Decorrenza del termine prescrizionale delle azioni verso i revisori e le società di revisione: questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, D.Lgs. n. 39/2010
L’art. 15, co. 3, del D.Lgs. n. 39/2010 differenzia irragionevolmente la disciplina di decorrenza del termine di prescrizione delle azioni risarcitorie proponibili ex contractu o ex delicto nei confronti dei revisori rispetto a quella prevista con riferimento alla prescrizione delle stesse azioni proponibili nei confronti degli amministratori e dei sindaci, determinando altresì, con ciò, un ostacolo irragionevole all’esercizio dei diritti risarcitori della società, dei soci e dei terzi, compresi i creditori. La differenza sta nel fatto che nel secondo caso – azioni verso amministratori e sindaci – in conformità ai principi generali, il termine decorre dal momento in cui i danneggiati hanno conoscenza del danno subito, momento da valutare secondo criteri obiettivi. Nel primo, invece, il termine decorre dalla data della relazione di revisione, cioè da un termine fisso, identificabile in un comportamento bensì generativo del danno ma in modo per nulla affatto immediato e privo di alcun rapporto con il manifestarsi del danno medesimo. Quest’ultimo regime di decorrenza della prescrizione pone un ostacolo effettivo alla tutela dei diritti risarcitori della società, dei soci e dei terzi, poiché determina la rilevanza a fini prescrizionali di un periodo di tempo – quello tra la data della relazione di revisione ed il momento (da valutarsi secondo criteri oggettivi) di conoscenza del danno da parte del danneggiato – in cui al danneggiato stesso non è imputabile alcuna inerzia nell’esercizio del suo diritto.
Si pongono allora con particolare evidenza un aspetto di irragionevole discriminazione rispetto alla disciplina del decorso del termine prescrizionale previsto per le azioni verso amministratori e sindaci ed un profilo di irragionevolezza intrinseca della previsione normativa qui censurata; sicché va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, co. 1, e 24, co. 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, co. 3, D.Lgs. n. 39/2010, nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione delle azioni nei confronti di revisori e società di revisione decorre dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.
Questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, recante disciplina di favore per i revisori in tema di prescrizione
L’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, per il quale il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione della responsabilità dei revisori deve essere individuato nella data della relazione di revisione sul bilancio emessa al termine dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento, costituisce lex specialis, di indubbio favore, che esclude l’applicabilità in via analogica delle regole dettate per l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci con i quali pure il revisore sia chiamato in correità; e che ricomprende indistintamente tutte le azioni risarcitorie, di qualunque natura, esperibili ai sensi del medesimo art. 15 contro il revisore dalla società revisionata come anche dai soci di questa e dai terzi in genere. Tale norma presenta caratteri di possibile illegittimità costituzionale [pertanto, il tribunale ha sollevato, con separata ordinanza, quesitone di legittimità dell’art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010].
La mancanza di autorizzazione del giudice delegato al curatore perché intraprenda un giudizio, concernendo un’attività svolta nell’esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria con effetto ex tunc, anche mediante successiva autorizzazione nel corso del processo, purché l’inefficacia degli atti non sia stata nel frattempo già accertata e sanzionata dal giudice.
L’atto di citazione, pur se invalido come domanda giudiziale, inidoneo cioè a produrre effetti processuali, può tuttavia valere come atto di costituzione in mora, ed avere perciò l’efficacia interruttiva della prescrizione, qualora, per il suo specifico contenuto e per i risultati cui è rivolto, possa essere considerato come richiesta scritta stragiudiziale di adempimento rivolta dal creditore al debitore ex art. 2943, co. 4, c.c.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali. L’azione ex art. 146 l.fall. implica una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti; tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare le domande risarcitorie in commento, una di natura contrattuale (l’azione sociale di responsabilità), l’altra di natura extracontrattuale (l’azione di responsabilità verso i creditori). Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione.
L’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2935 c.c., decorre dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società; il decorso rimane sospeso per l’amministratore, a norma dell’art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione dalla carica. L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. si prescrive nel termine di cinque anni; il termine decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza del patrimonio sociale, per l’inidoneità dell’attivo, raffrontato alle passività, a soddisfare i loro crediti. In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione de qua e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti l’onere di fornire prova contraria della diversa data anteriore di conoscibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.