Natura della cauzione ex art. 2445 c.c. e tutela del creditore danneggiato dalla fusione
La cauzione imposta ai sensi dell’art. 2445 c.c. (richiamato dall’art. 2503 c.c.) ha un carattere lato sensu cautelare e strumentale, poiché è finalizzata a garantire il creditore dai danni che la fusione può provocargli, ma non rappresenta l’oggetto di un diritto al mantenimento che il creditore stesso può esercitare nei confronti delle società che l’hanno posta in essere.
La responsabilità da fusione, che fonda il diritto al risarcimento ex art. 2504-quater c.c., non genera un obbligo di adempimento in luogo della società incorporata (nell’ipotesi che questa fosse debitrice), ma solo un obbligo di riparazione di quei danni direttamente provocati dalla fusione stessa, ossia limitato alla perdita di quella parte del credito divenuta irrealizzabile proprio a causa della incorporazione: è quindi necessario che il credito prima dell’operazione denunciata potesse essere soddisfatto, almeno in una determinata misura, e che dopo l’operazione non lo sia più, o lo sia in misura inferiore.
Responsabilità degli amministratori non esecutivi
Ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione sociale di responsabilità rileva non già il momento in cui il presupposto dell’azione prevista dall’art. 2394 c.c. è effettivamente conosciuto dai creditori sociali, ma il momento in cui il presupposto di quell’azione diviene da loro oggettivamente percepibile, con due precisazioni: in primo luogo, questo presupposto riguarda l’insufficienza della garanzia patrimoniale generica della società e non corrisponde perciò né allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l.fall., né alla perdita integrale del capitale sociale; in secondo luogo, il momento in cui questo presupposto diviene oggettivamente conoscibile dai creditori sociali non coincide necessariamente con la dichiarazione di fallimento, ma può collocarsi tanto anteriormente quanto posteriormente ad essa.
L’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, rilevante ai fini del decorso della prescrizione quinquennale, può risultare dal bilancio sociale che costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere. Sicché spetta al giudice di merito, con un apprezzamento in fatto insindacabile in cassazione, accertare se la relazione dei sindaci al bilancio che abbia evidenziato l’inadeguatezza della valutazione di alcune voci – a fronte della quale l’assemblea abbia comunque deliberato la distribuzione di utili ai soci, senza rilievi da parte degli organi di controllo -, sia idonea a integrare di per sé l’elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale.
In tema di responsabilità degli amministratori, l’assenza di delega non esonera di per sé da responsabilità, poiché sugli amministratori grava l’obbligo di verificare e controllare il corretto esercizio della delega conferita ad altri. Di fatti, ai sensi dell’art. 2381, co. 3, c.c., i componenti del CdA deleganti sono comunque tenuti a valutare l’operato dei delegati, richiedere informazioni, impartire direttive, avocare a sé il compimento di atti, tutti doveri che si riflettono nella responsabilità solidale degli amministratori, prevista dall’art. 2392, co. 2, c.c. nel caso in cui pur essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli non hanno adottato le misure idonee a impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
La responsabilità dell’amministratore non esecutivo si configura come condotta omissiva colposa, laddove la colpa può consistere, in primo luogo, in un difetto di conoscenza, per non avere rilevato colposamente l’altrui illecita gestione: non è decisivo che nulla traspaia da formali relazioni del comitato esecutivo o degli amministratori delegati, né dalla loro presenza in consiglio, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni, non essendo esonerato da responsabilità l’amministratore che abbia accolto il deficit informativo passivamente. Pertanto, si può parlare di colpa in capo all’amministratore nel non rilevare i cd. segnali d’allarme, individuabili anche nella soggezione all’altrui gestione personalistica.
L’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della mera posizione di garanzia, ma risponde per una propria condotta omissiva consistente nel mancato esercizio dei poteri impeditivi che l’ordinamento gli riconosce, quali, ad esempio, le richieste di convocazione del consiglio di amministrazione, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima o all’impugnazione della deliberazione viziata, l’attivazione ai fini all’avocazione dei poteri, gli inviti ai delegati di desistere dall’attività dannosa, la denunzia alla pubblica autorità, con informazione al p.m. ai fini della richiesta ex art. 2409 c.c., nella formulazione ante riforma.
Nel caso di responsabilità dell’amministratore per omesso versamento di imposte, il danno risarcibile non coincide con le imposte non versate, che, siccome dovute, rappresentano un debito titolato, che non diventa danno solo per il fatto di essere rimasto inadempiuto, ma è pari all’importo delle sanzioni, spese esecutive e aggi, che non sarebbero stati applicati se l’amministratore avesse ottemperato tempestivamente all’obbligo di versamento delle imposte.
In tema di responsabilità dei sindaci, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, co. 2, c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate ovvero denunciandole al tribunale, ai sensi dell’art. 2409 c.c.
