Registrazione in malafede e tutela del marchio di fatto utilizzato nel settore alberghiero
I segni distintivi di fatto possono articolarsi in maniera separata, sicché è astrattamente possibile che un imprenditore abbia preusato il segno per la ditta-denominazione sociale, senza aver fatto uso dello stesso come marchio, per contraddistinguere merci prodotte o servizi forniti, onde la necessità, in caso di affermazione del possesso di un marchio di fatto, che colui il quale chieda di affermare il conseguimento di un proprio diritto fornisca, al riguardo, una prova completa sia della ditta-denominazione sociale sia di quello del segno in funzione di marchio (e della conseguente notorietà di esso), atteso che l’uso di fatto di un segno in funzione di ditta/denominazione sociale non ne comporta l’automatica e meccanica estensione in funzione di marchio e viceversa. Il preuso di un marchio di fatto, comporta che il preutente abbia il diritto all’uso esclusivo del segno, ossia abbia il potere di avvalersene che è distinto da ogni successiva registrazione corrispondente alla denominazione da lui usata, la quale si pone su un piano diverso rispetto al diritto di preuso, sicché ben può una tale registrazione essere dichiarata nulla, anche per decettività, in rapporto ai segni confliggenti. Ne consegue che, ove la registrazione decettiva sia dichiarata nulla, non per questo il preutente che aveva provveduto a formalizzarla perde il diritto di continuare a far uso del segno, specie laddove, per la cessata interferenza con i diritti registrati da altro titolare di uno o più marchi, sia venuto meno anche il conflitto.
Onere della prova in ordine alla notorietà del marchio di fatto a livello non puramente locale
Secondo il più moderno indirizzo dottrinale e giurisprudenziale mentre l’uso del marchio di fatto rappresenta il fatto costitutivo del diritto sul segno, soltanto la notorietà non puramente locale è il presupposto costitutivo della tutela nei confronti di un successivo marchio registrato uguale o simile. Difatti, a seguito della riforma del 1992 della legge marchi, la norma dell’art. 17, oggi trasfusa nell’art. 12 del Codice della proprietà industriale, attribuisce rilievo al dato sostanziale costituito dalla preesistenza, rispetto alla data di deposito della registrazione, di parole, figure o segni già noti ai consumatori come marchi d’impresa. Non è, dunque, sufficiente un qualsiasi uso anteriore: per determinare la nullità della successiva registrazione dell’altrui marchio, il segno distintivo deve godere di una notorietà che non sia riferita in ambito territoriale ristretto. È necessaria, cioè, una notorietà qualificata, la quale è definita in negativo dal concetto di notorietà puramente locale. La migliore dottrina sottolinea al riguardo che l’equiparazione dell’uso del segno alla sua notorietà è del tutto incoerente con la ratio della norma e con l’attuale tendenza a livello mondiale a comprimere la tutela del preutente a favore di un crescente rilievo della registrazione, sicché afferma che uso e notorietà sono due concetti contrapposti e distinti. Infatti, l’uso privo di notorietà è possibile tutte le volte in cui non siano maturate le condizioni per un vero acquisto di distintività del marchio di fatto. La più recente giurisprudenza condivide tale opinione laddove afferma che il preuso di carattere generale necessita di una diffusione sistematica richiedendo la legge un quid pluris rispetto al naturale effetto di conoscenza indotto dall’uso, ovvero che la diffusione del segno sul mercato sia tale da renderlo conosciuto ad un larga parte dei consumatori interessati. [Nel caso in esame, il Collegio, rileva come la commercializzazione del prodotto contrassegnato dal marchio di fatto in diverse regioni oltre quella di produzione e tramite alcune piattaforme online costituisce un indizio della conoscenza effettiva del marchio, ma ove non si fornisca la prova che esso copre una quota apprezzabile di mercato, non è da sola sufficiente a dimostrare la raggiunta notorietà generale del marchio di fatto apposto sul prodotto in questione.]
Confondibilità tra marchio patronimico e denominazione sociale
Il nome di un collaboratore di un’azienda (per quanto noto e con funzioni rilevanti) non può essere considerato come preuso di un segno distintivo da poter far valere nei confronti di un marchio o di una ditta successivamente registrati.
