L’abuso del voto da parte del socio di maggioranza e revoca dell’amministratore nelle società per azioni con partecipazione pubblica
Sussiste la legittimazione dell’amministratore revocato alla impugnativa della deliberazione che lo lede sia con riguardo a violazioni delle norme procedimentali, sia con riguardo a profili di eccesso di potere o di conflitto di interessi del socio votante.
L’abuso del voto da parte del socio di maggioranza costituisce un caso di violazione dei doveri generali di buona fede nell’esercizio del diritto (1375 c.c.). Tale vizio sussiste quando il socio maggioritario, che sta in società nel proprio interesse e pertanto in assemblea legittimamente vota nel proprio interesse, orienta il proprio voto al solo fine di ledere il socio di minoranza, oppure a proprio vantaggio ma in modo da imporre al socio di minoranza un sacrificio del suo interesse del tutto sproporzionato, sì che il risultato è ottenuto dal socio maggioritario avvantaggiandosi ingiustificatamente a discapito del socio di minoranza. La buona fede che viene in esame delimita il perimetro di esercizio dei diritti del socio nei rapporti con gli altri soci, e non rispetto alla società. I soci infatti non sono investiti di doveri gestori, e, nelle società per azioni, neppure opera una regola paragonabile all’art. 2476 ultimo comma c.c., che delinea il caso del consapevole concorso dei soci nell’attività gestoria illecita degli amministratori. È ben vero che nella fattispecie dell’abuso di voto viene anche in esame l’interesse della società, ma ciò non funge da elemento principale nella fattispecie, bensì piuttosto da elemento di riscontro, in quanto l’assenza di un percepibile vantaggio sociale, derivante dal voto allegatamente abusivo, può dare sostegno alla ricostruzione, che solitamente avviene su base indiziaria, dell’illecito intento del socio di maggioranza.
La società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato, poiché all’ente pubblico non è consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autoritativi, potendo esso avvalersi solo degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi della società. Sono dunque attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla revoca degli amministratori, nominati ai sensi dell’art. 2449 c.c., della società partecipata da ente pubblico, in quanto la predetta revoca costituisce atto dell’ente pubblico “a valle” della scelta iniziale di impiegare lo strumento societario, emanato in base al diritto privato e da questo regolato.
La società è retta solo dallo statuto, e non dai patti diversi pur stipulati fra i soci, e i diritti e doveri dei consiglieri sono regolati dalla legge e dallo statuto, e ciò sia nei doveri di buona, prudente, professionale gestione, da svolgere nell’interesse della società, e tenendo conto delle decisioni dei soci che siano espresse nelle sedi e nelle forme proprie delle società; sia nei diritti derivanti dal regime legale e statutario delle revoche. Pertanto, in primo luogo, l’amministratore è tenuto a mettere in campo tutte le iniziative opportune perché la società operi correttamente e proficuamente, e ciò anche partecipando alle decisioni dell’organo gestorio relative al conferimento, alla revoca, o alla sospensione conferite ai singoli consiglieri.
La sussistenza della giusta causa della revoca è da valutarsi alla luce dei principi generali, come ricostruiti dalla giurisprudenza, e secondo i quali per la sua sussistenza non occorre che l’amministratore revocato abbia commesso violazioni ai suoi doveri gestori, ma è pur sempre necessario che sussistano circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto e tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacità dell’amministratore. Deve trattarsi di fatti oggettivamente valutabili. Se infatti alla base della revoca sta un venire meno del rapporto fiduciario con l’amministratore, tale venire meno non può riposare su considerazioni soggettive dei soci. Essa può consistere in fatti che minino il “pactum ficuciae”, elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dell’amministratore, sempre che essi siano oggettivamente valutabili come capaci di mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato, e non costituiscano, invece, il mero inadempimento ad una inesistente soggezione dell’amministratore stesso alle direttive del socio di maggioranza, pur se pubblico.
