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14 Gennaio 2025

Legittimazione all’impugnazione di delibera consiliare lesiva dei diritti dei soci. Il caso Telecom – Vivendi.

Benché con riferimento alle azioni volte all’annullamento delle delibere societarie sia vero che, di regola, l’interesse ad agire deve ritenersi in re ipsa nella legittimazione a proporre la domanda, tuttavia tale principio non vale nell’ambito dell’impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione, regolata dall’art. 2388, co. 4, c.c., in relazione al quale la norma attribuisce anche al socio il potere di impugnazione della delibera consiliare, ma prescrive che, a tutela dell’efficienza e della certezza nei confronti dei terzi dell’attività dell’organo amministrativo, la legittimazione ad impugnare del socio sia limitata alla delibera consiliare non conforme (a legge o statuto) che arrechi pregiudizio alla sua sfera giuridica personale, andando ad incidere direttamente su un suo diritto individuale, amministrativo o patrimoniale, derivante dal contratto sociale e dalla sua posizione all’interno dell’organizzazione sociale che lo contrapponga alla società. Non deve invece ritenersi riconosciuto al socio la legittimazione ad impugnare una delibera illegittima del consiglio di amministrazione in relazione un pregiudizio meramente riflesso della lesione dell’interesse sociale connesso al mero status di socio.

Il socio non è legittimato a impugnare la delibera del consiglio di amministrazione assunta in violazione delle disposizioni (di legge o di statuto) previste per l’adozione delle operazioni con parti correlate, dovendo trovare applicazione, quanto al regime d’impugnazione, la disciplina dell’art. 2391 c.c. relativa alle decisioni assunte dall’organo amministrativo in conflitto di interesse, di cui la fattispecie delle operazioni con parti correlate costituisce una specificazione e che riserva la legittimazione all’impugnazione solo agli amministratori e al collegio sindacale.

Il potere di controllo del socio di s.r.l.

Il diritto dei soci non amministratori di cui all’articolo 2476 secondo comma c.c. di ricevere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare la relativa documentazione (come il libro giornale, il libro degli inventari, il registro IVA, i libri delle decisioni dei soci, i libri degli amministratori, ma anche in generale e senza limiti tutta la documentazione relativa all’amministrazione ivi compresa la corrispondenza, le fatture, la documentazione bancaria, i contratti, gli atti giudiziari), direttamente e indirettamente avvalendosi cioè dell’ausilio di professionisti di fiducia, può essere fatto valere dal singolo socio non amministratore in ogni momento, anche nella fase liquidatoria, al fine di soddisfare il suo concreto interesse al buon funzionamento dell’attività gestoria e ad avere contezza dell’andamento societario. Al diritto di consultazione è associato il diritto di estrarre copia a proprie spese, atteso che, opinando in senso contrario, si vanificherebbe il potere di controllo del socio, stante la difficoltà di studio dei predetti documenti.

Questo potere di controllo del socio: (a) ha carattere strumentale e propedeutico al successivo esercizio di altri diritti sociali e facoltà spettanti al socio, come il diritto di voto e di recesso, o anche eventualmente all’esperimento di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori; (b) deve svolgersi nel rispetto di alcuni limiti, segnatamente osservando il principio di buona fede e correttezza, di conseguenza non deve essere preordinato a soddisfare finalità extrasociali o ad arrecare pregiudizio all’attività sociale ostacolandone lo svolgimento.

28 Maggio 2024

Revoca cautelare dell’amministratore di s.n.c.

Ai fini della revoca cautelare dell’amministratore è sufficiente che la sua condotta esponga il patrimonio sociale al rischio di un pregiudizio attuale e concreto, non essendo necessario il verificarsi di un danno effettivo ma sufficiente anche il solo pericolo che la permanenza dell’amministratore in carica possa esporre la società al concreto rischio di subire danni in futuro.

