Diritto di voto della s.g.r. in l.c.a.
Anche quando la s.g.r. è posta in l.c.a. ed ha subito la revoca dell’autorizzazione alla gestione collettiva del risparmio, ogni diritto inerente ai beni dei fondi gestiti non può che essere esercitato dalla s.g.r. stessa (che ne è titolare formale, sostanziale e processuale, e poi tenuta a riversare al fondo gli effetti sostanziali della gestione a guisa di un mandatario). Secondo l’art. 57, co. 3-bis t.u.f., la liquidazione va condotta dal gestore posto in liquidazione, nella persona dei suoi commissari, e i partecipanti hanno diritto a vedersi liquidare il residuo netto di liquidazione. Tale disciplina implica necessariamente la conservazione in capo al gestore dei suoi poteri e dei suoi diritti “formali e sostanziali e processuali” sui beni del fondo, anche se da esercitare nell’ottica liquidatoria.
Il provvedimento ex art. 78 c.p.c. di nomina di un curatore speciale del fondo comune di investimento non estende il suo effetto fino al punto di assegnare al fondo (affinché li potesse esercitare il curatore speciale) poteri e diritti che per legge il fondo non avrebbe comunque potuto esercitare, e in particolare poteri e diritti non appartenenti al fondo, ma alla s.g.r. che lo gestisce. Il provvedimento ex art. 78 non è atto a conferire poteri, ma solo provvede alla nomina di un rappresentante, che eserciti i poteri stabiliti dalla legge all’ente rappresentato. In questo senso il provvedimento non è esistente nella parte in cui esso assegna al fondo l’esercizio dei diritti di un soggetto diverso [nel caso di specie, una delibera di s.r.l. partecipata interamente dal fondo era stata approvata con il voto del curatore speciale e non della s.g.r.].
Impugnazione della delibera assembleare di aumento di capitale per mancata convocazione dei soci
In tema di invalidità delle deliberazioni dell’assemblea delle società per azioni (richiamata dall’art. 2479-ter c.c. anche per le società a responsabilità limitata), la regola generale è quella della annullabilità (art. 2377 c.c.). La previsione della nullità è limitata ai soli casi, disciplinati dall’art. 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell’oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l’interesse del singolo socio, risultando dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società nonché quando sia stata omessa la convocazione dell’assemblea o nel caso di mancanza del verbale.
La ratio dell’art. 2379-ter c.c. per l’impugnazione delle delibere societarie aventi ad oggetto l’aumento di capitale, nei casi in cui è prevista la sanzione di nullità (art. 2379 c.c.), è posta a tutela dell’esigenza di stabilità delle decisioni societarie. [Nel caso di specie il Tribunale di Napoli ha dichiarato la tardività dell’impugnazione della delibera assembleare di aumento di capitale di s.r.l. per omessa convocazione dell’assemblea straordinaria, in quanto risulta decorso sia il termine di centottanta giorni per l’impugnazione della delibera nulla per illiceità dell’oggetto che il termine di novanta giorni previsto per l’ipotesi di mancata convocazione.]
Sulla natura consensuale e sulla forma del contratto di trasferimento di quote di s.r.l.
Il contratto di trasferimento di quote di s.r.l. ha di per sé natura consensuale ed effetti reali, sicché l’effetto traslativo della proprietà sulla quota alienata, trattandosi pacificamente di diritti disponibili, si perfeziona con l’accordo delle parti a mezzo di atto di autonomia privata. Affinché la cessione sia quindi valida ed efficace inter partes, non sono previsti particolari requisiti di forma dell’atto, né ad substantiam, né ad probationem, rilevando la formalizzazione per scrittura privata autenticata piuttosto ai sensi dell’art. 2470 c.c., ossia ai fini dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese e della opponibilità del trasferimento alla società, agli altri soci ed ai terzi. Pertanto, in caso di mancata autenticazione, sarà solo attraverso l’integrazione della scrittura con la sentenza, che la parte interessata potrà ottenere l’effetto dell’opponibilità della prima ai terzi.
Il giudice non ha alcun obbligo di motivazione quando pone alla base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le osservazioni del consulente tecnico di parte, in quanto queste costituiscono mere allegazioni difensiva, a contenuto tecnico e prive di valore probatorio.
