Nesso causale tra condotta dell’amministratore e danno, conseguenze della mancata dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio
L’azione ex art. 146 l. fall. presenta natura inscindibile ed unitaria, in quanto cumula le due possibili forme di tutela previste per la società e per i creditori le quali si trasferiscono, con l’apertura del fallimento, in capo al curatore.
La responsabilità dell’amministratore sussiste solo in presenza (i) della violazione degli obblighi posti a suo carico dalla legge o dallo statuto, (ii) della causazione di un danno al patrimonio sociale e (iii) di un nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione del danno. Una volta individuati quindi i comportamenti violativi, che siano addebitabili agli organi gestori, occorre dedurre e provare che gli stessi abbiano arrecato un danno al patrimonio sociale (e quello conseguente alle aspettative dei creditori) e che tra condotta e pregiudizi sussista un nesso causale.
L’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa (o concausa) efficiente del danno sicché l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Sull’attore grava l’onere di allegare, e poi di provare, gli altri elementi indispensabili per aversi responsabilità civile, che sono perciò al tempo stesso elementi costitutivi della domanda risarcitoria: danno e nesso di causalità.
L’amministratore ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.
Fallimento della società a responsabilità limitata e legittimazione all’azione sociale di responsabilità
Con la dichiarazione di Fallimento vi è un mutamento della legittimazione attiva sia per l’azione sociale di responsabilità che per l’azione dei creditori sociali, legittimazione che “passa” per entrambe le “tipologie” di azioni al Curatore, legittimato a proporle entrambe ex art 146 LF in luogo dei soggetti che invece ne erano legittimati quando invece la società era in bonis; ciò indipendentemente, quanto alla “azione sociale” di responsabilità, da quale fosse la struttura della compagine sociale e degli organi sociali e a prescindere dalla presenza, nella società in bonis, di soci e/o amministratori diversi dal convenuto.
Responsabilità per irregolare o disordinata tenuta della contabilità e onere di contestazione
L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità o redazione dei bilanci integra una violazione dei doveri dell’amministratore potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. In tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato all’evidenza, non già dalla misura del “falso”, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi sono occultate o che grazie a quei falsi sono state consentite. Anche nell’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F., che compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c., tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.
Contraffazione del modello comunitario multiplo e difetto di giurisdizione del giudice italiano
Intestazione fiduciaria di azioni, recesso e risarcimento del danno
Con riferimento alla figura del pactum fiduciae risulta dirimente la distinzione tra la nozione di proprietà formale e quella di titolarità del bene intestato dal fiduciante al fiduciario. L’operazione fiduciaria consta tipicamente di due negozi: l’uno reale, finalizzato al trasferimento della proprietà, e l’altro obbligatorio, efficace soltanto tra le parti (pactum fiduciae romanistico) . Nello schema di tale operazione l’alienante (fiduciante) trasferisce un diritto per uno scopo ulteriore al trasferimento della proprietà, scopo che l’acquirente (fiduciario) si obbliga a rispettare e a realizzare in forza del pactum fiduciae.
Da tale patto sorge, dunque, l’obbligo del fiduciario di esercitare il diritto secondo le modalità pattuite e nell’interesse del fiduciante, nonché di retrocedere il bene allo stesso fiduciante o a un terzo. Pertanto, gli obblighi di amministrare e di retrocedere il bene, assunti dal fiduciario, realizzano una scissione tra la proprietà formale (posta temporaneamente in capo al fiduciario) e la titolarità del bene (gestito per l’appunto nell’interesse del fiduciante e destinato ad essere a lui restituito). Dunque, tale scissione tra proprietà e titolarità, propria del pactum fiduciae, configura una interposizione reale di persona.
In seguito all’esercizio del diritto di recesso, il socio receduto perde lo status socii – diventando titolare del diritto di rimborso della quota a far data dalla ricezione della comunicazione di recesso – senza che ciò, tuttavia, comporti l’inesistenza della quota stessa, il cui valore, in difetto di alienazione, permane in capo agli altri soci a guisa di un corrispondente accrescimento delle rispettive quote.
Invero, l’erede del fiduciante subentra jure hereditatis nei diritti e obblighi del fiduciante e pertanto, in caso di esercizio del diritto di recesso da parte del fiduciario, ha diritto:
(i) di ottenere la liquidazione della partecipazione societaria per la quota successoria spettante;
(ii) di chiedere, in luogo del de cuius e dunque sempre pro-quota, il risarcimento del danno in tesi subito dal fiduciante, per la violazione degli obblighi assunti nel pactum fiduciae dal fiduciario.
