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22 Gennaio 2024

La business judgment rule opera solo in assenza di un conflitto di interessi

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. ha carattere unitario e inscindibile poiché cumula le azioni disciplinate dagli artt. 2393 e 2394 c.c. in un’unica azione finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia dei soci e dei creditori, in modo tale che, venendo a mancare i presupposti dell’una, soccorrono i presupposti dell’altra. In caso di fallimento, pertanto, le diverse azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dal codice civile, pur rimanendo tra loro distinte, confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne muta i presupposti.

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e si configura come un’azione risarcitoria volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte dolose o colpose degli amministratori poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sui sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Il danno risarcibile è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente e, in difetto di tale allegazione e prova, la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto.

La mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, purché l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo. Una correlazione tra le condotte dell’organo amministrativo e il pregiudizio patrimoniale dato dall’intero deficit patrimoniale della società fallita può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che, proprio in ragione di esse, l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza.

La figura dell’amministratore di fatto ricorre nelle ipotesi in cui un soggetto non formalmente investito della carica di amministratore si ingerisce nell’amministrazione, esercitando i poteri propri inerenti alla gestione della società. Tali funzioni gestorie esercitate in via di fatto debbono avere carattere sistematico e non esaurirsi nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e occasionale.

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere e, quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità. L’insindacabilità delle scelte di gestione dell’amministratore trova un limite anche nella presenza di una situazione di conflitto di interesse non manifestata.

Sussiste un conflitto di interessi quando gli interessi di cui sono portatori l’amministratore e la società sono in una relazione di incompatibilità, tale per cui il perseguimento dell’uno comporta il necessario sacrificio dell’altro. Ciò significa che al vantaggio conseguibile dall’amministratore in base all’operazione deve corrispondere, anche se non in modo necessariamente proporzionale, uno svantaggio della società, che può anche consistere in un mancato guadagno. Il comportamento dell’amministratore che agisce in conflitto di interessi deve ritenersi sindacabile sotto il profilo della violazione del generale dovere di correttezza cui egli è tenuto nel rapporto con la società.

Ai sensi degli artt. 2482 bis e 2482 ter c.c., gli amministratori, in caso di perdita di oltre un terzo del capitale, devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la sola ed eventuale riduzione del capitale e non anche la messa in liquidazione, a meno che la perdita non comporti la riduzione al disotto del capitale minimo. Nel caso in cui il minimo legale non sia stato intaccato, la riduzione non è obbligatoria, potendo la società decidere di portare a nuovo le perdite, ma sussiste comunque l’obbligo, per gli amministratori, di convocare l’assemblea senza indugio per l’adozione degli opportuni provvedimenti e di redigere una relazione sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale o del revisore. In tal caso, la riduzione del capitale sociale ha funzione meramente dichiarativa, tendente a far coincidere l’entità del capitale nominale con quello effettivo, riconducendo il primo alla misura del secondo, se e in quanto questo sia realmente divenuto inferiore all’ammontare indicato nell’atto costitutivo.

27 Giugno 2022

Recesso del socio sovventore di società cooperativa e rimborso delle spese degli amministratori

La perdita conseguente a perdite del diritto al rimborso di quanto versato dal socio a titolo di finanziamento postergato e disponibile per la copertura delle perdite di esercizio è inscindibilmente legata al depauperamento del patrimonio della società e, pertanto, seppur dipendente da mala gestio degli amministratori, non può qualificarsi come un danno direttamente arrecato al socio. Al contrario, trattandosi di un danno indirettamente subito dal socio, come riflesso del danno arrecato alla società, l’integrale rimborso del finanziamento dipende dal fruttuoso esercizio dell’azione sociale di responsabilità diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale.

Il socio che ometta il pagamento della quota nel termine prescritto non può esercitare il diritto di voto malgrado non sia stato destinatario di uno specifico atto di costituzione in mora o di una diffida ad eseguire quel pagamento entro trenta giorni, dovendogli quest’ultima essere indirizzata al solo scopo di dare inizio alla vendita in danno dell’intera quota sottoscritta. Non è, cioè, necessaria la diffida ad adempiere al fine di costituire il socio in mora, ma il socio deve ritenersi in mora per il solo fatto obiettivo del ritardo nell’adempimento rispetto al termine assegnato per la liberazione della quota, o dallo statuto o dagli amministratori all’atto dell’ammissione. Tuttavia, fino a che gli amministratori non provvedono a richiedere ai soci il versamento, e come s’è detto essi si sono astenuti dal farlo, anche quando si sono espressamente impegnati a farlo per sanare una constatata irregolarità di gestione, il socio non può ritenersi inadempiente e ha dunque titolo all’esercizio dei diritti di socio volontario.

Poiché il recesso parziale è espressamente non consentito dall’art. 2532 c.c., il socio sovventore, finanziatore o titolare di altri titoli di debito (art. 2526 c.c.) vede regolato il proprio diritto di recesso sulla base degli artt. 2437 ss. c.c., in tema di recesso nelle società per azioni, che espressamente ammettono il recesso parziale. Segue che il socio sovventore può esercitare il recesso per tale sola posizione e mantenere nondimeno il rapporto associativo.

La qualità di amministratore non è di per sé incompatibile con lo svolgimento, da parte dell’amministratore, di prestazioni professionali a favore della società, che siano estranee all’amministrazione; in tal caso, l’amministratore ha diritto a ricevere un autonomo compenso per l’attività prestata, ulteriore a quello eventualmente previsto per la carica. Con riguardo alla fissazione di una linea di confine tra attività inerenti all’amministrazione della società e prestazioni professionali estranee (incluse le prime nel compenso eventualmente riconosciuto per la carica, escluse e soggette ad autonoma remunerazione le seconde), il limite oltre il quale possono sussistere prestazioni professionali fatte nell’interesse della società, ma estranee all’amministrazione, deve individuarsi nell’oggetto sociale, talché rientrano tra le prestazioni tipiche dell’amministratore tutte quelle che siano inerenti all’esercizio dell’impresa, senza che rilevi (salvo che sia diversamente previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto) la distinzione tra atti di amministrazione straordinaria e ordinaria.

