Sulla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società
L’azione di responsabilità esercitata ai sensi dell’art. 2476, co. 3, c.c. deve essere qualificata in termini di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., sicché in capo all’attore grava esclusivamente l’onere di allegare compiutamente la sussistenza delle violazioni agli obblighi imposti in capo agli amministratori, oltre agli elementi costitutivi della domanda risarcitoria quali il nesso di causalità e il danno verificatosi, incombendo, invece, sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.
La domanda di risarcimento del danno, quale debito di valore, include implicitamente la domanda di riconoscimento sia di interessi compensativi che del danno da svalutazione, quali componenti indispensabili del risarcimento. Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno hanno la funzione di compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito e pertanto costituiscono una necessaria componente dello stesso, come la somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, che non configura l’ipotesi di un risarcimento maggiore o diverso, ma soltanto una diversa espressione monetaria del medesimo.
La responsabilità del socio gestore di s.r.l.: l’intenzionalità dell’art. 2476, co. 8, c.c.
L’art. 2476, co. 8, c.c. estende la responsabilità degli amministratori ai soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. La norma, letta congiuntamente alle disposizioni sulla responsabilità da abuso di direzione e coordinamento (artt. 2497 ss.), disciplina il fenomeno della eterogestione nelle società, costituendo il fondamento giuridico dell’ammissibilità della responsabilità dei cosiddetti gestori di fatto delle società di capitali. La responsabilità in commento è, tuttavia, limitata alla sola ipotesi del dolo, come emerge dalla necessità che il compimento dell’atto dannoso sia stato deciso o autorizzato “intenzionalmente”, dovendo, dunque, provarsi la sussistenza della consapevolezza dell’illiceità e della dannosità dell’atto. L’intenzionalità ai fini della responsabilità del socio gestore di s.r.l. è costituita dalla riferibilità psicologica dell’atto al socio: è sufficiente al proposito che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio, dell’antigiuridicità dell’atto; a tal riguardo quest’ultima viene a configurarsi non solo quando l’atto deciso è contrario alla legge o all’atto costitutivo della società, ma anche quando l’atto, pur se di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, cioè con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale.
La responsabilità del socio come disciplinata ex art. 2476 c.c. ha un carattere tipico che non prevede equipollenti nell’ambito delle società azionarie. Invero, la circostanza che in materia di s.p.a. non è prevista una responsabilità dei soci è diretta conseguenza della mancanza di una norma simile a quella dell’art. 2479 c.c., che prevede la possibilità che gli statuti delle s.r.l. riservino poteri gestionali ai soci. Comunque, tale responsabilità sussisterebbe anche nell’ipotesi in cui, in assenza di un conferimento formale al socio di potere gestorio, questi abbia di fatto concorso nell’operazione intrapresa dall’amministratore, ovvero il socio abbia espresso la propria approvazione in termini autorizzativi, quindi ex ante.
Ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2476, co. 8, c.c. è richiesta una specifica connotazione soggettiva dell’agire del socio, il quale potrà essere coinvolto nella responsabilità degli amministratori solo con riferimento ad atti gestori dannosi decisi o autorizzati nella piena consapevolezza delle caratteristiche dell’atto e delle possibili conseguenze, non essendo invece sufficiente la mera volontà di intervenire nella gestione della società.
Nonostante il legislatore abbia omesso di disciplinare alcuni aspetti fondamentali relativi ai presupposti della responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, quali il grado di diligenza richiesta e l’obbligo di agire in modo informato, è la stessa natura dell’incarico a richiedere che per l’amministratore di società a responsabilità limitata (secondo lo schema delle obbligazioni di mezzi) venga adottato l’approccio valutativo di cui agli artt. 1176, co. 2, e 2236 c.c.
Il danno da violazioni fiscali ha natura indiretta per gli ex soci di società estinta
Non sussiste danno diretto per il socio in conseguenza delle violazioni degli amministratori in materia fiscale qualora l’imposizione di maggiori oneri fiscali per il socio sia conseguenza dell’avvenuta estinzione della società debitrice. In tal caso, l’incidenza della pretesa tributaria sul patrimonio del socio non è la conseguenza diretta della violazione tributaria, bensì di una circostanza estranea – l’estinzione della società -, che ha reso esigibile la pretesa tributaria nei confronti degli ex soci. Questa circostanza non muta la natura del danno, che resta un danno patrimoniale per la società. Ciò è vero, a fortiori, se l’accertamento è stato diretto ai soci in seguito alla cancellazione della società con distribuzione dell’attivo.
Azione di responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e onere della prova
In tema di azione di responsabilità promossa contro gli amministratori di una società di capitali, ove i comportamenti che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto, l’onere della prova gravante sulla parte attrice non si esaurisce nel dimostrare che l’amministratore abbia posto in essere le condotte produttive del danno, ma anche che in questo modo siano stati violati i suoi doveri di lealtà o di diligenza, spettando poi all’amministratore allegare e provare i fatti idonei ad escludere o ad attenuare la sua responsabilità.