Quantificazione del danno per indebita prosecuzione dell’attività in presenza di una causa di scioglimento
Il danno arrecato alla società ed ai creditori sociali per l’indebita prosecuzione dell’attività malgrado la sussistenza di una causa di scioglimento, nell’impossibilità di un più preciso conteggio, può quantificarsi, secondo i criteri consolidati nella più recente giurisprudenza di legittimità, nella differenza tra il patrimonio netto stimato alla data del fallimento, e quello stimato alla data del verificarsi della causa di scioglimento, dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, e previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria.
L’azione del terzo creditore ex art. 2476, comma 7 c.c.: onere della prova
La riconducibilità della responsabilità ex art. 2476, co. 7, c.c. allo schema della responsabilità aquiliana comporta che è sul creditore che agisce che grava l’onere di allegare in maniera specifica e di provare a) la addebitabilità agli amministratori, di omissioni e condotte in violazione degli obblighi specifici e dei doveri connessi alla carica rivestita; b) i pregiudizi patrimoniali diretti asseritamente subiti e, non ultimo, c) il nesso eziologico tra gli addebiti formulati ed i danni prospettati.
Azione sociale di responsabilità nella s.r.l.
L’esercizio dell’azione sociale di responsabilità deve essere deliberato, anche nelle società a responsabilità limitata, dall’assemblea dei soci. L’autorizzazione assembleare, dunque, si pone come requisito necessario per attribuire al legale rappresentante della società la legittimazione processuale e la volontà dei soci deve necessariamente essere espressa mediante una deliberazione da assumersi nell’assemblea in sede ordinaria (art. 2364, co. 1 n. 4, c.c.), non essendo ammesse forme equipollenti.
L’azione sociale di responsabilità si configura, per consolidata giurisprudenza, come un’azione risarcitoria di natura contrattuale, derivante dal rapporto che lega gli amministratori alla società e volta a reintegrare il patrimonio sociale in conseguenza del depauperamento cagionato dalla cattiva gestione degli amministratori e dalle condotte da questi posti in essere in violazione degli obblighi gravanti in forza della legge e delle previsioni dell’atto costitutivo, ovvero dell’obbligo generale di vigilanza o dell’obbligo di intervento preventivo e successivo. E’ onere della parte attrice allegare l’inadempimento sussistente in capo all’amministratore degli obblighi a lui imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo, nonché discendenti dal generale obbligo di vigilanza al fine di evitare il determinarsi di eventi dannosi.
La condotta dell’amministratore di s.r.l., equiparata per tale aspetto ai doveri che devono connotare il contegno degli amministratori di s.p.a., deve informarsi alla diligenza richiesta per la natura dell’incarico ed alle specifiche competenze del settore; trattasi, dunque, della speciale diligenza richiesta, ai sensi dell’art. 1176, 2° comma, al professionista e non, come previsto nei tempi precedenti alla riforma del diritto societario entrata in vigore il’1.1.2004, alla generica diligenza del mandatario.
Giova precisare che, ai fini della risarcibilità del danno, il soggetto agente, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore nei termini summenzionati, deve anche allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, che si estrinsechi nel depauperamento del patrimonio sociale di cui si chiede il ristoro, nonché nella possibilità di ricondurre detta lesione alla condotta dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico.
La ripartizione dell’onere probatorio attribuisce alla parte attrice l’obbligo non solo di allegare l’inadempimento – nel caso di specie l’acquisto della società identificato come operazione antieconomica per la società e, dunque, lesiva del dovere di diligenza che impegna l’amministratore nei confronti della società stessa – ma anche l’onere di allegare e provare l’esistenza di un danno concreto, causalmente connesso alla condotta dell’amministratore.
Principio di solidarietà nella cessione di azienda, prescrizione e presupposti dell’azione revocatoria
In tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà fra cedente e cessionario – fissato dall’art. 2560, comma 2, c.c. con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento e condizionato a che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori – deve essere applicato considerando la “finalità di protezione” della disposizione, la quale permette di far comunque prevalere il principio generale di responsabilità solidale del cessionario qualora risulti, da un lato, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi rispetto a quelli per i quali essa è stata introdotta e, dall’altro, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di assicurare tutela effettiva al creditore.
La prescrizione dell’azione revocatoria, regolata dall’art. 2903 c.c., deve essere fatta decorrere dal momento in cui la parte, titolare del diritto a cui l’azione è sottesa, è messa in condizione di farlo valere, secondo il principio generale di cui all’art. 2935 c.c. La prescrizione è quindi necessariamente connessa alla consapevolezza in capo al titolare del potere di far valere il diritto, e non può quindi che farsi decorrere dal momento in cui dell’atto si ha notizia, attraverso le usuali forme di pubblicità.
