Responsabilità per mala gestio dell’amministratore e del liquidatore di s.r.l.
Nonostante i doveri di amministratori e liquidatori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.
Nel novero delle operazioni dannose meritano senz’altro di essere comprese le distrazioni del patrimonio sociale, intendendosi per tali tutte quelle azioni, in qualsiasi modo realizzate, che non perseguono altro fine se non quello di sottrarre beni e risorse finanziarie alla società, destinandoli al soddisfacimento di interessi ad essa estranei e, anzi, contrari al suo scopo.
Dalla differente natura dell’attività gestionale dell’amministratore e del liquidatore e dai diversi obblighi specifici che la legge impone loro, deriva, al fine di far valere la responsabilità del liquidatore, l’onere della curatela di allegare inadempimenti nei confronti del liquidatore specifici e diversi rispetto a quelli svolti nei confronti dell’amministratore di una società in bonis, quali, ad esempio, la contestazione circa l’omessa attività liquidatoria, ovvero circa le modalità non corrette di liquidazione per l’eventuale eccessivo protrarsi della stessa o per il compimento di atti non finalizzati ad una rapida dismissione dell’attivo.
Transazione pro quota e debito risarcitorio
Nel caso di transazioni aventi natura parziale, in quanto riferite alle sole quote ideali di responsabilità imputabili ai convenuti transigenti rispetto al complessivo debito risarcitorio gravante, in via solidale, su tutti i convenuti in relazione ai titoli dedotti a sostegno della domanda risarcitoria, ai sensi dell’art. 1304 c.c., la transazione concerne non l’intera situazione controversa e l’intero debito solidale, bensì esclusivamente la quota interna del condebitore solidale che sottoscrive; pertanto, la transazione non pregiudica le pretese del danneggiato creditore nei confronti di tutti gli altri condebitori solidali estranei alla transazione, salva la riduzione dell’intero debito in ragione delle quote transatte.
La natura parziale (o pro quota) della transazione rileva, pertanto, sotto un duplice profilo: da un lato, impedisce ai convenuti non transigenti di profittare della transazione ai sensi dell’art. 1304 c.c.; dall’altro, ha per effetto di ridurre il debito risarcitorio gravante sugli altri convenuti dell’importo corrispondente alle quote di responsabilità imputabili ai condebitori solidali transigenti, nel caso in cui l’importo corrispettivo da ciascuno di essi, in sede transattiva, risulta considerevolmente inferiore rispetto alla quota ideale a carico dei predetti convenuti transigenti.
La transazione pro quota è tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce e, tenuto conto del fatto che essa non può né condurre ad un incasso superiore rispetto all’ammontare complessivo del credito originario, né determinare un aggravamento della posizione dei condebitori rimasti ad essa estranei, neppure in vista del successivo regresso nei rapporti interni, è giocoforza pervenire alla conclusione che il debito residuo dei debitori non transigenti è destinato a ridursi in maniera corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito.
Responsabilità dell’amministratore per omessa cessazione dell’attività e richiesta di auto fallimento
In tema di società di capitali, l’amministratore, pur nominato quando la società si trovi già in stato di insolvenza, è tenuto a prendere atto dell’impossibilità di proseguire l’attività d’impresa e chiedere il fallimento ex art. 14 l. fall., non essendo sufficiente per escluderne la responsabilità il mancato compimento di attività non conservativa (nella specie, l’inerzia dell’amministratore aveva comportato la maturazione di maggiori interessi passivi e sanzioni del valore di circa un milione e mezzo di euro, aggravando in tal modo lo stato di indebitamento della società).
Quantificazione del danno nella differenza tra attivo e passivo fallimentare ex art. 2486, terzo comma, c.c.
La figura dell’amministratore di fatto ricorre allorché un soggetto si sia ingerito nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura, sia pure irregolare o implicita, sempre che le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico e non si esauriscano, quindi, nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e ed occasionale. [ LEGGI TUTTO ]
Contratto di prestazione d’opera intellettuale e violazione del diritto morale riconosciuto all’autore di un progetto architettonico
Al contratto di prestazione d’opera intellettuale si estende, in via analogica, la disciplina dettata dall’art. 64 c.p.i., secondo cui quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.
