Revoca dell’amministrazione senza giusta causa
Se potenzialmente qualsiasi situazione sopravvenuta, anche estranea all’operato degli amministratori, è suscettibile di elidere e far venir meno il patto fiduciario tra soci e consiglio di amministrazione, le cause della rottura del pactum devono comunque poter essere chiaramente dedotte dalla delibera assembleare di revoca dell’amministratore. La facoltà di revocare a propria discrezione gli amministratori trova infatti un limite nel presupposto della giusta causa, le cui ragioni devono essere, quindi, esposte nella delibera. L’indicazione delle ragioni nella delibera è imposta dalla circostanza che la revoca è atto dell’assemblea e in seno ad essa le ragioni della revoca trovano la loro ponderazione e valutazione. Occorre l’enunciazione esplicita a verbale in ordine alle ragioni di revoca, che devono presentare i caratteri di effettività ed essere ivi riportate in modo adeguatamente specifico; mentre la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non è ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione.
Nel caso di revoca dell’incarico di amministratore senza giusta causa, il danno consiste nel lucro cessante, cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca.
Revoca dell’amministratore senza giusta causa e diritto al risarcimento danni: interruzione della prescrizione e dies a quo per far valere il diritto al risarcimento
Il diritto al compenso dell’amministratore, giacché derivante dal rapporto societario, in quanto istituito fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta del contratto di società o delle situazioni determinate dallo svolgimento della vita sociale, è soggetto al termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949 c.c.
Il ricorso giuslavoristico proposto dall’ex amministratore ex art. 414 c.p.c. per ottenere il riconoscimento di un trattamento retributivo unitario e globale, comprensivo, cioè, oltre che dell’importo dovuto a titolo di dirigente con contratto di lavoro subordinato, anche dell’importo, pure preteso nel separato e successivo giudizio, a titolo di compensi per l’incarico gestorio svolto quale consigliere di amministrazione (di fatto erogato allo stesso soggetto quale emolumento relativo alla carica di amministratore delegato, a suo dire, apparentemente conferitagli ed assunta), è idoneo ad interrompere la prescrizione ai sensi degli artt. 2934 e 2944 c.c. Ne consegue che il diritto al risarcimento dei danni per la revoca senza giusta causa dalla carica di amministratore non può essere esercitato in giudizio prima del passaggio in giudicato della sentenza resa a conclusione del giudizio giuslavoristico che, escludendo l’asserita simulazione, affermi definitivamente, l’esistenza del rapporto gestorio in contestazione; diversamente opinando, infatti, all’attore verrebbe preclusa, per effetto dell’eccepita prescrizione, la facoltà di far valere il proprio diritto prima ancora del definitivo accertamento della natura reale e non fittizia del rapporto (di amministrazione) da cui detto diritto discende.
Con la possibilità dell’assemblea di revocare gli amministratori “in qualunque tempo” a norma dell’articolo 2383, comma III, c.c., la società è investita di una forma di autotutela privata in forza della quale lo scioglimento del rapporto gestorio si verifica mediante la delibera assembleare e il controllo di questa spetta al giudice soltanto in seconda battuta ed esclusivamente ai fini della liquidazione dell’eventuale risarcimento, ove la revoca non sia sorretta da una giusta causa. La nozione di “giusta causa” è distinta sia dal mero “inadempimento”, sia dalle “gravi irregolarità” di cui all’art. 2409 c.c., concernendo essa, infatti, circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento e non necessariamente cagionate dall’amministratore stesso, che, tuttavia, pregiudichino l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità, cioè compromettano il rapporto fiduciario tra le parti. L’assenza della giusta causa incide solamente in punto di risarcimento dei danni non inficiando la validità o l’efficacia della revoca, rappresentando quest’ultima atto lecito e manifestazione del diritto dei soci ai sensi dell’art. 2364 c.c., con il solo limite che i motivi di giusta causa di revoca, quantomeno nei loro elementi essenziali, devono però essere esplicitati nella delibera di revoca (sul punto, v., ex multis, Trib. Milano, 20 dicembre 2005); infatti, come ormai pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, l’accertamento in ordine alla sussistenza di una giusta causa di revoca può avere a oggetto solo le ragioni poste alla base della decisione dei soci (così, tra le altre, Cass., 2037/18).
Come ritenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità, l’onere probatorio in ordine al venir meno del diritto al risarcimento del danno dell’amministratore per la revoca anticipata dalla carica grava sulla società a norma dell’art. 2697 c.c. (nel caso di specie, la società convenuta non ha addotto fatti idonei oggettivamente a minare la valutazione circa la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato e, quindi, tali da incidere negativamente sul rapporto fiduciario intercorrente tra le parti, con la conseguenza che la domanda attorea è stata accolta e la società, per l’effetto, condannata, a titolo di risarcimento del danno sofferto dall’amministratore per la revoca senza giusta causa dalla carica, al pagamento dell’importo pari agli emolumenti non percepiti nel periodo di anticipata cessazione del rapporto gestorio).
Diritto al compenso dell’amministratore e risarcimento del danno ex art. 2383 c.c. per revoca senza giusta causa
La regola della presunta onerosità del mandato applicata al rapporto di amministrazione comunque richiede che l’amministratore – attore nei confronti della società per la condanna al pagamento del proprio compenso non determinato all’atto della nomina (e nemmeno rinunciato in tale occasione o per effetto di una clausola statutaria che preveda la gratuità dell’incarico) – provi non solo l’esistenza di un valido titolo (la nomina da parte dell’assemblea) ma anche le specifiche mansioni espletate nonché il grado di complessità delle stesse, così da consentire al giudice la determinazione del compenso secondo i parametri fissati dall’art. 2225 c.c. in via generale per il lavoro autonomo ed analogicamente applicabili al rapporto di amministrazione.
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