I principi di riferimento per la redazione del bilancio
Le regole sulla formazione del bilancio sono previste agli artt. 2423 e ss. del Codice Civile, contenenti i principi di carattere generale; per quanto non espressamente disposto dalla disciplina codicistica, poi, sopperiscono i Principi Contabili emanati dalla Fondazione OIC (Organismo Italiano di Contabilità), che, ai sensi dell’art. 20 del D.L. 91 del 24.06.2014 (convertito con L. n. 116 del 11-08.2014), costituiscono gli standard di riferimento per la redazione dei bilanci redatti in base alle disposizioni del Codice Civile.
A completamento della disciplina codicistica sui crediti è inoltre dedicato il principio contabile OIC 15, che ha lo scopo di disciplinare i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione dei crediti, nonché le informazioni da presentare nella nota integrativa. Secondo quanto riportato nel suddetto principio contabile, i crediti rappresentano “diritti ad esigere, ad una scadenza individuata o individuabile, ammontari fissi o determinabili di disponibilità liquide, o di beni/servizi aventi un valore equivalente, da clienti o da altri soggetti”.
Sulla legittimazione a impugnare il bilancio per violazione dei principi di verità e chiarezza
Rientrano nel novero delle delibere nulle, in quanto aventi un oggetto illecito ex art. 2379 c.c., le delibere con cui risulta approvato un bilancio non conforme ai principi di cui all’art. 2423 c.c., ovvero in violazione di tutte le altre norme dettate in materia di bilancio. Trattasi, infatti, di norme imperative inderogabili, poste a tutela di interessi generali che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società. Non è, tuttavia, sufficiente per l’impugnante far valere un generico interesse al rispetto della legalità, laddove impugni per nullità una delibera assembleare, ma è necessaria l’allegazione di un’incidenza negativa nella sfera giuridica del soggetto agente delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Pertanto, la qualità di socio non è requisito necessario, essendo legittimato qualsiasi soggetto, purché titolare di un interesse concreto ed attuale all’impugnativa, interesse che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione.
I singoli soci di s.r.l. possono volontariamente costituirsi nel giudizio di impugnazione di delibera assembleare, a mezzo di intervento che, dal lato attivo, va qualificato come adesivo autonomo (con la facoltà di coltivare il procedimento nei vari gradi di lite, anche in presenza di rinunzia o acquiescenza alla sentenza da parte dell’originario attore), ove essi siano dotati di autonoma legittimazione ad impugnare la delibera, per non essersi verificata nei loro confronti alcuna decadenza.
Nell’ipotesi di inerzia degli amministratori nell’accertamento di scioglimento della società, l’art. 2485, co. 2, c.c. prevede che i singoli soci possano agire avanti al tribunale chiedendo l’emissione di un decreto in sede di volontaria giurisdizione o di una sentenza resa all’esito di cognizione piena, che accerti il verificarsi della causa di scioglimento, con obbligo di iscrizione al registro imprese. La legittimazione dei soci trova la sua giustificazione nell’interesse qualificato del socio all’avvio della procedura di liquidazione, anche per evitare le conseguenze dannose in capo alla società potenzialmente derivanti dalle omissioni dell’organo amministrativo.
In tema di valutazione dei crediti, il criterio legale non attribuisce agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma implica una valutazione fondata sulla situazione concreta, secondo principi di razionalità, con prudente apprezzamento della situazione economica e patrimoniale del debitore e della sua solvibilità: pertanto, anche i crediti liquidi ed esigibili, qualora siano di dubbia o difficile esazione non devono essere iscritti nel loro intero ammontare, bensì nella minore misura che – secondo un prudente apprezzamento – si presume di poter realizzare.
Nullità della delibera di approvazione del bilancio non chiaro
L’art. 2423, co. 2, c.c. deve leggersi in combinato disposto con i principi elaborati dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), i quali, pur non essendo fonte del diritto, hanno comunque funzione interpretativa e integrativa.
Nella disciplina legale del bilancio d’esercizio delle società, il principio di chiarezza non è subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma valenza, essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono.
La normativa codicistica applicabile impone uno standard di chiarezza tale da consentire una comprensione del bilancio anche, e soprattutto, dall’esterno, in quanto la verità e la chiarezza del bilancio sono canoni posti a tutela non soltanto dei singoli soci, bensì di tutti i terzi e dei creditori.
Pertanto, le integrazioni e le precisazioni del bilancio che si rendono necessarie a tal fine risultano non tanto opportune, quanto piuttosto obbligatorie, poiché funzionali al raggiungimento dello scopo che la legge assegna al bilancio.
La mancata redazione del bilancio in conformità ai principi contabili prescritti dalle disposizioni di legge e dai principi contabili nazionali comporta la nullità, per illiceità dell’oggetto, della relativa deliberazione di approvazione.
Il bilancio d’esercizio di una società di capitali che violi i precetti di chiarezza e precisione è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso è stato approvato, non soltanto quando la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.
