Responsabilità da direzione e coordinamento e qualificazione dei versamenti effettuati dai soci
In tema di azione di responsabilità ex art. 2497, co. 2, c.c. nei confronti degli organi della società controllante ed esercente attività di direzione e coordinamento, la norma in questione prevede un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante, con il corollario, da un punto di vista processuale, dell’onere della prova a carico della parte attrice in merito all’esistenza dei requisiti del fatto illecito disciplinato dall’art. 2497 c.c., da ricondurre nello schema aquiliano di cui all’art. 2043 c.c.
L’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento rappresenta un fatto naturale e fisiologico, di per sé legittimo, che, tuttavia, al contempo richiede siano prefissati i limiti, oltrepassati i quali una tale attività diviene illegittima e fa sorgere la responsabilità di colui che, per tal modo, ne abusa: la direzione e coordinamento deve essere caratterizzata, ex art. 2497 c.c., dall’osservanza di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate, nel senso che l’unitarietà della direzione non può giustificare l’utilizzo delle gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio dell’interesse delle società controllanti, bensì per il coordinamento degli interessi delle due; l’inosservanza dei principi di corretta gestione predetti espone a responsabilità le società controllanti, insieme con i propri amministratori.
L’azione ex art. 2497 c.c. è soggetta al termine quinquennale di prescrizione che decorre dal momento del fatto illecito, anche se esercitata dal curatore fallimentare in luogo dei creditori della società eterodiretta, secondo la previsione dell’art. 2497, ult. co., c.c., senza che egli possa invocare il decorso del termine dalla data della dichiarazione di fallimento, dalla quale deriva solo la sostituzione della legittimazione del curatore a quella dei creditori, senza che però l’azione muti carattere.
L’art. 2497, co. 3, c.c., nel sancire che il socio e il creditore possano agire nei confronti della società che esercita attività di direzione e coordinamento solo nel caso non siano stati soddisfatti dalla società eterodiretta non prevede una condizione di procedibilità dell’azione di responsabilità, consistente nell’infruttuosa escussione del patrimonio della controllata o nella previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci e i creditori sociali danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento. Dunque, il socio (o il creditore sociale) che intende promuovere un’azione di risarcimento del danno nei confronti di una società che ha esercitato abusivamente attività di direzione e coordinamento non è tenuto, ai sensi dell’art. 2497, co. 3, c.c., ad escutere preventivamente il patrimonio della controllata, poiché tale norma non pone una condizione di procedibilità dell’azione di responsabilità, ma si limita a prevedere un’ulteriore ipotesi, meramente fattuale, per la quale l’obbligo risarcitorio in capo alla società dominante viene meno.
Il termine di prescrizione dell’azione nei confronti della società controllante e degli organi della stessa non può decorrere dal fallimento o, comunque, dall’insolvenza della società eterodiretta, ma dalla data di compimento del fatto illecito, ossia dall’inadempimento agli obblighi gravanti sugli stessi, che abbia concorso alla produzione del danno ai soci o ai creditori sociali della controllata.
L’erogazione di somme dai soci alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato a confluire in apposita riserva “in conto capitale”; in quest’ultimo caso non nasce un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, connotato dalla postergazione della sua restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali e dalla posizione del socio quale residual claimant.
La qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio che richieda la restituzione, non tanto dalla denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.
La ratio della norma dell’art. 2467 c.c. è di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa priva di adeguati mezzi propri sia posto a carico dei creditori esterni alla società.
I versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica consiste nell’essere destinati a incrementare il patrimonio della società senza riflettersi sul capitale nominale, vanno a costituire una riserva di capitale (e non di utili) con conseguente esclusione di qualsivoglia pretesa restitutoria per tutta la durata della società. In caso di versamento del socio in conto aumento capitale, il diritto alla restituzione (prima e al di fuori del procedimento di liquidazione) sussiste soltanto nell’ipotesi in cui il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla successiva delibera di aumento di capitale e tale delibera non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti o fissato dal giudice.
L’art 2467 c.c. non opera solo in caso di fallimento, ma già durante la vita dell’impresa, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sarà superata la situazione di difficoltà economica. Ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento ove tale situazione di squilibrio sia esistente al momento della concessione del finanziamento ed a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi.