L’art. 64 c.p.i. può trovare applicazione tanto rispetto a rapporti di lavoro subordinato quanto, in via analogica e salvo patto contrario, a rapporti di lavoro autonomo, con la conseguenza che, in entrambi i casi, i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione nascono direttamente in capo al soggetto che l’ha commissionata, restando in capo all’esecutore della stessa solo il diritto morale ad esserne riconosciuto autore. [Nel caso di specie, il Tribunale di Bologna accertata la violazione del diritto morale d’autore, rigetta la domanda di risarcimento del danno per la violazione dei diritti di sfruttamento patrimoniale in quanto, trattandosi di opera realizzata su commissione, spettanti al committente].
Profili di illiceità dell’adozione come denominazione sociale di un segno identico a una ditta e un marchio registrato anteriori
È illecita sotto plurimi profili la condotta consistente nell’utilizzo di una denominazione sociale identica tanto al nome breve di un’associazione attrice precedentemente costituita e operante nello stesso settore imprenditoriale, quanto al marchio denominativo registrato su domanda anteriore. Essa, infatti, viola sia l’art. 2563 c.c. a tutela della ditta dell’imprenditore, sia gli artt. 2569 c.c. e 20 e 22 del c.p.i. a tutela del marchio registrato, sia infine l’art. 2958 n. 1, c.c. in materia di concorrenza sleale confusoria. In mancanza, tuttavia, di allegazione e prova da parte dell’attrice della sussistenza di un qualsiasi pregiudizio risarcibile riconducibile alla adozione, da parte della società convenuta, di una denominazione sociale identica al proprio marchio registrato e alla propria ditta/nome in forma abbreviata, non è possibile addivenire ad una liquidazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. e la relativa domanda dev’essere rigettata.
Azione di simulazione della cessione di quote sociali esercitata dall’erede: onere della prova
In tema di domanda per l’accertamento della simulazione relativa di una cessione di quote sociali dissimulante una donazione esperita dall’erede-legittimario si applica il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il regime probatorio muta a seconda che il legittimario agisca prospettando la lesione della propria legittima e, quindi, a tutela dell’intangibilità della quota di riserva, nel qual caso assume la veste di terzo rispetto alle parti contraenti del negozio e non incorre nelle limitazioni previste dall’art. 1417 c.c. (ed è quindi ammesso a provare la simulazione per testi e presunzioni senza limiti) o, diversamente, agisca quale erede successore del de cuius facendo valere un diritto di questo in funzione della divisione tra coeredi, nel qual caso non può essere considerato terzo, ma parte del negozio, con conseguente inammissibilità della prova testimoniale e della prova per presunzioni. Allorquando, poi, siano proposte sia la domanda di divisione che quella di simulazione, il regime probatorio dev’essere scisso in relazione a ciascuna azione proposta, con riconoscimento della qualità di terzo esclusivamente in relazione alla tutela specifica della posizione del legittimario.
Quando l’attore che agisce in divisione esperisce domanda di simulazione dell’atto di cessione di quote finalizzato ad incrementare l’entità del patrimonio relitto da dividere assume senz’altro la veste di parte ed essendo, quindi, assoggettato ai limiti probatori di cui all’art. 1417 c.c., non è ammesso a dare prova della simulazione ricorrendo a presunzioni, essendo, invece, richieste idonee produzioni documentali, in mancanza delle quali la prova della simulazione della cessione delle quote non può ritenersi raggiunta.
La circostanza che la partecipazione di un socio diventi di minoranza a seguito del trasferimento delle partecipazioni intervenuto tra gli altri soci non costituisce un fatto illecito idoneo a far sorgere un diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., in particolare nelle ipotesi in cui lo statuto non preveda alcun limite alla circolazione delle quote, le quali, pertanto, sono liberamente trasferibili ai sensi dell’art. 2469 c.c.