Violazione dei principi di chiarezza e verità nella redazione del bilancio di esercizio
Il principio di chiarezza non è subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio, ma è dotato di autonoma valenza, essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono. La verità e la chiarezza del bilancio sono canoni posti a tutela non soltanto del o dei singoli soci, bensì di tutti i terzi e, in particolare, dei creditori. Pertanto, è nulla per illiceità dell’oggetto la deliberazione con cui sia stato approvato il bilancio redatto in modo non conforme ai precetti normativi in materia, essendo tali disposizioni poste a tutela di interessi trascendenti i limiti della compagine sociale e riguardando anche i terzi, essendo essi altresì destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, che il bilancio deve fornire con chiarezza, verità e precisione. Ciò non soltanto quando la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.
I principi elaborati dall’Organismo italiano di contabilità (OIC), pur non essendo fonte del diritto, hanno comunque funzione interpretativa e integrativa.
Nullità della delibera di approvazione del bilancio privo del requisito di chiarezza e informativa in merito alle operazioni con parti correlate
Il giudizio circa la liceità del bilancio non può dipendere da precedenti gestioni, mai contestate, neppure in nome della continuità, che non può legittimare una deroga ai principi di chiarezza e trasparenza. La circostanza che il bilancio d’esercizio di una società di capitali abbia come destinatari non solo i soci, ma tutta una pluralità di terzi, i quali, potendo venire in contatto con la società, abbiano interesse a valutarne la situazione patrimoniale ed economica, rende irrilevante, ai fini della illiceità del bilancio stesso e della conseguente nullità della relativa deliberazione assembleare di approvazione, che il metodo di redazione del bilancio contrario ai principi di chiarezza e precisione sia stato adottato in passato con il consenso o, addirittura, su iniziativa del socio che poi ha impugnato il bilancio. Né giova in senso contrario fare appello al principio di continuità formale dei bilanci, il quale comporta solo che non si adottino metodi di rilevazione del bilancio diversi da quelli adottati in passato, senza darne adeguato conto nella relazione degli amministratori, ma non giustifica certo il protrarsi nel tempo dell’adozione di metodi di redazione poco chiari o imprecisi.
Il disposto di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., applicabile anche alle s.r.l. in virtù del richiamo espresso contenuto nell’art. 2479 ter, ult. co., c.c., impedisce l’annullamento della deliberazione impugnata, ma a condizione che quella sostitutiva sia stata assunta in conformità alla legge e allo statuto della società; l’effetto che ne consegue, di cessazione della materia del contendere e di sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione, deve quindi misurarsi con la legittimità della delibera sostitutiva, senza alcun effetto automatico.
La circostanza che la società sia ammessa a redigere il bilancio in forma abbreviata non la esonera dal rispetto dei principi generali espressi dall’art. 2423, co. 2, c.c., posti non solo a tutela del socio, ma anche di una pluralità di terzi, non indifferenti alle sorti della società. Gli amministratori devono soddisfare l’interesse del socio a una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio al fine di realizzare il diritto di informazione previsto dall’art. 2423 c.c., che è in rapporto di strumentalità con il principio di chiarezza, sicché sono obbligati a rispondere alla domanda d’informazione pertinente e a cui non ostino oggettive esigenze di riservatezza, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati di bilancio ed alla relativa relazione.
Ciascun principio racchiuso nella previsione di cui all’art. 2423, co. 2, c.c., appare dotato di una propria autonoma valenza, senza che sussista alcuna gerarchia, anche rispetto ai valori che esprime. Invero, nella disciplina legale del bilancio d’esercizio delle società, il principio di chiarezza non è affatto subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma valenza, essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono. Conseguentemente, il bilancio d’esercizio di una società di capitali che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, co. 2, c.c. è illecito ed è nulla la deliberazione assembleare con cui esso è stato approvato, non soltanto quando la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.
La descrizione delle operazioni con parti correlate costituisce specifica voce della nota integrativa di bilancio ex art. 2427, n. 22 bis, c.c., applicabile anche nelle ipotesi di bilancio redatto in forma abbreviata. Le informazioni da fornire in base alla previsione in commento debbono poi essere integrate attraverso il principio contabile internazionale adottato dall’UE (IAS 24) e dal principio contabile OIC 12. Sono quindi parti correlate (IAS 24) le persone fisiche o le entità societarie che esercitano un controllo o comunque un’influenza notevole sull’entità che redige il bilancio, mentre le normali condizioni di mercato, che esonerano dall’obbligo di informativa, non attengono solo al prezzo praticato nell’operazione, ma si estendono anche alle ragioni che hanno condotto a porre in essere quell’affare con tale parte e non con altri soggetti terzi. L’esigenza di fornire informazioni in merito costituisce una declinazione del più generale principio di trasparenza del bilancio, poiché la conclusione di contratti con società collegate o controllate ovvero con persone fisiche in stretto rapporto con chi è tenuto alla redazione del bilancio può indurre il sospetto di conflitti d’interesse e di scelte di favore, non del tutto adeguate e rispondenti all’interesse della società. Le informazioni sono necessarie a fronte di operazioni che, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, sono suscettibili di orientare ed influenzare le decisioni di coloro che usufruiscono delle indicazioni ed informazioni contenute nel bilancio. Quanto alle “normali condizioni di mercato”, all’interpretazione del criterio concorrono le indicazioni di cui al principio contabile OIC 12, che indica quali elementi di valutazione non solo il prezzo, ma anche le motivazioni in base a cui si è concluso l’affare con tale controparte contrattuale piuttosto che con soggetti terzi.