I presupposti dell’actio pauliana desumibili dalla previsione di cui all’art. 2901 c.c., oltre alla sussistenza di una pretesa creditoria insoddisfatta, consistono nel cd. eventus damni e nella scientia damni, a cui poi si aggiunge la posizione soggettiva del terzo contraente, declinabile in “conoscenza del pregiudizio” nel caso di atto a titolo oneroso, e partecipazione alla “dolosa preordinazione” nel caso di atto anteriore al sorgere del credito. Rispetto all’eventus damni non occorre una prospettiva di danno effettivo ed attuale, essendo sufficiente che a seguito dell’attività dispositiva e fraudolenta del debitore, si profili un pericolo concreto che lo stesso non provveda ad adempiere ai propri obblighi e che l’azione esecutiva non consenta di conseguire alcun utile risultato. Rispetto alla scientia damni, invece, non occorre una specifica conoscenza in capo al debitore del pregiudizio che il proprio atto arreca alle ragioni del creditore, poiché è sufficiente che il debitore sia invece consapevole che il proprio comportamento riduca la consistenza del proprio patrimonio; né costituisce presupposto dell’azione il fatto che il credito sia sorto prima dell’atto che si pretende di revocare; in tali ipotesi, stabilisce l’art. 2901, co. 1, n. 1 c.c., l’intenzione fraudolenta del debitore deve atteggiarsi nella “dolosa preordinazione”, la cui prova incombe sul creditore, ammesso a dimostrare il requisito anche mediante il ricorso a presunzioni.
Giusta causa e specificità delle clausole di esclusione del socio di s.r.l.
Il socio di società a responsabilità limitata può essere escluso dalla compagine sociale solo nell’ipotesi prevista per il caso in cui il socio sia moroso rispetto al suo obbligo di conferimento e, comunque, solo successivamente all’esperimento infruttuoso del procedimento di cui all’art. 2466, 2° e 3° comma, c.c. o, alternativamente, al ricorrere delle circostanze previste dallo statuto.
La possibilità di introdurre statutariamente delle clausole di esclusione dei soci di s.r.l. richiede che venga rispettato il requisito, oltre che della giusta causa, anche della specificità.
Pertanto, deve ritenersi illegittima per mancanza di specificità la clausola di esclusione che riproduce l’art. 2286, 1° comma, c.c., nella parte in cui recita: “l’esclusione di un socio può aver luogo per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dal contratto sociale”, mancando il rispetto del requisito della specificità in quanto dall’atto costitutivo devono emergere con chiarezza e precisione quali sono le obbligazioni sociali (o, comunque, i suddetti comportamenti, a carico) del socio.
Azione di responsabilità e conflitto di interessi dell’amministratore nelle s.r.l.
L’azione di responsabilità verso l’amministratore esercitata dal socio di s.r.l. in sostituzione della società ha natura contrattuale, ed è fondata sul rapporto assimilabile al mandato che lega l’amministratore alla società. A fronte dell’allegazione di specifici addebiti relativi all’inadempimento degli obblighi di sana e prudente gestione della società assunti dall’amministratore in forza dell’incarico ricevuto, è onere del convenuto dar prova dell’adempimento ai propri obblighi e della non imputabilità a sé dei fatti dannosi.
L’art. 2475-ter c.c. con riguardo alle s.r.l. prevede il vaglio delle delibere e dei contratti stipulati da un amministratore quando l’altra parte contraente o il soggetto beneficiario della delibera sia lo stesso amministratore, per sé stesso o per conto di terzi. Tale vaglio va attivato mediante l’impugnazione dell’atto che si ritiene adottato in conflitto di interessi, qualora ne sia derivato un danno alla società. Non è prevista, dunque, una generale incompatibilità a rivestire incarichi in più società, per un conflitto solo potenziale, ma l’impugnazione di singoli atti per risolvere un conflitto di interessi, venuto in concreta evidenza.
Invalidità delle decisioni dei soci di s.r.l.
L’illegittima formazione delle maggioranze ai fini delle decisioni dei soci nella s.r.l. non costituisce in ogni caso vizio di nullità, ma di mera annullabilità della delibera. La nullità è, infatti, prevista soltanto per il caso di decisioni aventi oggetto illecito o impossibile oppure prese in assenza assoluta di informazioni (art. 2479 ter, co. 3, c.c.) oppure che dispongono modifiche dell’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite. Per tutte le decisioni che non sono state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo è, invece, dettato (art. 2479 ter, co. 1, c.c.) il regime della annullabilità.