La situazione di squilibrio rilevante ai fini dell’operatività della postergazione non si identifica con lo stato di insolvenza, ma nella sproporzione tra indebitamento e patrimonio netto o, comunque, in una situazione di squilibrio finanziario che avrebbe ragionevolmente richiesto un conferimento piuttosto che un finanziamento.
La violazione della regola di cui all’art 2467 c.c. può dar luogo a plurime forme di tutela, quali una tutela di natura risarcitoria per il creditore pregiudicato, un’azione di responsabilità verso l’organo amministrativo che abbia deciso il rimborso o, in sede concorsuale, l’inefficacia dell’atto di rimborso al socio della somma a favore della società. Pertanto, sono responsabili, ai sensi degli artt. 2394 c.c. e 146 l. fall., gli amministratori di una società fallita che abbiano restituito somme ai soci in violazione dell’art. 2467 c.c.
In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto dannoso imputabile a più persone, fonte di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., la natura del titolo di responsabilità, che fonda la pretesa risarcitoria azionata, condiziona l’individuazione del termine di durata della prescrizione per il quale, in caso di coincidenza tra fatto costituente reato e fatto determinativo dell’illecito civile, si applica la più lunga durata stabilita per il primo, in base all’art. 2947, ult. co., c.c.; la diversità dei titoli di responsabilità, invece, non incide sulla interruzione del termine di prescrizione di volta in volta rilevante, essendo in tal caso applicabile la regola di cui all’art. 1310, co. 1, c.c., il quale rende l’atto interruttivo compiuto dal creditore contro uno dei debitori in solido efficace anche nei confronti degli altri debitori solidali. In tema di obbligazioni derivanti da una pluralità di illeciti ascrivibili a differenti soggetti, qualora soltanto il fatto di un obbligato sia anche reato, mentre quelli degli altri costituiscano illeciti civili, la possibilità di invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall’art. 2947, co. 3, c.c. per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata all’obbligazione nascente dal reato.
In tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito costituente reato, la previsione dell’art. 2947, co. 3, c.c. si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della conseguente pretesa risarcitoria, sicchè è invocabile non solo per l’azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile (quale un amministratore), ma anche per quella esercitabile contro coloro che siano tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta (quale la società, che, ai sensi dell’art. 2049 c.c., risponde civilmente dell’illecito penale commesso dal suo amministratore).
Il socio che abbia intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società risponde in concorso con gli amministratori dei danni arrecati alla società medesima; l’amministratore di diritto risponde delle condotte criminose poste in essere da chi si sia di fatto ingerito nella gestione dell’impresa, allo stesso invece spettante, e su cui non abbia vigilato.
Finanziamento soci e principio di postergazione
Il finanziamento erogato da uno dei soci in favore di una società a responsabilità limitata è postergato, ex art. 2467, comma 2, cod. civ., ove effettuato in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. In presenza di tali situazioni il credito del socio, benché sia anche scaduto il termine previsto per adempiere all’obbligo di restituzione previsto dall’art. 1813 cod. civ., è inesigibile. In altri termini, il principio di postergazione di cui all’art. 2467 cod civ. opera come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale, con conseguente inesigibilità temporanea alla restituzione della somma mutuata.
Affinché tale principio trovi applicazione, è tuttavia necessario che i presupposti dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento o della situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento sussistano non solo al momento della concessione del finanziamento, ma anche al momento della richiesta di rimborso e sino all’esito del procedimento giudiziale promosso dal socio per la restituzione del finanziamento effettuato in favore della società.
Assoggettamento dei finanziamenti soci alla disciplina della postergazione ai sensi dell’art. 2467 cod. civ.