Per il rimborso delle spese richieste da un amministratore di società di capitali, non regolato dall’art. 2389 c.c., deve applicarsi in via analogica la disciplina del mandato, che all’art. 1720 c.c. prevede che il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni e deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subiti a causa dell’incarico. La formula dei danni è da intendersi in senso ampio, comprensivo non soltanto del danno in senso giuridico, ma anche della pura e semplice perdita economica collegata all’esecuzione del mandato. Nondimeno, va interpretata restrittivamente la perdita economica indennizzabile, come quella sola sostenuta a causa, e non semplicemente in occasione, del proprio incarico e perciò in stretta dipendenza dall’adempimento dei propri obblighi, pervenendo a escludere il nesso di stretta dipendenza per le spese legali sostenute dall’amministratore per la difesa in un giudizio penale.

Le scelte operative dell’amministratore sono insindacabili nel merito, secondo la c.d. business judgment rule, salvo il limite della valutazione di ragionevolezza, da compiersi ex ante, e tenendo conto – sempre nell’ordine del limite – della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.

8 Giugno 2021

Azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare: quantificazione e prova del danno risarcibile

Sul tema della quantificazione del danno, nel caso di azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare contro gli ex amministratori, compete a chi agisce dare la prova della sua esistenza, del suo ammontare e del fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto, “potendosi configurare un’inversione dell’onere della prova solo quando l’assoluta mancanza, ovvero l’irregolare tenuta delle scritture contabili, rendano impossibile al curatore fornire la prova del predetto nesso di causalità; in questo caso, infatti, la citata condotta, integrando la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori, è di per sè idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio” (così Cass. civ., Sez. I, 04.04.2011, n. 7606).

2 Dicembre 2019

Azione di responsabilità del curatore fallimentare verso gli amministratori di Srl: presupposti di ammissibilità del criterio di liquidazione equitativa del danno

Nell’azione di responsabilità, l’allegazione da parte dell’attore di inadempimenti degli amministratori astrattamente idonei a porsi quali cause del danno lamentato, ivi compresa la pluriennale mancata tenuta delle scritture contabili, con indicazione delle ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta degli amministratori stessi, come recentemente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione Civ, sez I, n. 2500 del 01.02.2018), rende ammissibile il ricorso ad una liquidazione equitativa del danno, nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (criterio, da ultimo, recepito e ampliato dal legislatore nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il cui art. 378, comma 2, in vigore dal 16.03.2019, ha aggiunto all’art. 2486 c.c. un terzo comma, in base al quale “Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”)

16 Luglio 2019

L’onere probatorio in materia di condotte distrattive e la determinazione del danno risarcibile

Nella procedura di fallimento l’onere probatorio della curatela si arresta alla prova della esistenza della somma e del suo mancato ritrovamento o della mancata consegna al momento del fallimento. Pertanto, a fronte di uno specifico addebito di distrazione, l’onere di dimostrare che le somme siano state destinate al pagamento dei lavoratori non può che ricadere sul convenuto amministratore della società fallita.

Per quanto riguarda l’addebito di prosecuzione illegittima dell’impresa, in presenza di uno stato passivo che cristallizza l’esposizione debitoria della fallita ed in presenza di parte delle scritture contabili, il danno risarcibile non può essere desunto aprioristicamente da un criterio equitativo, come è la differenza tra l’attivo ed il passivo o la differenza dei patrimoni netti.

20 Novembre 2018

La mala gestio nell’azione di responsabilità promossa dalla curatela fallimentare: ancora sulla quantificazione del danno

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 cod. civ., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 legge fall., la quale, [ LEGGI TUTTO ]

13 Febbraio 2017

Compenso degli amministratori di s.r.l. e quantificazione del danno risarcibile in caso di responsabilità verso la società

In caso di azione di responsabilità promossa dalla s.r.l. nei confronti dell’ex amministratore delegato – cui è contestato il compimento di spese ingiustificate, il godimento di rimborsi spese maggiorati e la distrazione di somme nell’ambito di diverse operazioni, nonché l’emissione di false fatturazioni passive – , nella quantificazione del danno risarcibile va posta in compensazione la maggior somma dovuta all’ex amministratore ad integrazione del compenso già ricevuto perché il rapporto organico con la società deve rivestire rilievo prioritario rispetto ad accordi intercorsi fra amministratori sul criterio di calcolo della remunerazione (nella specie, nel cd. employment agreement era stato pattuito un compenso inferiore rispetto a quello deliberato dall’assemblea).

 

 

7 Giugno 2016

Uso di marchio su internet in violazione di licenza e risarcimento del danno

L’utilizzo per promozioni commerciali, attraverso il canale internet, dell’immagine e del nome di opere dell’ingegno già registrate anche come marchi (nel caso di specie l’immagine e il nome di Topo Gigio) comporta per il titolare [ LEGGI TUTTO ]

10 Maggio 2016

Sentenza non definitiva e ambito di determinazione del danno risarcibile nel prosieguo del medesimo giudizio.

La statuizione contenuta in una sentenza parziale appare vincolante in sede di prosecuzione del medesimo giudizio in relazione all’accertamento dei profili di inadempimento ivi descritti, ma non quanto all’ampiezza ed alla misura del danno risarcibile, rispetto al quale il dispositivo [ LEGGI TUTTO ]