Diritti amministrativi del socio ed inibitoria dal voto
La tutela cautelare inibitoria ante causam nei confronti di un socio – inerente la modalità di espressione del diritto di voto da assumere in una data assemblea – diretta ad impedire l’assunzione di una data deliberazione, può essere oggetto di riconoscimento, purché il provvedimento intervenga prima della assemblea cui si riferisce, venendo meno in caso contrario l’interesse ad agire e, quindi, al provvedimento cautelare richiesto.
Non è proponibile ed è inammissibile in sede cautelare la domanda di risarcimento volta alla condanna nei confronti dell’amministratore di società per fatti inerenti la gestione, stante la natura di domanda condannatoria esperibile esclusivamente nel giudizio di merito.
L’uso promiscuo dei fondi sociali giustifica la nomina di un amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c.
Risoluzione dei patti parasociali
La risoluzione dei c.d. patti parasociali è giustificata da gravi inadempimenti contrattuali e comportamenti non conformi agli obblighi fiduciari dell’amministratore. Inoltre, qualsiasi domanda riconvenzionale correlata, con la quale vengono vantati dei diritti può essere considerata valida – e accolta – nella misura in cui venga provata la sussistenza di tali diritti vantati.
Denunzia al tribunale: il provvedimento di revoca dell’amministratore è limitato ai casi più gravi
Il provvedimento di revoca dell’amministratore di cui all’art. 2409, co. 4, c.c., è da riservarsi ai “casi più gravi”, cioè alle irregolarità gravissime. Il richiamo espresso solo ai “casi più gravi”, segna la latitudine oggettiva massima della fattispecie e, conseguentemente, consente, per i casi di irregolarità gravi ma non gravissime, una modulazione del provvedimento da adattare alla molteplicità e varietà delle situazioni che possono presentarsi.
Gli opportuni provvedimenti provvisori di cui all’art. 2409, co. 4, c.c. hanno per lo più natura inibitoria e quindi una portata non adeguata alle situazioni in cui non si tratta di inibire, ma di promuovere comportamenti corretti.
Il mutamento dell’organo amministrativo della società non comporta di per sé l’improcedibilità del ricorso ex art. 2409 c.c., atteso che l’attività di controllo giudiziario deve essere proseguita fino a quando non siano definitivamente dissipati i sospetti di gravi irregolarità.
Revoca dell’amministratore per violazione di una norma ordinamentale interna alla holding
Sulla revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata
In difetto di specifiche disposizioni normative o statutarie di segno contrario, la disciplina dettata in materia dall’art. 2383 c.c. con riferimento alle s.p.a. – che consente la revoca c.d. ad nutum dell’amministratore, al quale spetta soltanto il diritto al risarcimento del danno nel caso di sua destituzione senza una giusta causa – è applicabile in via analogica, stante l’eadem ratio, anche agli amministratori di società a responsabilità limitata.
La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale “species” a sé stante al “genus” del mandato, l’amministratore revocato “ante tempus” senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio posto dall’art. 1725, comma 1, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario.
E’ onere per la società di indicare già nella delibera, in modo specifico, i fatti ed i motivi integranti, a suo dire, la giusta causa di revoca. Deve, in generale, trattarsi di fatti integranti un grave inadempimento degli obblighi gestori o che, in ogni caso, hanno irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario tra società e suo amministratore. Sarà pure onere per la società di provare l’esistenza e l’incidenza/gravità dei fatti addebitati in delibera a fronte delle contestazioni svolte dall’amministratore che si reputi revocato senza giusta causa e che, per tale ragione, chiede il dovuto ristoro.
La giusta causa per la revoca dell’amministratore, prevista dall’art. 2383, terzo comma, c.c., può consistere non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall’incarico, ma anche in fatti che minino il “pactum ficuciae”, elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dell’amministratore, sempre che essi siano oggettivamente valutabili come capaci di mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato, e non costituiscano, invece, il mero inadempimento ad una inesistente soggezione dell’amministratore stesso alle direttive del socio di maggioranza.