I presupposti per l’applicazione della disciplina legale della postergazione ex art. 2467 cod. civ. ai finanziamenti effettuati (i) dai soci di una società a responsabilità limitata; (ii) da chi esercita attività di direzione e coordinamento; ovvero (iii) dalle società c.d. “sorelle” appartenenti al medesimo gruppo sono da interpretarsi come l’estrinsecazione di una situazione di crisi qualificata, equiparabile, in termini sostanziali, all’insolvenza. Invero, i presupposti dell’“eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio” e della “situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento” individuano una nozione unitaria di crisi che si identifica con il “rischio” di insolvenza, tale da giustificare un “concorso potenziale” tra i creditori sociali. Inoltre, i presupposti in esame devono sussistere sia al momento in cui il finanziamento è effettuato sia al momento in cui ne è richiesto il rimborso.
Postergazione del finanziamento del socio
L’eccezione di postergazione del finanziamento del socio ex art. 2467 c.c. non è ammissibile se non supportata da adeguate allegazioni e/o da riscontri probatori, risultando insufficiente il generico richiamo alle difficoltà finanziarie in cui versa la società.
Al contrario, ai fini dell’applicazione della disciplina della postergazione, debbono ricorrere i presupposti oggettivi, alternativi tra loro, contemplati dall’art. 2467 c.2 c.c., e cioè che il prestito sia stato effettuato in un momento in cui risultava un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, o in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.
La postergazione dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 co. 2 c.c. opera in caso di “rischio di insolvenza” della società
I presupposti per la postergazione dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 co. 2 c.c. devono essere ricondotti ad un’unitaria nozione definibile quale “rischio di insolvenza” dante luogo ad un concorso potenziale tra tutti i creditori della società. In particolare, tale interpretazione unitaria del secondo comma appare preferibile in quanto, da un lato, assicura oggettività al primo parametro normativo (“eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio”) altrimenti di opinabile lettura anche alla luce delle scienza economiche e, d’altro lato, chiarisce il significato sempre oggettivo del secondo parametro normativo, ove il riferimento a “situazioni finanziarie nelle quali sarebbe stato ragionevole un conferimento”, implica il rinvio a un comportamento ragionevole (vale a dire standardizzato, socialmente tipico) non tanto del socio quanto del terzo finanziatore, il quale, appunto, in presenza di una crisi dell’impresa, non sarebbe normalmente disposto a finanziarla.
Inoltre, la postergazione legale, prevalendo sul regolamento negoziale, esige il rispetto della preferenza dei terzi con la conseguenza che la soddisfazione degli altri creditori si pone come condizione sospensiva del diritto al rimborso, idonea, in particolare, a produrre l’effetto di postergare ex lege la scadenza del finanziamento sino al momento del suo avveramento e ad impedire in tal modo l’esigibilità del credito del socio la quale deve reputarsi sospesa sino alla soddisfazione degli altri creditori.
Costituisce questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti stabilire se il versamento effettuato dai soci tragga origine da un rapporto di mutuo o se invece esso sia stato effettuato a titolo di apporto del socio al patrimonio di rischio dell’impresa collettiva (configurandosi, in tale ultima ipotesi, un contratto atipico di conferimento di capitale qui inteso come capitale di rischio in senso economico); nel qual ultimo caso il diritto alla restituzione, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, sussiste solo qualora il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e tale deliberazione non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti o fissato dal giudice.
Postergazione dei finanziamenti del socio alla società
Il finanziamento effettuato dal socio alla società deve ritenersi assoggettato al particolare regime di inesigibilità e postergazione previsto dall’art. 2467 cod. civ., là dove i presupposti indicati dalla norma sussistano sia al momento del versamento che della esazione del rimborso.
Disciplina della postergazione prevista dal primo comma dell’art. 2467 c.c. in relazione al soggetto che ha perso la qualità di socio
I presupposti della postergazione sono individuati dall’art. 2467 nell’ “eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto” e in una “situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”, in situazioni cioè di “rischio” di insolvenza che possono manifestarsi sia in fase di start-up se la società è sottocapitalizzata e quando v’è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori, sia [ LEGGI TUTTO ]
Postergazione ex art. 2467 in relazione a soggetto che ha perso la qualità di socio al momento della domanda di restituzione
La condizione di inesigibilità del credito ex art. 2467 c.c. può essere eccepita anche nei confronti del socio che in epoca successiva al versamento delle somme oggetto di finanziamento abbia perso la qualità di socio. [ LEGGI TUTTO ]