Risarcimento del danno da abusiva diffusione al pubblico di fonogrammi musicali
Il pagamento dei compensi risultanti da un tariffario per l’utilizzo di fonogrammi è un’obbligazione di valuta su cui non può essere riconosciuta la rivalutazione poichè il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva solo qualora, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.
Per il principio di vicinanza alla prova, è onere del soggetto che avrebbe illecitamente duplicato fonogrammi dimostrare di aver comunicato/diffuso al pubblico i brani musicali traendoli da registrazioni dei fonogrammi lecitamente acquisite, trattandosi di circostanza che rientra nella sua esclusiva disponibilità materiale e giuridica.
Diffondere i brani musicali al pubblico e non pagare i diritti al produttore di fonogrammi integra un illecito diverso e ulteriore rispetto al duplicare illecitamente i fonogrammi, in quanto la legittimità della diffusione non implica altresì il diritto a duplicare i fonogrammi, presupponendo al contrario l’utilizzo di fonogrammi lecitamente acquisiti nel rispetto dei diritti del produttore.
Il risarcimento del danno patrimoniale in forma forfettaria quale prezzo del consenso presuppone sostanzialmente una liquidazione in via equitativa rispetto a cui il parametro offerto dalla convenzione fra SCF ed Asso-Intrattenimento rappresenta un chiaro indice di adeguatezza, essendo stata sottoscritta da un’associazione rappresentativa del settore, ragion per cui quanto in essa previsto può utilmente essere utilizzato al fine di quantificare in via equitativa il prezzo del consenso richiedibile agli utilizzatori. Infatti, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, il soggetto leso può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente chiesto per dare il suo consenso alla duplicazione dei brani musicali a scopo commerciale, e tale prezzo può equitativamente essere desunto dalla convenzione SCF-Asso-Intrattenimento.
Con riferimento al diritto all’immagine ed alla reputazione commerciale di SCF, si ritiene che allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile oltre al danno patrimoniale, se verificatosi e se dimostrato, soprattutto il danno non patrimoniale costituito – come danno conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali essa abbia a interagire. In ordine alla prova di tale danno, la stessa deve sempre essere fornita dal soggetto leso in quanto danno-conseguenza e non danno-evento. Non è dunque sufficiente affermare genericamente l’esistenza di un danno non patrimoniale allegando apoditticamente che tale danno sorgerebbe in automatico dal mancato pagamento dei diritti da parte della convenuta, condotta che lederebbe l’immagine di SCF presso i propri soci e presso gli altri utilizzatori di fonogrammi.
Limiti all’applicabilità del principio della compensatio lucri cum damno
La corretta applicazione del principio della compensatio lucri cum damno postula che, quando unico è il fatto illecito generatore del danno e dell’asserito vantaggio, nella quantificazione del risarcimento si tenga conto anche di tutti i vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, perché il risarcimento è finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell’altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato.
Al fine di determinare l’entità del danno risarcibile al patrimonio sociale, causato dal pagamento da parte della società di una sanzione amministrativa per condotte di violazione alla concorrenza direttamente ascrivibili alla negligenza degli amministratori, non può tenersi conto dell’eventuale vantaggio conseguito dalla società per effetto delle condotte sanzionate. Viene, dunque, negata l’operatività del principio della compensatio lucri cum damno, la cui applicazione determinerebbe, da un lato, la frustrazione della funzione sanzionatoria del pagamento effettuato dalla società e, dall’altro, una duplicazione degli effetti vantaggiosi per la stessa, posto che l’ammontare della sanzione irrogata già include l’eventuale lucro ricavato dalla società con la condotta sanzionata. Ammettere che esso possa esser nuovamente valutato sub specie di mitigazione del risarcimento dovuto dagli amministratori alla società per la perdita così inferta al patrimonio sociale, varrebbe in ultima analisi a duplicare la compensazione dei suoi effetti vantaggiosi: una volta nel patrimonio della autrice/danneggiata e una seconda in quello delle persone fisiche che per essa hanno agito.
La liquidazione equitativa del danno è consentita dalla legge (artt. 1226 e 2056 c.c.) solo in tema di danno da inadempimento o fatto illecito, quando questo sia stato dimostrato dal danneggiato ma non sia provato nel suo preciso ammontare. Non è, quindi, possibile utilizzare tale criterio nell’opposta ipotesi in cui sia il danneggiante a voler provare di aver apportato al danneggiato, con lo stesso illecito con cui ha leso la sua sfera giuridico-patrimoniale, delle utilità tali da compensare in tutto o in parte le disutilità infertegli.
Responsabilità di sindaci e amministratori per indebita prosecuzione dell’attività malgrado la sussistenza di una causa di scioglimento nelle s.r.l.