Cessione di quote e revoca dell’amministratore
Ai sensi dell’art. 1395 c.c. è esclusa l’annullabilità del contratto stipulato dal rappresentante con se stesso in due ordini di casi: nel caso in cui a ciò sia stato autorizzato il procuratore con la procura ovvero nel caso in cui il contenuto del contratto sia predeterminato in modo da prevenire la possibilità di un conflitto di interessi che è visto come intrinseco in tale modalità di stipulazione.
Nell’ipotesi di mandato conferito nell’interesse del mandatario con attribuzione di procura, la irrevocabilità del mandato è limitata al rapporto interno tra il mandante ed il mandatario e, pertanto, la validità del contratto concluso con il terzo dal mandatario, resta subordinata alla permanenza del potere di rappresentanza ed alla mancanza di revoca della procura. La revoca della procura determina la estinzione del potere di rappresentanza (art. 1396 c.c.) con la conseguenza che il contratto concluso dal rappresentante senza potere è privo di efficacia
La scelta di revocare gli amministratori è dalla legge rimessa all’assemblea ma è contemperata dalla previsione, per il caso di revoca senza giusta causa, del diritto dell’amministratore revocato al risarcimento del danno prodotto dallo scioglimento anticipato del rapporto; in difetto di giusta causa di revoca spetta all’amministratore rimosso dall’ufficio il diritto a percepire il compenso (pattuito o stabilito giudizialmente) fino alla scadenza (cd. periodo differenziale) o in caso di incarico a tempo indeterminato, alla percezione di un compenso la cui quantificazione è determinata nella misura del periodo di mancato preavviso o in via equitativa.
Se è certamente vero che, in caso di revoca senza giusta causa, all’amministratore revocato non è data altra tutela che quella risarcitoria, non può negarsi, tuttavia, che l’amministratore revocato mantenga la propria legittimazione ad impugnare la deliberazione di revoca qualora intenda lamentare che la stessa non è stata correttamente assunta. Invero, la legittimazione degli amministratori ad impugnare le deliberazioni assembleari si fonda non già su un proprio interesse, ma sull’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria, che implica l’esistenza di un diritto ad impugnare anche nel caso in cui la decisione invalida sia stata approvata dai soci all’unanimità.
Nelle società di capitali, il divieto per l’amministratore, ai sensi dell’art 2390 primo comma cod. civ., di assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile in società concorrenti, o di esercitare comunque attività concorrente, tendendo ad evitare che l’amministratore durante il suo ufficio, si trovi in situazioni di dannoso antagonismo con la società amministrata, opera a prescindere dal momento in cui egli abbia assunto la qualità incompatibile, od intrapreso l’attività concorrente, ed anche, quindi, se le indicate situazioni siano non successive, ma preesistenti alla sua nomina. In entrambi i casi pero, l’inosservanza del divieto in questione non tocca la validità della delibera assembleare di nomina dell’amministratore, né determina, nella seconda ipotesi, l’ineleggibilità del medesimo, ma comporta solo l’obbligo per l’amministratore di dismettere la qualità o l’attività incompatibile, al fine di non esporsi alla sanzione della revoca, salvo che abbia ricevuto autorizzazione in forza di rituale delibera della assemblea dei soci, od in forza di espressa clausola dello statuto. Non si ha, quindi, né invalidità della delibera né ineleggibilità dell’amministratore che operi quale amministratore anche di altra società concorrente, ma solo causa di revoca rimessa all’assemblea.
Revoca dell’amministratore e risarcimento danni
Costituisce ius receptum il principio di diritto secondo il quale nelle società di capitali l’assemblea può revocare l’amministratore in qualsiasi momento (o meglio ha la facoltà di revocare a discrezione l’amministratore), potere che però trova un limite nella sussistenza della “giusta causa”, la cui carenza comporta non l’illegittimità della delibera di revoca, quanto piuttosto il diritto dell’amministratore anticipatamente revocato al risarcimento del danno patito come diretta conseguenza della revoca stessa. Sotto quest’ultimo profilo, uno dei presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria è costituito dal fatto che il danno del quale si chiede il risarcimento si ponga in un rapporto di correlazione causale diretta con la delibera di revoca.