attività sociale; in tal caso l’esercizio del diritto non potrebbe ricevere tutela in quanto mosso da interessi ostruzionistici. Parimenti contraria a buona fede è la condotta del socio che eserciti il controllo in modo contrastante con l’interesse sociale. In siffatti casi, sussiste un vero e proprio obbligo degli amministratori di rifiutare informazioni sociali riservate, considerato anche che gli amministratori potrebbero rendersi responsabili verso la società per l’indebito uso delle informazioni da parte del socio ai danni della società.
Sia che si invochi il limite generale derivante dai doveri di correttezza e buona fede, sia che si invochi la figura dell’abuso del diritto, è certo che i soci non possano esercitare i propri diritti di controllo con modalità tali da recare intralcio alla gestione societaria ovvero da svantaggiare la società nei rapporti con imprese concorrenti: una scelta puramente emulativa o vessatoria o antisociale di tempi e modi dei diritti di controllo farebbe, infatti, esorbitare questi ultimi dallo scopo per cui sono stati concessi dall’ordinamento ai soci stessi.
Fra le esigenze che possono legittimare la società a richiedere il rispetto di determinate condizionalità e modalità di accesso e, financo, di precludere la visione di taluni documenti o informazioni in essi riportati, rientrano la salvaguardia dei dati e del know-how aziendale e la prevenzione di un uso strumentale del diritto di ispezione da parte del socio; segnatamente, non indirizzato a fini di controllo individuale, quanto piuttosto a scopi concorrenziali, avuto riguardo alla concreta posizione del socio richiedente che renda verosimili e seri i rischi di utilizzo abusivo della documentazione riservata.
Qualora le circostanze facciano presagire un comportamento del socio contrario a buona fede nei rapporti sociali, è ammissibile che la società subordini l’esercizio del diritto di ispezione a specifiche proprie richieste. Tra queste, l’oscuramento dei dati sensibili, anche di natura commerciale, sulle copie dei documenti maggiormente rilevanti ovvero la firma di impegni di non disclosure da parte del socio. Tuttavia, tali prassi devono trovare giustificazione, in concreto, dal pregiudizio che potrebbe conseguire alla società dalla divulgazione a terzi delle informazioni oggetto di ostensione al socio ovvero dall’utilizzo delle stesse da parte del medesimo. Ciò a maggior ragione poiché l’assenso da parte degli amministratori della società ad una richiesta di ispezione pretestuosa potrebbe esporre gli amministratori a responsabilità verso la società per i danni ad essa arrecati dall’indebito uso delle informazioni da parte del socio.
Al di là delle limitazioni derivanti dall’operatività del principio di buona fede e correttezza, l’ingiustificato procrastinarsi del rifiuto da parte degli amministratori all’accesso del socio alla documentazione sociale vale, di per sé, ad integrare il periculum in mora che giustifica l’emissione di un provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., poiché il ritardo lede il diritto di controllo del socio medesimo sull’amministrazione della società e l’esercizio dei poteri connessi sia all’interno della società che mediante eventuali iniziative giudiziarie.
Proprio in quanto fondamentale strumento per l’esercizio dei poteri di controllo spettanti al socio non amministratore, il diritto alla consultazione ed eventuale estrazione di copie deve intendersi riferito a tutti i libri sociali e documenti relativi alla gestione. Quindi, integra una seria e grave lesione di tale diritto anche la preclusione dell’esame di taluni soltanto dei documenti richiesti.
Sequestro giudiziario di quote da parte del fiduciante
Ai fini della concessione del sequestro giudiziario di quote detenute dal titolare in forza di un negozio fiduciario, rappresentando quest’ultima una fattispecie di interposizione reale di persona, occorre che il fiduciante dia prova, quanto al fumus boni iuris, dell’esistenza del patto fiduciario e, quanto al periculum in mora, dell’esercizio di diritti dispositivi e/o amministrativi legati alla quota che sterilizzino la tutela reale del fiduciante. In particolare, con riferimento all’esistenza del patto fiduciario, in mancanza di prova scritta del patto medesimo, l’onere probatorio può intendersi assolto anche tramite il ricorso ad una serie di indizi gravi e concordanti di natura preventiva, oltre che mediante testimoni e presunzioni, essendo il pactum fiduciae sussumibile allo schema del mandato senza rappresentanza. Con riferimento al periculum in mora occorre provare che il fiduciario stia ponendo in essere atti di gestione della quota che possano anche solo in astratto frustrare le aspettative del socio fiduciante.
Il periculum in mora nella sospensione dell’esecuzione della delibera assembleare
Ai fini dell’accoglimento della domanda di sospensione cautelare di una delibera assembleare, l’art. 2378 c.c. stabilisce che debba farsi luogo alla comparazione fra due situazioni di pregiudizio fra loro opposte, derivanti l’una dalla esecuzione e l’altra dalla sospensione della delibera impugnata. Tale quadro normativo sottende un generale interesse della società alla stabilità delle delibere impugnate (a prescindere dal loro contenuto), interesse che è destinato a cedere soltanto di fronte al fatto che il pregiudizio del socio (derivante dall’esecuzione della delibera) sia maggiore di quello della società (derivante dalla sospensione della stessa). In tale ricostruzione normativa non può trovare spazio un interesse in astratto della società alla legittimità di una certa categoria di delibere [nel caso di specie, quella di nomina dei liquidatori]. L’ipotetica sussistenza di tale interesse comporterebbe, infatti, che per tale categoria di delibere, verrebbe meno la necessità di operare la comparazione dettata dall’art. 2378 c.c., essendo sufficiente, per disporne la sospensione, la mera sussistenza del fumus bonis iuris, che fonderebbe al contempo l’interesse della società alla sospensiva. Ciò si pone però in diretto contrasto con la disposizione dell’articolo in esame che in nessun caso prevede che la sospensione possa essere disposta in presenza del solo fumus boni iuris, prescindendo dalla suddetta valutazione comparativa.