L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti.
Ritardata messa in liquidazione e criteri di quantificazione del danno
Qualificazione dei versamenti effettuati dai soci e azione di responsabilità esercitata dal socio di s.r.l.
I versamenti dei soci possono assumere natura di conferimento o di finanziamento a titolo di capitale di credito. Al fine di valutare con esattezza la natura dei loro apporti è necessario accertare quanto previsto dalla delibera assembleare che li dispone, nonché verificare la collocazione assunta nel bilancio, ossia tra i crediti, figurando come “patrimonio”, ovvero tra i debiti, componendo la voce “finanziamento”. Occorre distinguere i prestiti o finanziamenti a titolo di mutuo – attributivi del diritto alla restituzione nel termine stabilito dalle parti ferma restando l’eventuale applicazione della disciplina della postergazione di cui agli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. – dagli apporti spontanei diversi dai veri e propri conferimenti ma pur sempre riconducibili alla categoria dei mezzi propri e classificabili in: (i) “versamenti a fondo perduto”, (ii) “versamenti in conto capitale”, svincolati da una futura delibera di aumento del capitale sociale e diretti ad incrementare il patrimonio della società in via definitiva, lasciandola libera di utilizzare le somme conseguite per gli scopi più vari senza doversi preoccupare di un eventuale diritto alla restituzione, (iii) “versamenti in conto di un futuro e determinato aumento di capitale”, i quali, da un punto di vista contabile, sono allocati provvisoriamente tra le riserve “targate” nell’ambito del patrimonio netto prima di passare a capitale a seguito della delibera di aumento, o (iv) “versamenti in conto di un aumento di capitale” genericamente collocato nel futuro.
Al fine di stabilire se i versamenti di somme di denaro eseguiti dal socio alla società possano ritenersi effettuati per un titolo che ne giustifichi la restituzione al di fuori dell’ipotesi di liquidazione, ovvero che essi non siano rimborsabili, occorre accertare, secondo le regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge, quale sia stata la reale intenzione delle parti tra le quali il rapporto si è instaurato. Al fine della corretta qualificazione giuridica dei versamente effettuati dai soci assume rilievo centrale la volontà negoziale, dovendosi trarre un indice inequivocabile non tanto nella denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere stato diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.
Per accertare volta per volta se tra i soci e la società sia intercorso un rapporto di finanziamento inquadrabile nello schema del mutuo (o in altro titolo idoneo a giustificare la pretesa restitutoria), oppure se i versamenti stessi costituiscano apporti finanziari, aggiunti ai conferimenti originari o a successivi aumento del capitale sociale, traducendosi in incrementi del patrimonio netto della società, occorre accertare, secondo le regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge, quale sia stata la reale intenzione delle parti tra le quali il rapporto si è instaurato. In tale indagine non è decisiva l’allocazione nel bilancio del relativo importo, in quanto – da un lato – il bilancio e le altre scritture contabili sono meri strumenti di rappresentazione del fatto di gestione e – dall’altro lato – è incongruo che la volontà di chi esegue il versamento possa desumersi da un atto della società che lo riceve, quale l’iscrizione in bilancio.
Il legislatore ha introdotto, con l’art. 2476 c.c., la legittimazione del singolo socio della s.r.l. a proporre azione di responsabilità contro amministratori o liquidatori, valorizzandone il ruolo di iniziativa. Il singolo socio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduto, gode di una legittimazione straordinaria, nell’interesse della società, riconducibile alla nozione di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.: pur se non necessariamente di natura surrogatoria, quantunque la sua azione supplisca, nella normalità dei casi, all’inerzia dell’assemblea. In altre parole, l’art. 2476, co. 3, c.c. attribuisce la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ad un soggetto, quale il socio, diverso dal titolare del diritto medesimo, che in nome proprio fa valere il diritto della persona giuridica alla reintegrazione per equivalente pecuniario del pregiudizio al proprio patrimonio derivato dalla violazione dei doveri di corretta e prudente gestione per legge e per statuto incombenti sull’amministratore. La norma si giustifica concettualmente sulla base della considerazione che il socio che assume l’iniziativa è titolare di un interesse giuridicamente apprezzabile costituito dalla volontà di preservare il valore della partecipazione sociale di cui è titolare; valore che è influenzato, da un lato, dal danno cagionato al patrimonio sociale dalle condotte dell’amministratore infedele e, dall’altro, dall’esito favorevole dell’azione che egli intenta. L’azione esercitata dal socio ai sensi del terzo comma dell’art. 2476 c.c. costituisce la medesima azione di cui è titolare la società e, precisamente, l’azione volta a far valere la responsabilità degli amministratori nei confronti dell’ente: la legge si limita, in questa prospettiva, a delineare una legittimazione concorrente e disgiuntiva spettante, per un verso, alla società e, per altro, al singolo socio il quale esercita l’azione sociale sulla base di una sostituzione processuale eccezionalmente ammessa dalla legge (art. 81 c.p.c.). La legittimazione sostitutiva del socio è una legittimazione straordinaria che si cumula a quella del titolare del diritto senza eliderla, e che trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare al meglio il diritto della società alla reintegrazione del danno che le derivi da atti di mala gestio, attraverso un penetrante controllo del socio sull’amministrazione. La società a cui appartiene il socio che agisce in virtù della sua legittimazione straordinaria e concorrente, deve essere sempre evocata in giudizio essendo un litisconsorte necessario. Una volta costituitasi, può con tutta evidenza aderire alle domande del socio oppure discostarsene; in tale ipotesi, è la legge che disciplina i termini in cui le scelte divergenti della società possono incidere sul diritto di azione del socio, laddove, nell’art. 2476, co. 5, c.c., prevede la possibilità per la società di rinunciare all’azione o transigere con effetto preclusivo di ogni altra azione promossa individualmente dal singolo socio – a condizione che vi consentano i 2/3 del capitale e gli eventuali dissenzienti non raggiungano 1/10 del capitale –, così bilanciando gli interessi contrapposti e ponendo un argine a eventuali iniziative strumentali del socio di minoranza.