La quantificazione del danno nell’azione di responsabilità
L’azione sociale di responsabilità si configura come un’azione risarcitoria volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del suo depauperamento cagionato dagli effetti dannosi provocati dalle condotte, dolose o colpose, degli amministratori, poste in essere in violazione degli obblighi su di loro gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. Per gli amministratori di una società a responsabilità limitata, al pari di quelli delle società per azioni, è richiesta non la generica diligenza del mandatario, cioè quella tipizzata nella figura dell’uomo medio, ma quella desumibile in relazione alla natura dell’incarico e alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall’art. 1176, co. 2, c.c. per il professionista.
La natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e i sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. Invero, spetta all’attore l’onere dell’allegazione e della prova, sia pure mediante presunzioni, dell’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale e della riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico.
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, co. 2, l.fall., la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizioni, purché l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Una correlazione tra le condotte dell’organo amministrativo e il pregiudizio patrimoniale dato dall’intero deficit patrimoniale della società fallita può prospettarsi soltanto per quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio in ragione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque per quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza.
I cc.dd. criteri del deficit fallimentare e dei netti patrimoniali di cui all’art. 2486, co. 3, c.c. è applicabile anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore della norma.
Utilizzazione abusiva di un software e risarcimento del danno
La disinstallazione di un software durante l’esecuzione delle operazioni di descrizione ex art. 129 c.p.i. costituisce conferma della consapevolezza del resistente della mancanza di licenza d’uso relativa al software e, quindi, del carattere abusivo dell’utilizzazione di questo.
In tema di diritto d’autore, la violazione del diritto di esclusiva determina un danno da lucro cessante che sussiste in re ipsa, salva la prova contraria, incombendo al danneggiato solo la dimostrazione della sua estensione.
In tema di diritto d’autore, ai sensi dell’art. 158 comma 2 l.d.a. il danno patrimoniale derivante dalla violazione del diritto di esclusiva può essere liquidato in via forfettaria sulla base del cd. prezzo del consenso, che, in virtù dell’impiego dell’espressione “quanto meno”, rappresenta la soglia minima risarcitoria.
Criteri di interpretazione del contratto
In tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale va integrato con gli altri criteri di interpretazione, tra cui la buona fede ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore
Il curatore può far valere la responsabilità degli amministratori della società fallita tanto a mezzo dell’azione sociale, in quanto ve ne siano i presupposti, e cioè il danno prodotto al patrimonio sociale da un atto, colposo o doloso, commesso in violazione ai doveri imposti a loro carico dalla legge o dall’atto costitutivo, quanto a mezzo dell’azione dei creditori sociali, in quanto ve ne siano i presupposti, vale a dire il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, nella misura in cui sia stato reso insufficiente alla integrale soddisfazione dei creditori della società, da un atto commesso con dolo o colpa in violazione degli obblighi funzionali alla conservazione della sua integrità. Le due azioni, ancorché diverse, vengono ad assumere, nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario e inscindibile, nel senso che i diversi presupposti e scopi si fondono tra loro al fine di consentire l’acquisizione all’attivo della procedura di quel che è stato sottratto dal patrimonio sociale per fatti loro imputabili. Sicché il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilità degli amministratori, fa valere sia l’azione che spetterebbe alla società, in quanto gestore del patrimonio dell’imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali azioni di massa.
L’azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, mentre l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
La differenza tra le due tipologie di responsabilità si coglie soprattutto in ciò: solo il creditore di una prestazione contrattualmente dovuta non è tenuto a provare l’imputabilità dell’inadempimento al debitore, sul quale grava l’onere della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). E tuttavia, compete pur sempre al creditore l’onere di allegare l’altrui comportamento non conforme al contratto o alla legge, oltre che di allegare e provare il danno ed il nesso di causalità. A maggior ragione, tali oneri gravano su chi agisce per far valere un’altrui responsabilità extracontrattuale, dovendo egli in aggiunta farsi carico (non solo di allegare, ma altresì) di provare il comportamento del convenuto in violazione del dovere del neminem laedere.
Grava sugli amministratori il dovere di adempiere alle obbligazioni contratte dalla società con regolarità, al fine di evitare che la società abbia danno dai ritardi o dalle omissioni nei pagamenti, ciò quindi al fine di preservare l’integrità del patrimonio sociale. In caso di inadempimento, l’amministratore ha la possibilità di provare la mancanza di provvista in capo alla società per imputare all’impotenza finanziaria il proprio inadempimento. Tuttavia, anche in questo caso, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver attivato tutti gli strumenti del caso, dalla convocazione dell’assemblea per affrontare la crisi di liquidità con il versamento di nuova finanza, fino a prendere atto dell’impossibilità della società a proseguire la gestione ordinaria per incapacità a fare fronte con regolarità le obbligazioni tributarie attivando la messa in scioglimento.