L’ipotesi contenuta nell’art. 21 c.p.i. lett. A) può essere esemplificata ideologicamente nell’esigenza di consentire l’uso di segni con funzioni descrittive di dati reali del prodotto, del produttore e dell’uso del prodotto, con il limite che subordina tali facoltà, eccezionali rispetto al diritto di esclusiva, alla circostanza che esso sia conforme ai principi della correttezza professionale ed avvenga in funzione descrittiva. Un’impresa può bensì inserire nella propria ditta una parola che già faccia parte del marchio di cui sia titolare altra impresa, anche quando entrambe operino nello stesso mercato, ma non è lecito che essa utilizzi quella parola anche come marchio. Nel giudizio di confondibilità non si deve tener conto degli elementi descrittivi o generici ma solo del nucleo caratteristico e predominante, definito “cuore del segno”. Si ritiene che esso vada desunto dalla obiettiva composizione dei segni distintivi usati, con riguardo al risultato percettivo, che l’insieme degli elementi nella loro globale composizione può determinare nella clientela di media diligenza ed attenzione e che, una volta accertati gli elementi d’identità, somiglianza e diversità, si debba effettuare un giudizio finale per sintesi.
In aggiunta, l’identità del patronimico, sebbene vi sia uguaglianza tra i prodotti commercializzati, non riguarda il nucleo ideologico caratterizzante il messaggio, non essendo il patronimico, come già affermato, il cuore della ditta dell’azienda convenuta. Vi è confondibilità solo nel caso in cui vi sia appropriazione del nucleo centrale dell’ideativo messaggio individualizzante del marchio anteriore, con riproduzione od imitazione di esso nella parte atta ad orientare le scelte dei potenziali acquirenti; detto nucleo centrale, peraltro, non è identificabile nel mero riferimento a situazioni e contesti ricollegabili ad un determinato settore merceologico, ma riguarda quel quid pluris che connoti, all’interno di quel settore, una specifica offerta.
Contraffazione di marchio e preuso di un marchio di fatto
I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio a prescindere dalla finalità perseguite e, quindi, anche se l’uso del segno è finalizzato ad evidenziare che si tratta di prodotto compreso fra quelli che [ LEGGI TUTTO ]
Preuso di marchio di fatto e rischio di associazione e confusione tra marchi
Il precedente utilizzo di un “marchio di fatto” sul territorio nazionale, o su una parte importante di esso, conferisce al preutente un diritto esclusivo allo sfruttamento di detto marchio: tale uso è idoneo a [ LEGGI TUTTO ]
Pre-uso del marchio e convalida del marchio successivamente registrato
Nel giudizio di contestazione di uso di marchio, la dedotta circostanza di parte convenuta del “preuso” del marchio all’interno del territorio, anche attraverso la sua pacifica utilizzazione, supportano [ LEGGI TUTTO ]
Nullità del marchio nazionale figurativo : preuso e marchio di fatto
Controversia in materia di uso e non uso di un marchio litigioso nel settore farmaceutico
L’uso del marchio da parte di terzi autorizzati dal titolare produce lo stesso effetto dell’uso diretto da parte del titolare del marchio, anche ai fini dell’applicabilità del termine di cinque anni previsto art. 24 c.p.i. Inoltre, la pendenza del giudizio sulla titolarità del segno [ LEGGI TUTTO ]
Tutela dei segni distintivi e danno da abuso di querela per provocato sequestro di sito internet ex art 253 c.p.p.
L’abuso di querela per il reato di cui all’art. 513 c.p. (turbata libertà dell’industria o del commercio), con conseguente sequestro ex art. 253 c.p.p. del sito internet della concorrente, integra la fattispecie di cui [ LEGGI TUTTO ]
Confondibilità dei segni e notorietà nel preuso del marchio
Il fatto lesivo del diritto dell’attore – che, secondo il sesto comma dell’art 120, integra il criterio del forum commissi delicti – è ravvisabile in tutte le ipotesi di violazione dei diritti patrimoniali attribuiti al titolare del diritto di proprietà industriale, quali, a titolo esemplificativo, gli atti di fabbricazione, commercializzazione, importazione, uso del bene prodotto in contraffazione e quelli che comunque si sostanziano nell’attuazione dell’oggetto della privativa o sono diretti a trarne profitto. [ LEGGI TUTTO ]