L’art. 2476, co. 1, c.c. statuisce che l’amministratore della società a responsabilità limitata risponde verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri ad esso imposti dalla legge o dall’atto costitutivo; la responsabilità dell’amministratore sussiste quindi solo in presenza della violazione dei suddetti obblighi, della realizzazione di un danno al patrimonio sociale e della presenza di un nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione del danno. Inoltre, il socio può dedurre che la condotta dell’amministratore ha causato un danno direttamente al suo patrimonio ai sensi dell’art. 2476, co. 6 [oggi 7], c.c. ed essere risarcito del relativo danno nella misura in cui esso non costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c., sostanzialmente richiamato per le s.r.l. dall’art. 2476, co. 6 [oggi 7], c.c., esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscano danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.
Responsabilità dell’amministratore di diritto e condotte distrattive dell’amministratore di fatto
Le condotte distrattive aventi a oggetto disponibilità liquide della società e beni aziendali poste in essere dal socio costituiscono certamente una fonte di danno per la società, danno del quale non può che essere chiamato a rispondere (anche) l’amministratore di diritto il quale – consentendo al socio la gestione dei rapporti con i clienti senza alcuna formalizzazione, omettendo qualsivoglia controllo o contestazione sul suo operato e anzi agendo nei confronti dei debitori contestando la legittimazione dello stesso a ricevere i pagamenti, senza invece intraprendere alcuna iniziativa nei suoi confronti – con la sua condotta inerte ha violato gli obblighi di diligenza connessi alla carica.
Valutazione equitativa del danno da prosecuzione illegittima dell’attività
Per ricorrere al criterio equitativo per la determinazione del danno è necessaria l’allegazione e la prova delle ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta. Pertanto, è possibile ricorrere al criterio equitativo soltanto se non sia possibile una ricostruzione analitica del danno lamentato.
Responsabilità degli amministratori di s.r.l.: in particolare, la legittimazione attiva della società
La legittimazione a promuovere l’azione di responsabilità nelle s.r.l. ai sensi dell’art. 2476 c.c. spetta, in via concorrente, al socio e alla società, essendo attribuita al socio in sostituzione della società e alla società quale soggetto direttamente danneggiato dalle violazioni contestate agli amministratori. Una lettura diversa della norma sarebbe in contrasto con l’art. 24 cost., in quanto priverebbe il soggetto titolare del diritto della possibilità di agire in giudizio per farlo valere.
L’amministratore di diritto risponde dell’inosservanza degli obblighi a lui imposti dalla legge e dallo statuto, ma è altresì responsabile per non aver impedito, omettendo i necessari controlli, i danni causati alla società dall’ingerenza di un soggetto che abbia agito quale amministratore di fatto.
Con riferimento all’onere della prova, la responsabilità degli amministratori nelle s.r.l. si inquadra nell’ambito della responsabilità contrattuale. Tale responsabilità, in conformità al dettato normativo che prevede espressamente l’onere della prova sull’assenza di colpa in capo all’amministratore, può essere qualificata come un caso particolare di responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c.
La responsabilità solidale degli amministratori della s.r.l. per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società non costituisce una forma di responsabilità oggettiva posto che l’esonero da responsabilità previsto dall’art. 2476 c.c. non è ancorato al mero procedimento di rituale verbalizzazione del dissenso in occasione del consiglio di amministrazione deliberante, ma all’effettiva mancanza di qualsiasi profilo di colpa.
Tribunale delle imprese e inammissibilità del procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c.
Il Tribunale delle imprese decide sempre in composizione collegiale le controversie rimesse alla sua cognizione ed è [ LEGGI TUTTO ]