Le irregolarità contabili non necessariamente creano un pregiudizio alla società
Sono privi di fondamento gli addebiti di responsabilità formulati nei confronti dell’amministratore convenuto nell’azione sociale di responsabilità, sotto il profilo della prospettazione del danno sofferto, in ragione delle presunte irregolarità contabili in misura pari alla somma di debiti intenzionalmente dissimulata e costituente un deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, in quanto il deterioramento della situazione patrimoniale non deriva dalle irregolarità contabili in sé ma dallo squilibrio finanziario eventualmente connesso all’ammontare del debito sommerso e la falsità della rappresentazione contabile, sicuramente pericolosa per i terzi creditori e fornitori dell’impresa o per i terzi acquirenti delle partecipazioni dei soci, posto che le irregolarità contabili non necessariamente creano un pregiudizio alla società.
Revoca in assenza di giusta causa dell’amministratore di s.r.l.
In tema di revoca dell’amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, co. 3, c.c. devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie. Il concetto di giusta causa di revoca è nozione che attiene alle circostanze, anche non integranti inadempimento, idonee a ledere il rapporto fiduciario tra le parti.
In caso di amministratore di s.r.l. nominato a tempo indeterminato si applica la disciplina generale ex art. 1725, co. 2, c.c., secondo cui in caso di revoca in assenza di giusta causa e adeguato preavviso, l’amministratore revocato ha diritto ad ottenere un risarcimento del danno da parametrarsi ai compensi che il soggetto revocato dall’incarico avrebbe percepito nel periodo di preavviso e che, in linea di massima, può fare riferimento a sei mensilità. Esso viene, infatti, considerato come un periodo idoneo a contemperare la facoltà dell’assemblea dei soci di revoca ad nutum dell’organo gestorio e l’aspettativa dell’amministratore nominato a tempo indeterminato di proseguire nel rapporto percependo il relativo compenso.
Azione di responsabilità del curatore fallimentare nei confronti degli amministratori di s.r.l.
Quando l’amministratore sia inadempiente degli obblighi fiscali formali e sostanziali che gravano sulla società amministrata e tale inadempimento abbia determinato l’irrogazione di sanzioni a carico della società, egli risponde verso la società stessa del pregiudizio che il suo comportamento le ha causato. Tale pregiudizio è pari all’ammontare di sanzioni, interessi e aggi, non rispondendo l’amministratore per l’omesso pagamento del debito per l’imposta, che è in ogni caso imputabile soltanto alla società.
Presupposti per la responsabilità per mala gestio degli amministratori ex art. 2476, comma 6 e comma 7 c.c.
La responsabilità degli amministratori di s.r.l. ex art 2476, co. 7, c.c. (o ex art 2395 c.c. in caso di amministratore di s.p.a.) verso i terzi che abbiano stipulato un contratto con la società, per consolidata giurisprudenza, non discende automaticamente ex se da detta loro qualità, né ex se dall’inadempimento sociale ad obblighi discendenti dal contratto. Invero secondo consolidato orientamento giurisprudenziale se la società è inadempiente per non aver rispettato gli obblighi discendenti dal contratto (quale l’obbligo di pagare il corrispettivo di una fornitura) di questi danni risponde la società e soltanto la società: ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica tra la società e gli amministratori che per essa agiscono (sicché l’atto dell’amministratore non è atto compiuto per conto della società, ma è atto “della” società) necessitando dunque per potersi configurare la responsabilità dell’amministratore un quid pluris.
La responsabilità personale dell’amministratore verso il terzo contraente ai sensi dell’art. 2476, co. 7, c.c. (a differenza della responsabilità ex art. 2476, co. 6, c.c.) è una responsabilità per danno “diretto” e non dunque responsabilità per un danno integrato dalla insoddisfazione della pretesa creditoria discende dalla insufficienza patrimoniale determinata da mala gestio; necessita pertanto non solo la allegazione e prova di condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi integrante mala gestio, ma altresì la allegazione di fatti che consentano di far ritenere che detta mala gestio abbia determinato un danno incidente direttamente nella sfera patrimoniale del creditore e non dunque meramente derivato dalla perdita della “garanzia patrimoniale generica” integrata dalla riduzione del patrimonio sociale idoneo a soddisfare il suo credito, danno che rientra invece nel perimetro del danno “riflesso” azionabile ex art. 2476, co. 6, c.c.; ancora necessita la allegazione del nesso di causalità tale per cui il danno non solo sia diretto ma sia altresì legato da nesso di causalità immediata con la mala gestio e ciò sia conseguenza “immediata e diretta” della suddetta condotta illecita secondo i principi generali (v. art 1223 c.c. richiamato quanto alla responsabilità extracontrattuale dall’art 2056 c.c.).