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2 Gennaio 2025

La prova del legame causale tra condotta e danno nell’illecito di concorrenza sleale

Per accertare l’integrazione dell’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 è necessaria una pluralità di elementi: anzitutto, la comunanza di clientela e un rapporto di concorrenzialità tra le parti interessate; in secondo luogo, il compimento di atti di concorrenza sleale da parte di uno dei soggetti coinvolti; in terzo luogo, la sussistenza di un danno risarcibile e il nesso eziologico tra tale danno e la condotta sleale di controparte; infine, il coefficiente psicologico della colpa in capo al danneggiante (presunto, ex art. 2600 c.c., salva prova contraria).

Il danno cagionato dagli atti di concorrenza sleale non è in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione. Se è vero che l’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa che onera l’autore degli stessi della dimostrazione dell’assenza dell’elemento soggettivo ai fini dell’esclusione della sua responsabilità, è altrettanto vero che il corrispondente danno cagionato dalla condotta anticoncorrenziale necessita di essere provato dal danneggiato.

La prova del danno subito e del legame causale tra condotta e danno, in ossequio alla ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., grava dunque sul danneggiato. Il mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra condotta e danno assorbe ogni indagine ulteriore e impone il rigetto della domanda risarcitoria di parte attrice.

28 Novembre 2024

Azione di responsabilità esercitata dal curatore e mancata restituzione delle immobilizzazioni materiali

L’azione di responsabilità esperita dalla curatela fallimentare ai sensi dell’art. 146 L.F. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia dell’azione sociale di responsabilità’ ex artt. 2392 e 2393 C.C. – che si ricollegano alla violazione da parte degli amministratori di specifici obblighi di derivazione legale o pattizia che si siano tradotti in pregiudizio per il patrimonio sociale -, che dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2934 C.C., – tendente alla reintegrazione del patrimonio sociale diminuito dall’inosservanza degli obblighi facenti capo all’amministratore.

In applicazione degli ordinari canoni probatori che sovraintendono il processo civile, nell’azione di responsabilità ex art. 146 L.F., grava sulla Curatela attrice l’onere di provare – giusta l’art. 2697 c.c. – la violazione dei doveri e degli obblighi di derivazione pattizia o legale legati alla assunzione dell’incarico da parte dell’amministratore sia l’esistenza di specifiche e determinate voci di danno eziologicamente riconducibili alla inosservanza dei suddetti obblighi e doveri.

Nel caso in cui la Curatela attrice imputi al convenuto la distrazione di beni dalla società e quest’ultimo abbia pacificamente riconosciuto l’addebito, in mancanza della prospettata consegna, deve ritenersi che le immobilizzazioni materiali siano state perse, distrutte o distratte in epoca non accertabile con corrispondente danno per la società e per i creditori. La mancata consegna di beni de quo integra gli estremi della responsabilità ex art. 146 L.F. e 2394 C.C., posto che l’amministratore ha evidentemente violato l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio non consegnando detti beni.

In ordine alla quantificazione del danno, nell’azione di responsabilità per mala gestio promossa nei confronti dell’amministratore, il danno risarcibile può essere determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, quale plausibile parametro per una liquidazione equitativa, purché sia stato allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore. Invero, siffatto criterio, in quanto caratterizzato da un’elevata dose di approssimazione, può avere un utilizzo concreto in due sole fattispecie. La prima è quella della mancanza, falsità o totale inattendibilità della contabilità e dei bilanci della società dichiarata fallita, situazione che determina l’impossibilità di ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e quindi il necessario ricorso ad un criterio scevro da agganci a precisi parametri. La seconda è quella in cui il dissesto sia stato cagionato da un’attività distrattiva così reiterata e sistematica, da escludere la possibilità concreta di una quantificazione parametrata sul valore dei beni distratti e dissipati

18 Settembre 2024

Smarrimento dei documenti contabili e obbligo di consegna dell’amministratore uscente

L’obbligo dell’amministratore uscente di consegnare al nuovo amministratore la documentazione sociale rimasta in suo possesso trova fondamento nella previsione dell’art. 1713, co. 1 c.c., che impone al mandatario il c.d. obbligo di rendiconto, il quale può trovare applicazione anche al contratto di amministrazione, in quanto riconducibile al mandato.