Protezione della tutela autorale su un progetto architettonico di un punto vendita
I diritti acquisiti dal committente in forza di un contratto di appalto relativo a uno specifico progetto architettonico sono limitati allo specifico bene oggetto della progettazione, con la conseguenza che l’utilizzazione del medesimo progetto per la realizzazione di un’altra opera non rientra nei diritti di sfruttamento economico nati in virtù di tale rapporto.
L’opera a cui viene accordata tutela autorale non deve essere identificata nel progetto dei pezzi di arredamento, ma nella loro scelta, nel relativo assemblaggio e successiva collocazione: a nulla, pertanto, rileva l’eventuale acquisto degli arredi da soggetti terzi.
Va esclusa la fattispecie del plagio o della contraffazione ove non sia stata pubblicizzata o attribuita ad altri la paternità del progetto.
In punto risarcitorio, va escluso il danno morale ove il progetto tutelato dal diritto d’autore non sia stato alterato, svilito e/o utilizzato per finalità estranee rispetto a quelle per cui è stato creato.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno per l’utilizzo di opera protetta da diritto d’autore, vanno rigettate le domande volte ad ottenere la cessazione della condotta e la pubblicazione del provvedimento, posto che questi sono rimedi attivabili solo qualora ricorra una lesione del diritto d’autore come diritto alla paternità dell’opera, dunque come diritto della personalità.
Azione di responsabilità ex art. 2476 c.c.: profili processuali e natura del debito risarcitorio
L’art. 2476, co. 3, c.c. contempla un’ipotesi di sostituzione processuale che rende comunque necessaria la compartecipazione al giudizio della società titolare del credito risarcitorio, in quanto nel suo patrimonio confluirà la somma eventualmente liquidata all’esito positivo del giudizio, onde, la sua presenza attiva, con possibilità anche di resistere all’azione, si giustifica anche in ragione del brocardo nemo invitus locupletari potest.
Alla luce del disposto dell’art. 2476 c.c., chi non riveste il ruolo di legale rappresentante, socio e/o creditore della società non è legittimato in alcun modo ad agire per conto e/o in luogo di quest’ultima per far valere la responsabilità degli amministratori.
L’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti (art. 105, co. 2, c.p.c.), deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere – anche solo in via indiretta o riflessa – pregiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa.
Inadempimento della scrittura privata concernente la suddivisione dei marchi, risarcimento dei danni ex art. 125 c.p.i. e relativo onere probatorio
L’art. 125 c.p.i. non costituisce una deroga in senso stretto alla regola ordinaria sul risarcimento dei danni e al relativo onere probatorio, ma rappresenta una semplificazione probatoria che pur presuppone un indizio della sussistenza dei danni arrecati, attuali o potenziali, cosicché la liquidazione non può essere effettuata sulla base di un’astratta presunzione e, in applicazione degli art. 1223 e seg. c.c., non si può dunque prescindere dalla prova di un adeguato rapporto di causalità tra l’atto illecito e i danni sofferti ed allegati, secondo i criteri ordinari probatori. Ciò vale anche per la giusta royalty, poiché la successione letterale e logica tra le norme dei primi due commi esprime l’intento del legislatore di non sganciare il criterio risarcitorio del “giusto prezzo del consenso” dalla norma generale di cui al primo comma, che richiama, appunto, i principi generali dettati dagli artt. 1223 ss., c.c.. La restituzione degli utili, disciplinata nell’art. 125 c. 3 c.p.i., può essere chiesta dal titolare del diritto di privativa senza che sia necessario allegare e provare, in primo luogo, che agli utili realizzati dal contraffattore, sia corrisposto un mancato guadagno da parte sua; in secondo luogo, che l’autore della violazione abbia agito con colpa o con dolo. La restituzione degli utili costituisce una vera e propria domanda che deve essere proposta entro la soglia fissata dalla legge processuale per le preclusioni assertive, quindi quantomeno entro il termine della prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6.