12 Marzo 2024

Determinazione del valore di recesso ex art. 2473 c.c.: limiti all’impugnazione della stima peritale in caso di manifesta iniquità o errore

Nel caso di recesso di un socio da una società a responsabilità limitata la determinazione del valore della quota sociale di partecipazione, effettuata tramite perizia giurata, è vincolante e impugnabile solo per manifesta iniquità o errore evidente ai sensi dell’art. 1349 c.c.

[Nel caso di specie, non è stata ritenuta manifestamente erronea o iniqua la valutazione del perito, fondata sul metodo del Discounted Cash Flow e su dati oggettivi, che non abbia tenuto conto di operazioni societarie o prospettive successive al recesso, poiché il valore è determinato sulla situazione preesistente].

14 Febbraio 2024

Recesso consensuale e determinazione del valore di liquidazione: impossibilità di nomina dell’esperto

In caso di recesso inquadrato nell’ambito di un mero disinvestimento e quindi di risoluzione consensuale del rapporto, poiché tale situazione non rientra tra quelle disciplinate dall’art. 2473 c.c. ne deriva necessariamente come non possa trovare applicazione nemmeno il disposto di cui all’art. 2473, comma 3, c.c. rispetto alla nomina dell’esperto, in quanto tale nomina è prevista esclusivamente nei casi disciplinati dal medesimo articolo. Dovranno le parti individuare un soggetto idoneo allo scopo ai fini della liquidazione della quota. Invero, pur essendo pacifico che la nomina dell’esperto rientri tra i procedimenti camerali di volontaria giurisdizione, tuttavia non possono le parti adire il Tribunale al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, non esistendo nel nostro ordinamento la possibilità di coinvolgere l’autorità giudiziaria ai fini meramente suppletivi al di fuori delle specifiche ipotesi previste dal legislatore.

9 Gennaio 2024

Boicottaggio e disdetta dal contratto di concessione di vendita

Il fenomeno del boicottaggio consiste in un comportamento contrario ai principi di correttezza professionale di interferenza nelle altrui relazioni commerciali, tramite comportamenti volti all’induzione alla violazione di relazioni commerciali già esistenti o all’impedimento di future relazioni e realizzato attraverso il rifiuto a contrarre (boicottaggio primario), oppure esercitando pressioni su altri imprenditori affinché si astengono da rapporti commerciali con un certo imprenditore, onde estrometterlo dal mercato o ostacolarne l’attività e la permanenza (boicottaggio secondario).

Il contratto di concessione di vendita costituisce un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, avente natura di contratto normativo, dal quale deriva per il concessionario/distributore il duplice obbligo di promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita e di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti che gli vengono forniti alle condizioni fissate nell’accordo iniziale.

Il concessionario, per adempiere ai propri obblighi contrattuali, è tenuto ad effettuare specifici investimenti, mirati all’allestimento di una rete distributiva rispondente alle peculiari esigenze del concedente, nonché idonea a soddisfare pienamente criteri da questo prefissati. È, dunque, connaturale alla stessa struttura e funzione del contratto, che si atteggia come un contratto quadro o di tipo normativo, una certa soggezione del concessionario all’ingerenza, operata dal concedente, sfera decisionale ed organizzativa dei singoli rivenditori, che, in caso di scioglimento del rapporto, comporta la difficoltà per il concessionario stesso di conservare – come parte del suo patrimonio – gli investimenti fatti per promuovere e provvedere alla vendita degli altrui prodotti, ciò ragionevolmente in ragione della durata del contratto e della misura degli impegni pattuiti.

L’istituto della disdetta e l’istituto del recesso sono due strumenti giuridici contrattuali diversi. Il primo consente alle parti di impedire il rinnovo automatico di un contratto, ed è normalmente previsto con apposite clausole nei contratti a termine, unitamente, di regola, alla previsione di un termine congruo di preavviso. Il secondo, invece, in deroga al principio generale secondo cui “il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto se non per reciproco consenso tra le parti o per i motivi stabiliti dalla legge” (art. 1372 c.c.), consente alle parti di sottrarsi unilateralmente al vincolo contrattuale, determinandone lo scioglimento: si tratta di una facoltà che opera o nei casi previsti dalla legge o perché previsto espressamente dalle parti, che lo introducono in apposite clausole contrattuali.