Costituzione abusiva di pegno su partecipazioni sociali e tutela cautelare d’urgenza
Sospensione di delibere assembleari di s.p.a.
Sul periculum in mora per il sequestro conservativo. Diritto di regresso del condebitore solidale nei confronti degli altri condebitori
Il periculum in mora per il sequestro conservativo è desumibile, alternativamente, sia da elementi oggettivi, riguardanti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati invece da comportamenti del debitore che lascino presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, egli possa porre in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio.
Il condebitore solidale che paga al creditore una somma maggiore rispetto a quella dovuta ha diritto di regresso anche se non ha corrisposto l’intero, giacché anche in tal caso, come in quello del pagamento dell’intero debito, egli ha subito un depauperamento del proprio patrimonio oltre il dovuto, con corrispondente indebito arricchimento dei condebitori.
Principio di libertà delle forme ed esercizio del diritto di prelazione nella cessione di quote di s.r.l.
Nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione di quota di s.r.l. è valida ed efficace in virtù del semplice consenso manifestato dalle stesse, non richiedendo la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem. La forma di cui all’art. 2470 c.c. rileva solo ai fini dell’opponibilità nei confronti della società. Ne deriva che, in presenza di un contratto di opzione di acquisto di quote di una s.r.l., che conferisca ad una parte la facoltà di accettare la proposta di vendita formulata dalla controparte, il momento del definitivo effetto traslativo è segnato dall’accettazione dello stipulante, non essendo richiesta né l’adozione di una forma particolare né la stipulazione con un unico atto di cessione ed in un unico contesto temporale [nel caso di specie, due soci titolari dell’intero pacchetto societario avevano espresso chiaramente una volontà di dismissione della propria quota in contrasto con l’esercizio del diritto di prelazione sulla quota dell’altro].
Sui requisiti per la concessione del sequestro conservativo e sui limiti del mandato a costituire una società di persone
La concessione del sequestro conservativo, misura cautelare di carattere patrimoniale finalizzata a tutelare la fruttuosità dell’eventuale espropriazione forzata, è subordinata alla sussistenza, accertata sulla base di un’indagine meramente sommaria, del fumus boni iuris, vale a dire di una situazione che consenta di ritenere probabile la fondatezza della pretesa creditoria, e del periculum in mora, cioè del fondato timore di perdita della garanzia del credito vantato. Tuttavia, quanto al primo dei suddetti requisiti, il credito in relazione al quale viene domandato il sequestro, anche se non liquido o esigibile deve ad ogni modo essere attuale, ossia non meramente ipotetico od eventuale. Né si può sostenere, in ragione della sommarietà della delibazione, che non si possa e non si debba tener conto dell’andamento della causa di merito sottostante cui è necessariamente correlata la tutela.
Il mandato a costituire una società di persone con intestazione fiduciaria ad alcune persone a vario titolo coinvolte nella società ‘madre’ sconta il limite di cui all’art. 2479 c.c. Infatti, deve ritenersi riservata alla competenza dei soci la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.
Il negozio concluso dal falsus procurator, o da chi abbia sorpassato i limiti delle facoltà conferitegli dal dominus, integra una fattispecie soggettivamente complessa a formazione successiva, la quale si perfeziona con la ratifica del dominus. Inteso come negozio in itinere o in stato di pendenza, ma suscettibile di essere perfezionato in un secondo tempo, mediante la ratifica dello pseudo rappresentato, un tale negozio non è nullo e neppure annullabile, dal momento che ciò che è nullo è privo di ogni potenzialità di perfezionamento, mentre il negozio annullabile spiega i suoi effetti sin dall’inizio e li mantiene finché non intervenga l’eventuale pronuncia di annullamento, che valga a rimuovere quegli effetti. Il negozio posto in essere da chi sia privo del potere rappresentativo è un negozio perfetto, ma privo di efficacia. Peraltro, tale inefficacia (temporanea) del contratto, proprio perché non si verte in ipotesi di nullità, non è rilevabile d’ufficio, ma soltanto su eccezione di parte, mentre legittimato a sollevare tale eccezione, cioè a dolersi dell’operato di colui che abbia stipulato il contratto come rappresentante senza averne i poteri, è unicamente lo pseudo rappresentato, non anche l’altro contraente, al quale compete eventualmente solo il risarcimento del danno per avere confidato senza colpa sulla efficacia del contratto.
Scissione parziale e tutela cautelare del credito
Considerando che la scissione non costituisce cessione a terzi in senso pieno e, in particolare, che i soggetti scaturiti dalla scissione rispondono solidalmente, nei limiti del patrimonio ricevuto, dei debiti della scissa non soddisfatti alla data della scissione (2506 quater c.c.), non può dirsi che la scissione da sola comporti automaticamente pregiudizio alle ragioni del creditore, che vede anzi moltiplicarsi il numero dei debitori. Se così fosse, poiché non esistono società senza debiti, ogni scissione sarebbe per ciò solo lesiva e revocabile.