Trattandosi di una vera e propria obbligazione (di dare), quest’ultima deve avere ad oggetto una prestazione possibile, cioè suscettibile di essere eseguita, per cui è necessario che la documentazione richiesta si trovi nella materiale disponibilità dell’ex amministratore-debitore affinché questi possa effettivamente adempiere, con la conseguenza che ai sensi dell’art. 1257 c.c. – secondo cui la prestazione avente ad oggetto una cosa determinata si considera divenuta impossibile anche quando la res viene smarrita senza che possa esserne provato il perimento – è inammissibile la condanna alla consegna, fatto salvo il diritto della società al risarcimento del danno nel caso di colpa dell’amministratore per il mancato rinvenimento.

La riconducibilità dell’obbligazione gravante sull’ex-amministratore alla disciplina del mandato e il rigetto della richiesta cautelare “in forma specifica” per carenza di prova del fumus non escludono la configurazione in capo allo stesso di un obbligo generale di rendiconto dell’attività gestoria svolta sino alla cessazione dalla carica.

 

12 Agosto 2024

Sull’onere della prova nell’azione sociale di responsabilità degli amministratori

L’azione sociale di responsabilità richiede che la società alleghi l’inadempimento degli obblighi gestori in capo all’amministratore, primo tra tutti l’obbligo di conservazione del patrimonio sociale, nonché alleghi e provi il danno ed il nesso causale rispetto all’inadempimento, danno che, in caso di atti distrattivi, consisterà nella perdita patrimoniale cagionata dalla relativa sottrazione imputabile all’organo amministrativo.

L’amministratore convenuto dovrà, invece, allegare e provare, ai sensi dell’art. 1218 cc, di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio della società: egli è pertanto onerato di provare che gli atti di disposizione patrimoniale compiuti siano stati adottati nell’interesse della società, ovvero di non aver potuto adempiere a detti obblighi conservativi per fatto non imputabile.

31 Luglio 2024

Revoca cautelare di amministratore di s.r.l. e azione di responsabilità

La revoca cautelare dell’amministratore prevista dall’art. 2476, terzo comma, cod. civ, deve ritenersi ammissibile non solo se proposta quale tutela strumentale ad un’azione di responsabilità di natura risarcitoria ma anche in relazione ad un’azione meritale di revoca dell’amministratore. Nel primo caso la cautela assume una natura latu sensu conservativa poiché non tutela il vero e proprio diritto al risarcimento del danno – per il quale è esercitabile il sequestro conservativo – ma piuttosto mira a prevenirne l’aggravamento, nel secondo caso assume una natura anticipatoria della revoca definitiva. In effetti, il termine “altresì”, contenuto nella disposizione normativa in esame, deve essere considerato ed intendersi come attributivo di un potere aggiuntivo del socio, svincolato rispetto alla proposizione della azione sociale di responsabilità, ovvero quello di proporre l’azione non solo cautelare ma anche di merito per la revoca dello stesso amministratore, non sussistendo quindi alcuna violazione dell’art. 2908 cod. civ.. Tale orientamento si ritiene possa essere ribadito anche con l’entrata in vigore del D. Lgs. N. 14/2019, che ha esteso anche alle s.r.l. la tutela prevista dall’art 2409 cod. civ. Si tratta di due tutele che possono considerarsi concorrenti, prevedendo regimi diversi quanto, ad esempio, a legittimazione (potendo, il rimedio di cui all’art. 2476 cod. civ. essere esercitato da ciascun socio a prescindere dall’entità delle partecipazioni) e alla tipologia dei provvedimenti che possono essere assunti dal Tribunale, che, in senso al procedimento di cui all’art. 2409 cod. civ. può adottare provvedimenti di diversa natura. Deve peraltro osservarsi che l’amministratore provvisorio nominato dal Tribunale assolve un munus di durata provvisoria, laddove invece, nel caso di revoca cautelare, la nomina del nuovo amministratore è rimessa alla società e potrebbe assumere maggiore stabilità.