Incompromettibilità della lite sulla violazione dei principi di redazione del bilancio
La controversia vertente sulla lamentata violazione dei principi contabili di redazione del bilancio non può rientrare nell’ambito di applicazione della clausola compromissoria, per effetto della indisponibilità di cui all’art. 806, 1° comma, c.p.c. In particolare, l’area dell’indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza, la verità e la precisione del bilancio. In altre parole, l’indisponibilità del diritto costituisce il limite alla operatività della clausola compromissoria che, però, mantiene la sua efficacia con riferimento alle altre domande compromettibili, ovvero quelle che non investono direttamente la violazione dei principi inderogabili nell’interesse pubblico, di veridicità e chiarezza del bilancio.
Sono, quindi, esclusi dalla compromettibilità solo quei vizi capaci di pregiudicare il bene giuridico tutelato della chiarezza e veridicità del bilancio, posto a garanzia, non tanto e non solo dei singoli soci, ma della generalità dei consociati.
Note sostanziali e processuali dell’impugnazione della delibera di bilancio. Legittimazione dell’ex socio ad impugnare la delibera ex art. 2447 c.c.
Dev’essere considerata ammissibile la precisazione, effettuata in prima memoria, della domanda di impugnazione di una delibera assembleare quale domanda di nullità, allorché riguardi la mera qualificazione dell’impugnazione in riferimento a presupposti di invalidità della delibera già prospettati in citazione.
Non sono compromettibili in arbitri le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere assembleari di approvazione del bilancio per vizi attinenti alla violazione delle norme che disciplinano la redazione dei documenti contabili.
Colui il quale abbia perso la qualità di socio, non avendo sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale, conserva la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare adottata ex art. 2447 c.c., in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, co. 1 Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Il corretto richiamo, in nota integrativa, dei principi contabili di cui si è fatta applicazione nella redazione del bilancio esclude l’invalidità della relativa delibera di approvazione [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto corretta la scelta degli amministratori di svalutare integralmente le immobilizzazioni, dopo aver rilevato la perdita del requisito della continuità aziendale, a fronte di un ingente fabbisogno finanziario immediato, rispetto al quale i soci non avevano manifestato alcuna disponibilità ad intervenire con versamenti o finanziamenti].
Non può ritenersi annullabile per abuso di maggioranza la delibera di riduzione e contestuale aumento del capitale ex art. 2447 c.c., allorché le alternative astrattamente percorribili dalla società – i.e. il rinvio annuale delle iniziative di cui all’art. 2447 c.c. data la natura di PMI innovativa della società, la trasformazione, il ricorso al credito bancario ovvero l’acquisto delle partecipazioni dei soci di minoranza da parte di quelli di maggioranza – non avrebbero comunque consentito il recupero della continuità aziendale o avrebbero presupposto delle valutazioni aventi carattere discrezionale, in quanto tali libere.
Nullità della delibera di approvazione del bilancio per violazione di principi contabili
E’ nulla la delibera di approvazione del bilancio di una società a responsabilità limitata con cui vengono iscritti a bilancio i debiti tributari senza includervi le sanzioni e gli interessi. Per i principi di chiarezza, completezza e verità che devono connaturare il bilancio societario infatti i debiti tributari [ LEGGI TUTTO ]
L’errata contabilizzazione delle fatture da emettere rivela una condotta di mala gestio dell’amministratore
In virtù dei principi contabili OIC, la voce di bilancio “fatture da emettere” può essere riferita solo a ricavi da conseguire nell’esercizio successivo come risultato di prestazioni o servizi erogati e non ancora pagati. Non è invece ammissibile che sia utilizzata per appostare somme [ LEGGI TUTTO ]
Società sottoposta a concordato preventivo e Interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio
A differenza della procedura fallimentare, che presuppone l’irrimediabile stato d’insolvenza, il concordato preventivo non comporta la dissoluzione dell’ente e, quindi, lascia intatto l’interesse del socio a sottoporre le iscrizioni delle poste di bilancio a controllo giudiziario, in modo da non determinare soluzioni di continuità nella rappresentazione della situazione economico-patrimoniale della società; [ LEGGI TUTTO ]