E’ esperibile l’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. da parte del curatore di s.r.l. fallita nei confronti degli amministratori che, violando l’applicazione dei principi di corretta redazione del bilancio, abbiano mancato di ravvisare una causa di scioglimento, la quale, fa sorgere l’obbligo di accertamento formale e convocazione dell’assemblea per la delibera delle conseguenti valutazioni (azzeramento e ricostruzione del capitale sociale mediante conferimenti o scioglimento e liquidazione) ex art. 2485 c.c. Sono obbligati in solido con agli amministratori i sindaci che, in virtù dei loro rilevanti poteri di ispezione e controllo e in seguito alla partecipazione delle assemblee dei soci e alle adunanze del consiglio di amministrazione, ai sensi degli art. 2405 e 2406 c.c., devono convocare l’assemblea in caso di omissioni degli amministratori e accertamento di fatti di rilevante gravità nella gestione societaria. La prosecuzione dell’attività in presenza di una causa di scioglimento comporta responsabilità risarcitoria, tanto per i primi, di fronte alla società per lo svolgimento di attività non meramente conservative e di fronte ai creditori sociali per l’incremento del passivo e l’aggravamento della situazione debitoria della società, quanto per i secondi, i quali, obbligati in solido con gli amministratori, devono provvedere a effettuare i dovuti controlli sulla gestione, nel rispetto della legge e dello statuto, e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società ai sensi dell’art. 2403 c.c.
La quantificazione del danno, per l’indebita prosecuzione dell’attività, è pari alla differenza tra il patrimonio netto stimato alla data del fallimento, con riferimento alla data dell’ultima situazione contabile, e quello stimato alla data del verificarsi della causa di scioglimento, dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, e previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria.
Distribuzione di opera cinematografica e inadempimento per insuccesso dell’opera
L’accoglienza inadeguata del film nelle sale di prima proiezione integra un’ipotesi di impossibilità oggettiva dovuta ad un fattore esterno, indipendente dalla volontà del debitore – che aveva certamente interesse a che il film fosse distribuito il più ampiamente possibile, poiché anche da questo dipendevano i suoi guadagni -, perché determinata dal fallimento commerciale del film incidente negativamente sull’ottenimento di ulteriore distribuzione.
Il momento importante per il lancio di un film è quello iniziale, quando lo stesso viene proiettato per le prime volte nelle sale e il fallimento commerciale del film in questa fase rende poco significativa un’attività di promozione successiva di lunga durata, con i costi correlati, perché il prodotto rimane poco interessante e, nel tempo, si trova a concorrere in posizione di svantaggio con le nuove uscite.
La valutazione equitativa del danno ne riguarda la quantificazione, ed è possibile solo se l’esistenza di un danno in nesso causale con l’inadempimento risulti provata.
Contratto di edizione, recesso illegittimo e risarcimento del danno
L’insuccesso dell’opera è causa di scioglimento del contratto e tale evento può riscontrarsi, quando sia oggettivamente accertata l’incapacità dell’edizione ad essere richiesta dal pubblico. L’insuccesso dell’opera non consiste in un semplice calo delle vendite; il calo delle vendite è un fenomeno frequentissimo per la quasi generalità delle opere, e non può coincidere con il concetto di insuccesso editoriale. Questo presuppone che la diminuzione delle vendite si stabilizzi lungo un periodo di tempo tale da rivelare una sostanziale e irreversibile chiusura del mercato. Nella necessità di contemperare gli interessi economici dell’editore con quelli non solo patrimoniali ma anche morali dell’autore, è la situazione di imprevedibilità di un ulteriore positivo sfruttamento dei diritti di utilizzazione economica ceduti dall’autore che potrebbe giustificare lo scioglimento del contratto e la liberazione di ciascuno dei contraenti dagli obblighi relativi. Tale fattispecie considera la posizione egemonica dell’editore, ma appresta contestualmente la tutela del contraente più debole, cioè dell’autore, il quale ha interesse a liberamente esplicare la propria creatività nella realizzazione di nuove opere dell’ingegno e a negoziare i diritti della relativa utilizzazione alle condizioni economiche più convenienti: condizione, questa, determinante per assicurare all’autore la piena indipendenza economica, liberandolo dai vincoli e dalle restrizioni che conseguirebbero al protrarsi di un patto di esclusività non più giustificato dall’interesse economico, ormai venuto meno, dell’editore, in considerazione dell’esito negativo della precedente iniziativa editoriale. [Nel caso di specie, la comunicazione con cui la società editrice comunicava la volontà di recedere dal contratto non fa alcun riferimento all’insuccesso editoriale che avrebbe legittimato il recesso ex art. 134 n. 2 L. 633/1941 e pertanto appare infondata la tesi del convenuto che lo ritiene legittimo agganciandolo all’esercizio della facoltà dell’editore espressa dalla norma speciale.]