L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Nel caso di azione di revoca dell’amministratore, le allegazioni devono essere idonee a comprovare l’esistenza di gravi irregolarità gestorie, foriere di un grave pregiudizio al patrimonio sociale. Ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, parte attrice deve poi provare l’esistenza del danno lamentato, la sua quantificazione e la sua riconducibilità alla condotta dell’amministratore convenuto.

11 Giugno 2024

Natura della cauzione ex art. 2445 c.c. e tutela del creditore danneggiato dalla fusione

La cauzione imposta ai sensi dell’art. 2445 c.c. (richiamato dall’art. 2503 c.c.) ha un carattere lato sensu cautelare e strumentale, poiché è finalizzata a garantire il creditore dai danni che la fusione può provocargli, ma non rappresenta l’oggetto di un diritto al mantenimento che il creditore stesso può esercitare nei confronti delle società che l’hanno posta in essere.

La responsabilità da fusione, che fonda il diritto al risarcimento ex art. 2504-quater c.c., non genera un obbligo di adempimento in luogo della società incorporata (nell’ipotesi che questa fosse debitrice), ma solo un obbligo di riparazione di quei danni direttamente provocati dalla fusione stessa, ossia limitato alla perdita di quella parte del credito divenuta irrealizzabile proprio a causa della incorporazione: è quindi necessario che il credito prima dell’operazione denunciata potesse essere soddisfatto, almeno in una determinata misura, e che dopo l’operazione non lo sia più, o lo sia in misura inferiore.

Responsabilità degli amministratori non esecutivi

Ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione sociale di responsabilità rileva non già il momento in cui il presupposto dell’azione prevista dall’art. 2394 c.c. è effettivamente conosciuto dai creditori sociali, ma il momento in cui il presupposto di quell’azione diviene da loro oggettivamente percepibile, con due precisazioni: in primo luogo, questo presupposto riguarda l’insufficienza della garanzia patrimoniale generica della società e non corrisponde perciò né allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., né alla perdita integrale del capitale sociale; in secondo luogo, il momento in cui questo presupposto diviene oggettivamente conoscibile dai creditori sociali non coincide necessariamente con la dichiarazione di fallimento, ma può collocarsi tanto anteriormente quanto posteriormente ad essa.
L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, rilevante ai fini del decorso della prescrizione quinquennale, può risultare dal bilancio sociale che costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere. Sicché spetta al giudice di merito, con un apprezzamento in fatto insindacabile in cassazione, accertare se la relazione dei sindaci al bilancio che abbia evidenziato l’inadeguatezza della valutazione di alcune voci – a fronte della quale l’assemblea abbia comunque deliberato la distribuzione di utili ai soci, senza rilievi da parte degli organi di controllo -, sia idonea a integrare di per sé l’elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale.

In tema di responsabilità degli amministratori, l’assenza di delega non esonera di per sé da responsabilità, poiché sugli amministratori grava l’obbligo di verificare e controllare il corretto esercizio della delega conferita ad altri. Di fatti, ai sensi dell’art. 2381, co. 3, c.c., i componenti del CdA deleganti sono comunque tenuti a valutare l’operato dei delegati, richiedere informazioni, impartire direttive, avocare a sé il compimento di atti, tutti doveri che si riflettono nella responsabilità solidale degli amministratori, prevista dall’art. 2392, co. 2, c.c. nel caso in cui pur essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno adottato le misure idonee a impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.

La responsabilità dell’amministratore non esecutivo si configura come condotta omissiva colposa, laddove la colpa può consistere, in primo luogo, in un difetto di conoscenza, per non avere rilevato colposamente l’altrui illecita gestione: non è decisivo che nulla traspaia da formali relazioni del comitato esecutivo o degli amministratori delegati, né dalla loro presenza in consiglio, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni, non essendo esonerato da responsabilità l’amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente. Pertanto, si può parlare di colpa in capo all’amministratore nel non rilevare i cd. segnali d’allarme, individuabili anche nella soggezione all’altrui gestione personalistica.