Prescrizione o decadenza dei conferimenti non versati dal socio alla cooperativa

Il termine di un anno di prescrizione o decadenza, come alternativamente ricostruito dagli interpreti, previsto dall’art. 2536, co. 1, c.c. in relazione al pagamento dei conferimenti non versati dal socio  decorre, per quanto riguarda l’ipotesi del recesso, da quando questo ha avuto esecuzione o meglio dalla data di comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda ex 2532, co. 3, c.c..

Diritto di recesso del socio di s.a.s. e sua revoca espressa per fatti concludenti

In caso di società in accomandita semplice contratta a tempo determinato, ove non ricorra nessuna delle ipotesi di recesso previste dalla legge o dal contratto sociale, incidendo l’uscita di uno dei soci dalla compagine sociale sul contratto di società modificandolo, per l’efficacia del recesso di un socio è necessario che vi sia il consenso degli altri; consenso che, al pari degli altri casi di modifiche del contratto secondo quanto stabilito dall’art. 2252 c.c., può desumersi anche da fatti concludenti.

Nelle società di persone la dichiarazione di recesso è pacificamente ritenuta revocabile, in forza del carattere personalistico di tale tipo societario. Infatti, la non revocabilità del recesso del socio è limitata alle società di capitali e non estensibile alle società di persone, ove la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo fra i soci comporta che una diversa comune volontà possa essere espressa, nel senso di intendere rinnovata la partecipazione del socio, con revoca della precedente volontà di scioglimento del singolo rapporto sociale, sempre che sussista la concorde volontà di tutti i soci in tal senso, e ciò quantomeno fino a che non si sia proceduto alla liquidazione della quota del socio uscente.

La volontà di sciogliersi dal vincolo associativo che non sia seguita da un comportamento conseguente ma che, anzi, veda la prosecuzione del rapporto caratterizzata da una continuità dell’esercizio dei diritti connessi alla partecipazione sociale, perde la sua efficacia per fatti concludenti.

L.c.a. di società cooperativa e opposizione a decreto ingiuntivo

Nell’ipotesi di dichiarazione di fallimento (o liquidazione coatta amministrativa) intervenuta nelle more del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dal debitore ingiunto poi fallito o posto in liquidazione coatta amministrativa, il creditore opposto deve partecipare al concorso con gli altri creditori previa domanda di ammissione al passivo, attesa la inopponibilità, al fallimento, di un decreto non ancora definitivo e, pertanto, privo della indispensabile natura di “sentenza impugnabile”, esplicitamente richiesta dall’art. 95, comma terzo, legge fallimentare, norma di carattere eccezionale, insuscettibile di qualsivoglia applicazione analogica. Ne discende in tal caso che, essendo il decreto ingiuntivo inefficace e inopponibile alla massa, la domanda deve essere riproposta al giudice fallimentare, la cui competenza inderogabile prevale sul criterio della competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione. Conseguentemente, la domanda formulata in sede di cognizione ordinaria, se proposta prima dell’inizio della procedura concorsuale, diventa improcedibile e tale improcedibilità è rilevabile anche d’ufficio, anche nel giudizio di cassazione, derivando da norme inderogabilmente dettate a tutela del principio della par condicio creditorum.

In caso di opposizione a decreto ingiuntivo, con domanda riconvenzionale, proposta da un soggetto successivamente fallito nel corso del giudizio, il quale sia stato dichiarato interrotto per poi essere riassunto dal fallimento, deve essere dichiarata improcedibile l’opposizione mentre il giudice adito rimane competente a conoscere della domanda riconvenzionale proposta dal fallito e riassunta dal fallimento.