L’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della mera posizione di garanzia, ma risponde per una propria condotta omissiva consistente nel mancato esercizio dei poteri impeditivi che l’ordinamento gli riconosce, quali, ad esempio, le richieste di convocazione del consiglio di amministrazione, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima o all’impugnazione della deliberazione viziata, l’attivazione ai fini all’avocazione dei poteri, gli inviti ai delegati di desistere dall’attività dannosa, la denunzia alla pubblica autorità, con informazione al p.m. ai fini della richiesta ex art. 2409 c.c., nella formulazione ante riforma.

Nel caso di responsabilità dell’amministratore per omesso versamento di imposte, il danno risarcibile non coincide con le imposte non versate, che, siccome dovute, rappresentano un debito titolato, che non diventa danno solo per il fatto di essere rimasto inadempiuto, ma è pari all’importo delle sanzioni, spese esecutive e aggi, che non sarebbero stati applicati se l’amministratore avesse ottemperato tempestivamente all’obbligo di versamento delle imposte.

In tema di responsabilità dei sindaci, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, co. 2, c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate ovvero denunciandole al tribunale, ai sensi dell’art. 2409 c.c.

Responsabilità degli amministratori per prosecuzione dell’attività d’impresa: onere della prova

Il curatore che propone ex art. 146 l. fall. l’azione di responsabilità contro gli amministratori per i danni cagionati alla società amministrata, a causa della prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa in violazione degli artt. 2485 e 2486 c.c., deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, nonché provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno. Spetta invece agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestategli, l’osservanza dei doveri previsti dalla legge e dallo statuto.

Nel caso in cui la condotta addebitata all’amministratore sia quella di aver proseguito l’attività caratteristica dell’impresa, nonostante l’integrale perdita del capitale sociale, e la conseguente violazione degli artt. 2485 e ss. c.c., la curatela è tenuta ad allegare il compimento di attività non conservativa, ma non ad indicare necessariamente le singole condotte espressione dell’attività d’impresa che siano foriere di danno (specie se trattasi di imprese che operano a ciclo produttivo continuo).

Ai fini della risarcibilità del preteso danno, il curatore, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore ai doveri gestori, deve anche allegare e provare, sia pure ricorrendo a presunzioni, l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale, e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente.

La quantificazione del danno patito va effettuata secondo il criterio della differenza tra netti patrimoniali ex art. 2486 c.c.

4 Giugno 2024

Azione di responsabilità contro il liquidatore di s.r.l.

Ai sensi dell’art. 2495 c.c., una volta cancellata la società dal registro delle imprese, i creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far valere le loro pretese creditorie nei confronti del liquidatore se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questo.

L’azione di responsabilità contro il liquidatore di s.r.l. è un’azione di natura extracontrattuale, trattandosi di lesione di credito del terzo. Affinchè possa essere fatta valere la pretesa creditoria nei confronti del liquidatore è necessario provare: il mancato soddisfacimento del credito; una condotta dolosa o colposa del liquidatore; un nesso di causalità tra tale condotta e il mancato pagamento.

Ai fini della corretta individuazione della somma da corrispondere al creditore leso è necessario tenere in considerazione che il danno non corrsiponde necessariamente alla somma nominale del credito vantato dall’attore e non soddisfatto in sede di liquidazione ove l’attivo a bilancio non potesse consentire – in tutto o in parte- in ogni caso il soddisfacimento di tale posta. Su tale somma, da liquidare a titolo risarcitorio, è necessario computare gli interessi oltre alle spese di lite da riconoscere a carico del convenuto.

29 Maggio 2024

Azione di responsabilità sociale nei confronti dell’ amministratore delegato

L’amministratore delegato che conclude contratti per conto della società a costi superiori rispetto a quelli necessari, percependo indebitamente denaro tramite provvigioni, si espone a un’azione di responsabilità sociale nei suoi confronti ai sensi degli artt. 2392 c.c. e 2393 c.c. per mala gestio.

In aggiunta al risarcimento danni dovuto alla società interessata, è possibile stimare un risarcimento legato alla perdita di immagine e di reputazione commerciale ai sensi dell’art. 2059 c.c., che ammette il ristoro del danno non patrimoniale nei casi previsti dalla legge e, dunque, anche nei casi di fatti lesivi costituenti reato o che incidano su una situazione giuridica soggettiva della persona, sia essa fisica o giuridica, tale da pregiudicare i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.